Qualche mese fa i produttori dei Simpson sono stati spiazzati dalle ultime prove del doppiatore Hank Azaria. Stiamo parlando dell’attore che per 36 anni ha dato voce a una bella fetta della popolazione di Springfield, dal Commissario Winchester al barista Moe. Alle orecchie dei produttori, i personaggi cominciavano ad avere una voce un po’ rauca. Azaria è rimasto sul vago: «Mmm, sto lavorando a una cosa».
Quella cosa è diventata per Azaria un’ossessione, un progetto in cui ha investito tempo ed energie, una sfida a cui tiene forse più d’ogni altra cosa. Il vincitore di sei Emmy vuole correre sulle “strade del sogno americano” e sentirsi come “uno spirito nella notte”, insomma vuole come diventare il frontman di una tribute band di Bruce Springsteen. «È il massimo per uno che ha passato la vita a imitare voci», dice Azaria. Siamo nel suo incredibile appartamento nell’Upper West Side che occupa un intero piano di un edificio affacciato su Central Park. A 60 anni, Azaria è ben messo, con bicipiti degni del Bruce anni ’80 sotto una t-shir nera con scollo a V. Sulla parete di fronte a lui c’è un’enorme tela, un paesaggio alieno cartoonesco del pittore pop-surrealista Kenny Scharf.
Il primo vero concerto di Hank Azaria & The EZ Street Band si terrà il 1° agosto al Poisson Rouge di Manhattan, il ricavato sarà devoluto alla fondazione dell’attore che si occupa di giustizia sociale. In autunno girerà per locali, con l’ambizione di arrivare a riempire posti da 2000 spettatori. «Lo vedo come uno spettacolo teatrale», dice. «Interpreto il personaggio di Bruce anche se sto raccontando storie mie. È una performance, non sono un imitatore di Bruce».
Azaria ha lavorato per mesi per far sì che la sua voce somigliasse a quella di Springsteen, arrivando a sforzarla fin troppo. Dice che è un mix di quelle di Frank Pentangeli del Padrino Parte II e Scatman Crothers. La primissima esibizione della band, che ha messo assieme col tastierista Adam Kromelow, è stata alla festa per il suo 60° compleanno in aprile alla City Winery. Ha detto agli amici che il party sarebbe stato animato da una grande cover band di Bruce Springsteen, tralasciando un piccolo dettaglio e cioè che il frontman era lui.
Avere una lunga esperienza d’attore alle spalle, anche a Broadway dove ha guadagnato sul campo una nomination ai Tony Awards per l’interpretazione in Spamalot del 2005, non gli ha impedito di avere un bel po’ di strizza prima di salire sul palco. «Ero più nervoso quel giorno che in qualunque altra occasione. A dirla tutta, ho avuto un vero attacco di panico. Sudavo di brutto, ho anche vomitato. Non m’era mai successo prima per il nervosismo». Superata la paura, è salito sul palco e se l’è goduta a tal punto da voler ripetere l’esperienza. «Il lunedì dopo ero proprio qui quando mi hanno offerto due ruoli. Ho detto no, grazie e mi sono messo a pensare al futuro della band».
Per Azaria, il lavoro sui Simpson è un impegno stabile e redditizio che gli ha permesso di avere mano libera nella sua carriera, oltre a finanziare le sue opere di beneficenza e ora la EZ Street Band. Dal 2020 non presta più la voce ad Apu Nahasapeemapetilon, il proprietario del Jet Market di Springfield e ad altri personaggi non bianchi. Si è ripetutamente scusato per aver accettato quei ruoli. Ma a parte questo, si considera «l’uomo più fortunato dello show business». Quando i giovani attori gli chiedono un consiglio, lui risponde scherzosamente di «cercare lavoro in un cartoon che duri 36 anni, così da non preoccuparsi più di nulla». Si dice sicuro che la stagione numero 36 attualmente in lavorazione non sarà l’ultima: «Se lo fosse, sarebbe roba grossa e quindi lo sapremmo».
Ma perché, in definitiva, Azaria ha usato la libertà che gli dà il suo lavoro per andare a cantare Jungleland su un palco? Ha avuto problemi di alcolismo e ha smesso di bere nel 2006. Quando ha iniziato a bere aveva appena 14 anni e Springsteen era il suo eroe. «Dopo i 40 anni, la nostalgia cambia, diventa dolorosa. Gran parte del lavoro che svolgo nel campo della beneficenza ha a che fare con figli adulti di alcolisti cresciuti in famiglie disfunzionali. E poi un peso ce l’ha l’adolescente che è dentro di me e che è incredibilmente eccitato da tutta questa faccenda: “Diventiamo Bruce!”. È lui che ha vomitato quel giorno, ne sono sicuro. Ma ho sentito che c’era una parte di lui in quel che facevo ed è la sua gioia che cerco di esprimere». Sorride e aggiunge quasi sottovoce: «Se non sembra troppo strano, eh».
Da Rolling Stone US.