La recensione di 'Chromakopia' di Tyler, The Creator | Rolling Stone Italia
“Pensavate fossi morto”

Finché ci sarà Tyler, The Creator non credete a chi dice che gli album non hanno più senso

‘Chromakopia’, il settimo disco del rapper di Los Angeles, funziona da tutti i punti di vista, dal suono ricercato all'estetica, passando per i testi che ci svelano per la prima volta la sua intimità. Lui si proclama il secondo miglior artista dopo Kendrick Lamar, ma se il primo posto fosse un pari merito?

Finché ci sarà Tyler, The Creator non credete a chi dice che gli album non hanno più senso

Tyler, The Creator

Foto: press

Quando sentite dire in giro che il concetto di album è morto, non credeteci. A ripeterlo sono solo gli artisti e le case discografiche che non sono capaci di avere una visione più grande di un singolo. E non pensiate nemmeno sia necessario spiattellare tracklist infarcite di featuring per avere garanzia di un album perché quelli bravi, già da tanto, non hanno bisogno di urlarlo al mondo. Alla fine tutta questa questione è sempre riducibile al solito assioma: la musica non deve essere solo ben confezionata, ma deve contenere una visione.

Una frase che ben sintetizza i 16 anni di carriera di Tyler, The Creator – sì, il ragazzo ne ha comunque solo 33 – che da quel primo tape del 2008 con la sua crew Odd Future (tra i membri Frank Ocean, Earl Sweatshirt, Syd) a Chromakopia, il suo ultimo lavoro in studio uscito ieri sera, ha reinventato continuamente la sua figura, oltre il rap americano nelle idee quanto nell’estetica. Un disco uscito di lunedì, strano a dirsi, ma non per Tyler. «Bisognerebbe pubblicare i dischi a inizio settimana quando le persone hanno il tempo per ascoltarli, non il venerdì con il weekend alle porte», spiegava in passato insistendo sull’importanza del tempo come concetto fondamentale per l’ascoltatore e per l’artista.

“Pensavate fossi morto” ripete come un mantra in Thought I Was Dead ironizzando sugli hater che lo davano per “morto” perché per la prima volta nella sua carriera solista non aveva rispettato i due anni di distanza tra la pubblicazione dei suoi album. Per Chromakopia è stato necessario più tempo, un anno aggiuntivo (apriti cielo!), ma il risultato è evidente: nessun album di Tyler è mai stato così denso, nei suoni come nei testi. Tyler ha completato la sua maturazione. O come rappa lui: “Il più grande a uscire da questa città dopo Kenny (Kendrick Lamar, ndr), ora è fattuale”.

Anche Chromakopia, come i due precedenti album, parte da un travestimento. Se l’ultimo era stato Sir Tyler Baudelaire di Call Me If You Get Lost, preceduto dall’uomo con la parrucca bionda di Igor, in Chromakopia Tyler diventa St. Chroma, un personaggio mascherato e con un particolarissimo taglio di capelli basato sul racconto La cabina magica di Norton Juster. Un escamotage più estetico che drammaturgico necessario però proprio per la realizzazione di quella visione che già dal primo trailer pubblicato qualche settimana fa ha attirato il pubblico trasportandolo in un altro universo parallelo, un universo in cui possiamo anche trovare Ayo Edebiri (sì, la protagonista di The Bear) in una parte del video del primo bellissimo singolo Noid. Un’immagine coordinata che dall’iconografia di St. Chroma si allarga agli artwork e ai video dalla fotografia rétro color seppia su cui campeggiano scritte in capslock verdone. Lasciato alle spalle il verde acido della Brat summer, è tempo del verdone denso del Chromakopia autumn.

