Nick Cave, la recensione del concerto di Wild God al Forum di Assago, Milano | Rolling Stone Italia
“You’re Beautiful!”

Nick Cave al Forum, il santo peccatore in giacca e cravatta

La gente tocca le gambe di Nick Cave come i fedeli toccano il piede della statua di San Pietro in Vaticano. La recensione del concerto di ieri sera ad Assago coi Bad Seeds in versione gospel-rock, un misto di violenza e catarsi. Siamo vivi e abbiamo una colonna sonora portentosa

Nick Cave al Forum, il santo peccatore in giacca e cravatta

Nick Cave

Foto: Steve Parke

La gente tocca le gambe di Nick Cave come i fedeli toccano il piede della statua di San Pietro in Vaticano. Lui lo vuole, lo cerca, ha fatto persino togliere ogni barriera col pubblico. Niente transenne: quando avanza sul fronte del palco può toccare la gente e la gente può toccare lui. Dalla platea lo si vede emergere, evangelista rock in giacca e cravatta, da un mare di braccia alzate. Se volesse, potrebbe separare quelle acque, potrebbe camminarci sopra. A un certo punto ci scherza su, prega quelli delle prime file di non attaccarsi perché deve pur muoversi e non vuole cadere, permette a una fan di mettergli una mano sulla gamba per 15 secondi «in rappresentanza di tutti quanti voi». Un altro gli porge un fazzoletto che il cantante usa per asciugare il sudore sulla fronte. «Così va meglio?», chiede, come se dovesse ricevere l’approvazione della gente. Poi rilancia il fazzoletto di sotto, trasformato istantaneamente in reliquia.

Spesso i concerti di Bruce Springsteen vengono descritti come esperienze parareligiose, feste comunitarie che somigliano a funzioni, una chiesa fuori dalla chiesa, una messa per chi non va a messa. Vale anche per Nick Cave. Springsteen ci è arrivato molti anni fa per via dell’amore per la musica soul che affonda le radici nel gospel, Cave vi è approdato quando ha avuto una più acuta percezione del dolore. Ma un suo concerto coi Bad Seeds non è tutto qui. Se il suo ultimo album Wild God è un’espressione di gioia sfrenata, con le canzoni che si trasformano puntualmente da testimonianze di sofferenza personale in atti di giubilo collettivo, la performance che ha portato ieri sera al Forum di Assago è stata un misto d’afflizione e gioia, violenza e catarsi, con un pizzico di ironia che serve a demistificare almeno in parte il profilo di santone rock che Cave ha costruito negli ultimi anni. «No, non voglio il tuo cazzo di fazzoletto», dice a una persona che gliene vuole porgere un altro.

Da una parte ci sono i pezzi di Wild God, che viene suonato per intero tranne As the Waters Covers the Sea, dall’altra le ombre malefiche e magnifiche del passato, canzoni dotate d’una forza anche distruttrice che è assieme tremenda e seducente. Ci sono insomma l’amore e la violenza a cui ci si abbandona volentieri. Ad accompagnarlo c’è una nuova, favolosa versione dei Bad Seeds che oltre al braccio destro Warren Ellis, al chitarrista George Vjestica, al percussionista Jim Sclavunos e alla tastierista Carly Paradis, comprende Colin Greenwood dei Radiohead al basso, mai così elegante nel completo che Cave ha imposto a tutti quanti, Larry Mullins alla batteria e un quartetto di coristi in tuniche bianche che sovrastano i musicisti su una pedana, dietro a tutti. Sono tre donne e un uomo, Miça Townsend, Wendi Rose, Janet Ramus e T Jae Cole, sono le voci dell’anima gospel delle canzoni di Wild God, sono la comunità che abbraccia il canto solitario di Nick Cave, sono fondamentali in questo concerto tanto quanto Ellis.

Sullo schermo dietro ai musicisti accade poco o niente. Ogni tanto appaiono le frasi chiave delle canzoni col lettering della copertina di Wild God. Così durante la prima canzone che è Frogs si legge “amazed of love, amazed of pain”, che riassume tante cose. E forse ha ragione David Hutcheon di Mojo quando a proposito di questo tour tira in ballo il duende del flamenco e la definizione che ne ha dato Gerald Howson, ovvero uno stato di estasi ispirata dalla tragedia, che è quel che si prova nelle prime canzoni. Ma non è tutto, perché le due ore e mezza di concerto prevedono anche il pentimento che traspare da O Children, la canzone sull’incapacità degli adulti di crescere i figli, oppure il desiderio crudele della magnifica e primitiva From Here to Eternity. E quando arriva la parte implacabile e feroce di Jubilee Street, si capisce quanto il pubblico ama e aspetta quest’altro aspetto di Cave, oltre a quello del santo peccatore che inarca la schiena allentando la cravatta.

Spesso Cave si siede al pianoforte per poi rialzarsi dopo una strofa e un ritornello, come se non riuscisse a contenere l’impulso di raggiungere fisicamente il pubblico, vederne le facce, trarre energia dal loro godimento. La band ha un suono corposo e decisamente meno selvaggio dei vecchi Bad Seeds. C’è più chiesa e meno cimitero. Conta l’insieme. C’è spazio sia per la dolcezza delle semi-acustiche Long Dark Night e Cinnamon Horses, sia per l’apocalittica Tupelo. Non c’è canzone sulla gioia senza una sul peccato, c’è un dualismo tra pezzi che sembrano riti spirituali e altri che paiono omicidi efferati, ma alla fine tutti lanciano baci al pubblico, persino Ellis. È una performance molto fisica e quando Cave dà le spalle al pubblico si vedono le chiazze di sudore che pian piano s’espandono sulla giacca.

Magnifico al piano, ad esempio per il finale di Bright Horses o per la teatrale I Need You, con un primissimo piano rilanciato dagli schermi a lato palco che sfuma nel nero sulle parole “just breathe”, Cave incita le persone, si fa sorreggere fisicamente da loro, chiede di raccogliersi idealmente attorno a lui perché deve raccontare la storia di Conversion, le cui parole “Stop! You’re beautiful” diventano il tormentone della serata, ripetuto tra una canzone all’altra, in mezzo agli altri pezzi. I coristi lo raggiungono sul finale di White Elephant per cantare la salvezza nel regno dei cieli. Nei bis, il tributo ad Anita Lane. Un filmato della musa «a cui tutti noi giravamo attorno» è l’unico video della serata che scorre sullo schermo e per un attimo sembra davvero che la ragazza d’un tempo balli sulle note di O Wow O Wow (How Wonderful She Is). È un raro momento di amarezza, ma è incantevole.

Siamo vivi e abbiamo una colonna sonora portentosa che è assieme divina e terrena, ponderosa e lieve. Prima di sedersi al pianoforte per chiudere il concerto con Into My Arms, Nick Cave si gira un’ultima volta per abbracciare Warren Ellis. Il sudore gli ha disegnato due piccole ali d’angelo sulla giacca.

Setlist:

Frogs
Wild God
Song of the Lake
O Children
Jubilee Street
From Her to Eternity
Long Dark Night
Cinnamon Horses
Tupelo
Conversion
Bright Horses
Joy
I Need You
Carnage
First Rescue Attempt
Red Right Hand
The Mercy Seat
White Elephant
O Wow O Wow (How Wonderful She Is)
Papa Won’t Leave You, Henry
The Weeping Song
Into My Arms