Il pomeriggio del 3 giugno 2017, Reality Winner parcheggiò l’auto davanti alla sua modesta casa di Augusta, in Georgia. Ex membro dell’aeronautica statunitense che parlava correntemente tre lingue mediorientali (farsi, dari e pashto), aveva lavorato come linguista prima di ottenere un contratto con la National Security Agency. Due agenti dell’FBI la accolgono nel vialetto. Hanno un mandato per perquisire la casa, la sua auto, il suo telefono, la sua persona. C’è qualcun altro in casa? Improvvisamente arrivano altre auto e altri federali. Gli agenti hanno solo qualche domanda da farle, se non le dispiace.
Si svolge tutto in modo molto tranquillo ed educato. Eppure sembra che una bomba ticchetti silenziosamente sullo sfondo, a pochi minuti dalla detonazione.
C’è una minaccia sottesa che Reality (nelle sale italiane dal 1° agosto con Lucky Red e Circuito Cinema, ndt) si sforza di ricreare, mettendo lo spettatore in uno stato di tensione incombente. Utilizzando i dialoghi registrati durante quell’evento reale, questo dramma prodotto da HBO lascia che l’interrogatorio di questa donna apparentemente innocua si svolga sotto i nostri occhi.
Reality (Sydney Sweeney) sembra più o meno indifferente agli uomini che all’improvviso affollano il suo giardino. È più preoccupata per la sua spesa che andrebbe messa nel frigo e per i suoi animali domestici. “Oh, ha un cane?”, chiede l’agente Garrick (Josh Hamilton). Sì, è un cane da salvataggio. Anche lui ama i cani. Le chiacchiere, insieme ai modi gentili dell’uomo, ci fanno sentire come se stessimo origliando una grigliata estiva. Finché Winner non si affretta a chiudere la porta d’ingresso per evitare che il suo gatto fugga, e il partner di Garrick, l’agente Taylor (Marchánt Davis), inizia a sfidarla.
L’esordio della regista e sceneggiatrice Tina Satter parte dal presupposto che conosciamo già la storia di Winner, i suoi sviluppi e le conseguenze delle sue azioni. Il timore è di sapere esattamente quando e come proseguirà questa vicenda. Winner e i due agenti si ritirano in una desolata stanza sul retro della casa – lei continua a scusarsi per quanto è sporca – dove mettono in atto la routine del poliziotto buono/poliziotto cattivo. Quindi lavora per un’azienda che ha un subappalto con l’agenzia governativa? Si è mai imbattuta in documenti riservati? O magari ne ha rimosso qualcuno dall’edificio? È assolutamente sicura di non aver condiviso “inavvertitamente, o forse intenzionalmente” alcuni documenti che non riguardano direttamente la sua area di competenza?
Realuty non è ancora entrato nel versante più “procedurale” degli interrogatori che Satter e il suo co-sceneggiatore, James Paul Dallas, iniziano a fare qualche mossa dirompente. La presenza delle vere intercettazioni ci ricordano che stiamo assistendo a una storia vera, presentata con una rigorosa fedeltà. Poi Garrick accenna a qualcosa che è stato eliminato dal file originale, e il suono diventa dissonante. Viene fuori un altro soggetto rielaborato e la Winner si blocca visivamente e scompare, come se si fosse teletrasportata fuori dall’immagine. Poi torna a scorrere. Più Garrick e Taylor si scambiano sguardi, segnalando ciò che sanno – e ciò che sanno che lei non sta dicendo loro – più la situazione implode su sé stessa.
Alla fine il film smette di giocare d’astuzia, riempiendo tutti gli spazi vuoti: Winner ha passato a The Intercept informazioni di intelligence su possibili interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. È stata catturata, condannata ai sensi della legge sullo spionaggio a una pena di cinque anni, una delle pene detentive più lunghe mai inflitte a un informatore. A Reality non interessa che tu consideri Winner una patriota o una traditrice, o almeno non dà priorità alla tua opinione personale in un senso o nell’altro.
Piuttosto, Satter e i suoi “co-cospiratori” vogliono che vi concentriate sul caso in sé, un aspetto che spesso è stato messo in secondo piano mentre le discussioni continuavano a vertere sulla moralità del whistleblowing. Il ritornello che continuiamo a sentire per bocca degli agenti è: “Perché?”. Il film vuole che anche voi ve lo chiediate. Non vuole influenzarvi, ma solo che consideriate il motivo per cui tali informazioni sono state considerate top secret. E magari, già che ci siete, ricordatevi che a novembre si vota…
Il film ha anche un obiettivo ulteriore: dare a un’attrice di talento un riflettore tutto suo. Reality non è stato concepito per essere uno star vehicle, eppure sa che può funzionare solo se la persona al centro di questa tempesta politica vi porterà con sé nel suo viaggio. Sweeney recita da oltre un decennio, distinguendosi come attrice non protagonista e come eccellente membro di grandi cast corali (vedi Euphoria e The White Lotus). È stata nominata non per uno ma per due Emmy nello stesso anno.
Eppure prima di Reality non ha mai avuto un ruolo da protagonista, né ha dovuto svolgere il tipo di lavoro che le viene richiesto qui. Winner deve presentare una facciata d’acciaio, insieme a un’ingenuità e a una capacità di sviare abilmente chi le sta di fronte. Poi, una volta che scopriamo ciò che ha fatto, deve continuare a mantenere la sua ambiguità. Il tutto recitando gli stessi dialoghi e persino le stesse pause dell’evento reale. Il grado di difficoltà, insomma, è altissimo.
E Sweeney sembra riuscire a fare tutto questo, convincendovi in qualche modo che state assistendo a questa prova di volontà del personaggio, al suo crollo emotivo al rallentatore e, infine, a una vera e propria arringa, ma senza risultare né eccessivamente melodrammatica né troppo minimalista. La sua è un’interpretazione straordinaria, un’anti-performance che dà l’impressione di una stratificazione incredibile. Ci sono momenti in cui persino Hamilton e Davis sembrano fuori dai loro personaggi, per lo stupore di fronte ciò a cui stanno assistendo.
Abbiamo visto Sweeney fare l’adolescente problematica, la martire della Gen-Z e persino la pulzella in pericolo. Questa è la prima volta che l’attrice deve davvero farsi valere e interpretare un ruolo che sia all’altezza di un film, e finisce per essere l’X factor che fa evitare a Reality di essere la mera fotocopia di un vero crimine. Sweeney ha finalmente ottenuto il suo momento da attrice “seria” e ha fatto centro. Che possa esserci un futuro luminoso per lei.