Chromakopia è, a tutti gli effetti, un album da ascoltare (e che si fa ascoltare) dall’inizio alla fine. Il suono per quanto vario – solo Noid al suo interno passa da un campione di musica dello Zambia, Nizakupanga Ngozi della Ngozi Family del 1977, ad accenni quasi prog rock, da citazioni del suo maestro Kanye West a marchi di fabbrica funk/soul di Tyler – è solido e coeso, anche grazie alla produzione interamente curata dall’artista e alla presenza ricorrente della madre Bonita Smith, voce narrante che accompagna l’ascoltatore durante tutto l’ascolto. Non solo una guida, ma un ruolo da protagonista, un ponte che ci conduce nella parte più intima di T, il nomignolo con cui il rapper si riferisce a se stesso in tutto il disco.

E così che nascono quelli che finora sono le canzoni più introspettive e vulnerabili nella carriera del rapper di Los Angeles, che ora affronta i grandi temi della vita che i 30 anni portano con sé. Like Him, dedicata al padre che non ha mai conosciuto (“È colpa mia, non tua, non sua, è mia, perdonami”, spiegherà la madre a fine brano), Hey Jane, col testo più riuscito dei brani in scaletta che vede il rapper raccontare una gravidanza inaspettata dal punto di vista personale e di quella della sua ragazza (“Hey Jane, chi sono io per piagnucolare e lamentarmi? Sei tu che dovrai affrontare tutti i cambiamenti fisici e mentali / è una tua scelta alla fine, ti supporterò comunque vada”, a cui Jane risponde, “Hey T, anche io ho paura, è stato così difficile dirtelo, dirti la verità / non volevo dirlo, quando mi guardo allo specchio mi sento di aver fallito”), Darling, I, che tratta il tema della sessualità, della monogamia, delle relazioni (“Ognuno è diverso, non è solo una questione di sesso / ogni persona è differente e ognuna porta qualcosa di diverso in una relazione / e voglio che anche tu possa esplorare tutto questo”), Tomorrow, sulla paura per il futuro (“Il pensiero di aver dei bambini mi stressa”) e Noid, uno sfogo sulla paranoia incontrollabile con cui il rapper convive quotidianamente (“Sono paranoico, giro per il quartiere con gli occhi fissi sullo specchietto retrovisore”).

THOUGHT I WAS DEAD

A colpire di Chromakopia sono anche i continui cambi di voce di Tyler che sembra voler sottolineare quest’intimità ritrovata (o scoperta) in nuove timbriche che spesso ci fanno domandare se è davvero lui a rappare certe strofe o a cantare certi ritornelli. La voce cavernosa che lo aveva lanciato con Goblin è qui usata in maniera molto più “utile”, diventando un contraltare che ci riporta a terra quando queste nuove vocalità si librano troppo lontano (come in Judge Judy o Tomorrow).

Oltre alla madre, ad accompagnare Tyler ci pensano una serie di collaborazioni. «Non ci saranno featuring» aveva dichiarato, stavolta imbrogliandoci, prima dell’uscita dell’album. Sta di fatto che i featuring, seppur non segnalati in scaletta o nelle piattaforme di streaming, ci sono e sono gustosi: Childish Gambino, Daniel Caesar, Teezo Touchdown, GloRilla, Doechi, Lil Wayne, Sexyy Red, Schoolboy Q, Willow e Santigold. Non hanno mai ruoli principali, al pari di Mr. St. Chroma, ma svolgono tutti ruoli di (ottimi) comprimari. Doechi azzanna il beat di Balloon, uno dei più strani mai realizzati da Tyler (e che richiama vagamente i Gorillaz), così come fa GloRilla nella hit da club Sticky in cui partecipano anche Sexyy REd e Lil Wayne. Donald Glover invece potrebbe averci regalato uno degli ultimi featuring a nome Childish Gambino nell’outro di I Killed You.

In questi tre anni Tyler si è preso il tempo per pensare, ragionare, riflettere. Il tempo per essere artista. Chromakopia è così il suo album più riuscito, l’ennesimo passo in avanti in una carriera che in 16 anni ha sempre e solo guardato in avanti. In questo disco Tyler, The Creator si è auto-proclamato il secondo miglior artista venuto fuori da Los Angeles dopo Kendrick Lamar. Ma se invece il primo posto fosse un pari merito tra i due?

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