‘Trifole’, Langhe, cambiamento climatico: come sta il tartufo bianco, oggi? | Rolling Stone Italia
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‘Trifole’, Langhe, cambiamento climatico: come sta il tartufo bianco, oggi?

Esce oggi, in concomitanza con i primi giorni della Fiera Internazionale del Tartufo d'Alba, 'Trifole - Le radici dimenticate' film di Gabriele Fabbro che presenta il presente e il passato dell'oro delle Langhe attraverso la lente della memoria. Siamo stati sul posto per farci raccontare proprio dai "trifolau"

tartufo bianco

Foto: Andrea Cairone su Unsplash

Ci vuole un po’ fiuto e un po’ di fortuna. Basta non avere Giove contro per rovinare tutta la ricerca. Sono questi alcuni degli elementi fondamentali per scovare sotto grandi alberi di quercia, pioppo o tiglio il tartufo bianco, l’oro di Alba. Lo spiegano bene Gabriele Fabbro, 28 anni, giovane regista e Ydalie Turk, 29 anni, attrice e sceneggiatrice sudafricana, nel film Trifole. Le radici dimenticate (Officine UBU), dal 17 ottobre al cinema.

'Trifole' poster

Il poster di ‘Trifole’. Foto: press

Una storia che racconta una delle tradizioni più antiche e misteriose del nostro paese, quella appunto della ricerca del tartufo bianco, che viene tramandata da generazione in generazione e ora rischia di estinguersi, a causa anche del cambiamento climatico. Un racconto emotivo con un finale che lascia un po’ di amaro in bocca. Ambientato nelle Langhe, narra con uno sguardo fiabesco e un po’ nostalgico il legame fra nonno Igor, un anziano trifolau (cercatore di tartufi in dialetto piemontese) affetto da demenza senile, interpretato da Umberto Orsini, e Dalia (interpretata da Turk), la nipote londinese, sopraffatta da un grande senso di fallimento e dall’incertezza per il suo futuro.

Ydalie Turk in 'Trifole'

Ydalie Turk in ‘Trifole’. Foto: press

Il loro incontro avviene su missiva di Marta, madre della ragazza (Margherita Buy), che spedisce Dalia in un paesino della famosa area del Piemonte per prendersi cura di suo padre che vive da anni isolato in un antico casolare sulle colline albesi insieme a Birba, il fidato cane. Fra problemi di comunicazione e un divario non solo generazionale, ma anche culturale, il film parla di relazioni affettive, soprattutto familiari, di amore per il proprio territorio e del rapporto, quasi simbiotico, con la natura e i suoi ritmi. Di attese, di un’eredità ancestrale che viene trasmessa oralmente e di sfide, difficoltà e della feroce competizione che questi cercatori di tartufo, oggi, devono affrontare.

Umberto Orsini e Ydalie Turk in 'Trifole'

Umberto Orsini e Ydalie Turk in ‘Trifole’. Foto: press

«Questo film nasce da una curiosità personale. Nei vari ristoranti che ho frequentato, lo chef di turno, orgoglioso di questo tartufo, cominciava a spiegarmi le vicissitudini di questi ricercatori e del legame con i loro cani, ma sempre con un tono di mistero. Volendone sapere di più ho deciso di visitare il Piemonte e scoprire chi sono questi cacciatori di tartufi e come vivono. Una volta qui, ho incontrato molte persone che mi hanno raccontato le loro storie, e ne sono rimasto affascinato. Sono racconti che molto spesso non trovi nei libri», spiega il regista.

 

«Ciò che mi ha molto incuriosito», prosegue Turk, «è stato anche l’aspetto della mercificazione di questo fungo ipogeo, che ha un costo elevato. Mi interessava, quindi, approfondire il suo valore monetario, ma anche quello emotivo, il valore dell’eredità e dell’identità di un mestiere ma anche di un intero territorio che molto spesso viene associato al tartufo bianco. E quando ho scoperto l’intensità di questi cercatori, la loro passione, ne sono rimasta letteralmente ammaliata».

Gabriele Fabbro

Il regista Gabriele Fabbro. Foto: press

 Il film esce in concomitanza con l’inizio della 94esima Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba (dal 12 ottobre al 8 dicembre 2024), nata nel 1929 dalla lungimiranza di Giacomo Morra, albergatore e ristoratore, che vide in quel prestigioso fungo una grande opportunità. Negli ultimi due anni, a causa della siccità la ricerca del Tuber Magnatum Pico (aka tartufo bianco), è stata molto difficile. A tal punto che quest’anno per la prima volta la Regione Piemonte ha posticipato di dieci giorni linizio della stagione di raccolta, cominciata ufficialmente il primo ottobre, anziché il 21 settembre.

