Il report del No Bounds Festival | Rolling Stone Italia
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In un mondo di enormi festival senz’anima, sia lodato il No Bounds Festival

Tra concerti nelle chiese e dj set in vecchi capannoni della Prima Guerra Mondiale, il festival ha reso onore alla storia musicale di Sheffield (città dei Pulp, Arctic Monkeys e della Warp Records), guardando al futuro. Il report

In un mondo di enormi festival senz’anima, sia lodato il No Bounds Festival

No Bounds Festival 2024

L'esibizione di Lola De La Mata alla Cattedrale di Sheffield. Foto: press

Lo scorso weekend siamo stati a Sheffield, nel South Yorkshire in Inghilterra, per un piccolo festival dal grande potenziale, il No Bounds. A un’ora di treno da Manchester, nello strano contrasto tra il verde bellissimo della natura circostante e le ciminiere dell’Inghilterra industriale, Sheffield è una cittadina di mezzo milione di abitanti davvero vibrante, anche grazie alle due università che garantiscono quasi 50 mila studenti.

Un contrato che a Sheffield, musicalmente, ha sempre portato bene. Dagli Human League agli Arctic Monkeys, dai Pulp alla Warp Records (a lei dobbiamo Aphex Twin, Autechre e Boards of Canada), da oltre 40 anni la piccola cittadina inglese è una fucina di grandissimi talenti. Anche solo un weekend in città, è sufficiente per capirne le motivazioni. I giovani sono attivi, le location dove potersi esibire sono varie molte (dalle sale concerti in vecchi hotel ai warehouse, dai sotterranei ai posti occupati) e gli esempi prima citati hanno plasmato i residenti con l’idea che anche qui ai confini delle grandi città si può entrare nella Storia.

Il No Bounds Festival, quest’anno giunto alla sua settimana edizione, è un po’ la somma di tutto questo. Tre giornate intere (più una preview) di concerti, installazioni, mostre d’arte, performance e dj set in varie location diffuse per la città (dai luoghi di culto anglicani ai parcheggi sotterranei, dai nuovi centri di cultura LGBTQ+ o di integrazione alle ex fabbriche abbandonate), con alcuni ospiti ricercati e un grande investimento sulla scena locale (artisti, radio, ricercatori). Il risultato è che il No Bounds non si limita a essere un festival di ricerca, ma è un vero e proprio manifesto della storia e del presente artistico della città. Una volta si sarebbe usato lo slogan: think global, act local.

Per raccontarvi l’esperienza de festival, abbiamo quindi scelto di soffermarci su alcune delle location utilizzate per portarvi dentro l’arie magica che si respira a Sheffield.

La Cattedrale di Sheffield

Iceboy Violet alla Cattedrale di Sheffield. Foto: Misha Warren

La performance dormiente di Zaron Mizmeras alla Cattedrale di Sheffield. Foto James Ward

La proiezione di ‘Areas of Search’ alla Cattedrale di Sheffield. Foto: Andy Brown

Non tutti i festival hanno la possibilità di portare una grossa fetta del proprio programma all’interno di una cattedrale. Ma sono anche poche le religioni che lo permettono. Fa strano quindi, per noi italiani che conosciamo tutti i limiti della Chiesa, vedere all’interno di un luogo di culto come la Cattedrale di Sheffield una performance molto avantgarde come quella dell’artista trans e non-binary Iceboy Violet, qui con il producer Nueen, per un progetto che mischia rap, elettronica e spoken word dal titolo You Said You’d Hold My Hand Through The Fire. Costruita nel 1200, e rinnovata nel 1966 con una nuova ala capace di far impazzire le pagine d’architettura brutalista che spopolano sui social, la Cattedrale non ha solo ospitato musica live, ma anche la proiezione di Areas of Search dell’artista Helen Blejerman, un corto sulla violenza delle donne in Messico, e la folle performance di Zaron Mizmeras che per 7 ore ha dormito in una stanza all’interno dell’edificio mentre alcuni ricettori collegati al suo corpo generavano musica e suoni. Non male per una giornata in chiesa, no?

Hope Works

Hope Works. Una location del No Bounds Festival. Foto: Lili Takesflickis

Il live di Flowdan. Foto: Lili Takesflickis

Quando si parla di rave la nostra immagine è probabilmente quella di un magazzino abbandonato in qualche periferia inglese. Beh, eccoci allora. Hope Works (che già dal nome promette tantissimo) è una ex fabbrica di armi della Prima Guerra Mondiale posizionata nella zona industriale di Sheffield. Il feeling, nell’arrivarci durante le tre notti di dj set e live del No Bounds, è proprio quello del rave all’inglese: locali neri armati di soundsystem straordinari (qui non c’è davvero nessun paragone con nessun club italiano) in cui si balla tenendosi addosso la giacca o spogliandosi completamente incuranti del freddo autunnale. E se il volume è troppo alto, al bar omaggiano di tappi per le orecchie. Hope Works è formato da tre differenti location per ballare e sudare tre differenti mood sonori, dalla sera alle prime luci dell’alba. Gli highlights del festival? Le performance rap di Flowdan e di Coco, i dj set di Batu e dei nostri TVSI e Stenny.

Exchange Place

La mostra Flow State a Exchange Place. Foto: Press

L’Exchange Place Studio è una costruzione in stile Art Déco nel quartiere Castlegate di Sheffield. Appena rinnovato, è formato da sei piani di laboratori e spazi espositivi nel nord della città, là dove i fiumi Don e Sheaf confluiscono. E proprio (quasi) a contatto con queste due realtà fluenti, nell’oscuro seminterrato dell’edificio, quello che prima era un piccolo parcheggio interno diventa ora luogo di Flow State, un’installazione collettiva di Aron Spall, Daniel Bacchus e Joan Ramon Rodriguez-Amat. Un progetto, nato dalla collaborazione con l’Università Hallam di Sheffield, in cui i dati e le immagini raccolti su questi due fiumi vengono elaborati sotto forma di proiezioni 3D che mutano costantemente al variare in tempo reale dei dati stessi. L’atmosfera sotterranea, il rumore delle acque, le proiezioni fluttuanti creano un’immersione (quasi letterale) nei fondali della città.

La Cappella della nostra Signora di Rotherham

Il live degli Ayusp alla Cappella della nostra Signora di Rotherham. Foto: James Ward

Akhmed Kharoub alla Cappella della nostra Signora di Rotherham. Foto: press

È domenica e il festival, dopo tre giorni molto attivi, è arrivato quasi alla conclusione. Prima di terminare, però, è prevista ancora una gita. Con 30 minuti di tram (o 15 di treno) si procede dal centro di Sheffield verso nord est per arrivare a Rotherham, cittadina di 100 mila abitanti. Appena fuori dalla stazione, proprio sul ponte che scavalca il Don, si trova La Cappella della nostra Signora, una bridge chapel (come la chiamano qui) tardo medievale. I posti a sedere sono appena 40 e il prete gestisce le entrate come fosse un buttafuori. In programma 4 concerti tra moderno e classico: il live coding di Tante Verte, l’ambient oscura degli Ayusp, l’improvvisazione per chitarra classica di Akhmed Kharoub, un rifugiato siriano, e la collaborazione tra il poeta Ralph Dartford, il compositore Gary Clark e il giovane suonatore d’arpa (che di anni ne ha solo 16) Alejandro Barnett. Una signora serve biscotti, caffè nero e tè caldo. L’effetto che si viene a creare è intimo, quasi come se si fosse formata una piccola comunità da paesino senza distanze tra musicisti, pubblico, addetti ai lavori e, perché no, fedeli locali.

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