 

«Ai tempi di mio padre», racconta Natale Romagnolo, quinta generazione di trifolai, da 17 anni giudice di Analisi Sensoriale del Centro Nazionale Studi Tartufo, «a stagione si raccoglievano circa 40kg di tartufo bianco, oggi se ne raccolgono 4 chili. Purtroppo il cambiamento climatico, il disboscamento e l’acquisizione di terreni da parte di aziende vitivinicole hanno reso molto più ardua la ricerca, anche se quest’anno, a differenza di due anni fa, se ne stanno trovando molti di più».

Un fotogramma di 'Trifole'

Un fotogramma di ‘Trifole’. Foto: press

Eredità, quella della ricerca del tartufo bianco, riconosciuta in tutto il mondo. Nel 2021 è entrata a far parte del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità (UNESCO), e crea, solo attraverso la fiera, un giro d’affari di circa 45 milioni di euro. «Il tartufo bianco rappresenta sì un valore economico, ma per me soprattutto emotivo. Il suo profumo, infatti, risveglia emozioni molto forti che vanno condivise. Non è un alimento che si può mangiare da soli», racconta Romagnolo. Condivisione che viene espressa anche nel film. «Il sedersi a tavola rappresenta un momento di grande connessione», spiega Turk. «Igor e Dalia parlano due lingue diverse e molto spesso è difficile comunicare. Ma nel momento in cui viene condiviso un pasto insieme, si istaura una connessione. Il cibo trascende le barriere del linguaggio, così come la natura e la tradizione».

Margherita Buy in 'Trifole'

Foto: press

Per celebrare questo grande patrimonio lo scorso anno ad Alba è stato inaugurato il MUDET, il Museo del Tartufo di Alba, dove fra le varie attività che vengono organizzate c’è anche quella dell’esperienza sensoriale del tartufo. «La qualità di un buon tartufo», illustra Romagnolo, «si giudica dalle sensazioni visive, tattili e olfattive, quindi dalla sua forma, dal colore e dal profumo che emana. Che ricorda, in qualche modo, l’odore dell’aglio, delle spezie, del miele, di terra bagnata oppure di fieno o qualcosa di fermentato. Quello del trifolau non è un mestiere, ma una passione che viene tramandata». Attualmente all’interno del museo è allestita Truffle Hunters and Their Dogs, mostra fotografica di Steve McCurry: una raccolta di ritratti di cacciatori di tartufi e dei loro cani fra cui spicca anche la foto di Igor, l’uomo che nel film ha ispirato il personaggio interpretato da Orsini.

 

«Di Igor», racconta Gabriele Fabbro, «mi hanno colpito la forza e la prestanza, considerando che è un uomo anziano. L’ho seguito nella sua ricerca dei tartufi, l’ho conosciuto e ho trascorso molto tempo con lui».

Un fotogramma di 'Trifole'

Un fotogramma di ‘Trifole’. Foto: press

Quando si parla di tradizioni come queste, molto spesso il timore è che svaniscano. In realtà in questo territorio sono molti i giovani che si appassionano a questo mestiere.  «Mio figlio ha 37 anni», racconta Franco, trifolau di Alba, che parla mentre il suo cane Cichi scava sotto le radici di un albero di quercia per trovare un tartufo, «ha la mia stessa passione. E spesso, quando finisce di lavorare, viene a casa a prendere Cichi e va nei boschi».

 

Un confronto con le proprie radici, che persiste nel tempo. «Credo che questo film abbia un forte messaggio per le persone della mia generazione», spiega Turk. «A causa delle incertezze che stiamo vivendo, penso che fra noi giovani oggi aleggi un sentimento di disillusione. Spero che il film insegni che l’antidoto per combattere questo vuoto esistenziale, proprio quello che viene espresso da Dalia, sia quello di trovare una connessione con cioè che è reale, ovvero con la terra e quindi la natura, la nostra famiglia, le nostre tradizioni, le nostre radici. Rappresentate in questo contesto dal tartufo, un patrimonio ricco e profondo».

TRIFOLE - Le radici dimenticate | Trailer ufficiale | Dal 17 ottobre al cinema