Eravamo collegati da manco due minuti che Pier Luigi Pasino aveva già pronto il messaggino da mandare a Matilda De Angelis: “Sbrigati, cazzo”. Il messaggino poi non è mai partito perché Matilda si è materializzata sullo schermo poco dopo, ma questo rende benissimo l’idea del loro rapporto. Un feeling artistico e personale senza filtri tra due anime punk e “prese bene” (cit. Matilda), che da La legge di Lidia Poët, la serie Netflix (la seconda stagione è disponibile dal 30 ottobre) dove interpretano rispettivamente Lidia Poët, la prima donna in Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati, e il fratello Enrico, è arrivata alla musica con il singolo Lidia, una “balladona” (cit. Pasino) che i due attori hanno scritto e interpretato insieme, inserito poi nel quarto episodio dello show (non dirò una parola di più), e di cui vi mostriamo il videoclip in anteprima.
Mentre Pasino scrive il messaggino mi racconta: «Io ho sempre suonato, quindi, come Matilda, vengo più dalla musica, ho sempre fatto punk rock, perché è il genere che ti permette di suonare quando non sai suonare. Ho iniziato così e a 21 anni, mentre facevo i provini per entrare nelle scuole di recitazione, sono partito in tour con un gruppo, il chitarrista non poteva. Mi hanno preso allo Stabile di Genova, ma ho sempre scritto. Poi verso i 33 anni ho messo da parte la recitazione e ho iniziato a suonare per strada con i Luke & The Lion, fondamentalmente facevamo busking come anche Mati prima. Abbiamo fatto il Goa-Boa, abbiamo aperto anche delle band grosse tipo Franz Ferdinand, però alla fine ci siamo sciolti. Poi ho conosciuto Patrizio Simonini, che è uno dei produttori del brano, e non so come, dopo avermi sentito urlare malamente delle canzoni a Spaghetti Unplugged a Roma, ha detto: “Se vuoi a tempo perso ci mettiamo lì e vediamo di produrre una canzone”. Come un pazzo è uscita anche su Rolling Stone. E poi ho iniziato a fare cantautorato italiano, fino a quando ho incontrato Mati e ci siamo detti: “Oh ma anche tu suoni e canti?”».
(Intanto è arrivata Matilda)
Alla fine ci siamo persi via e non hai fatto in tempo a scriverle: “Sbrigati, cazzo” .
(Matilda ride)
Pier Luigi: No, ma Mati, se adesso ti vuoi succhiare quanto sono bravo e quanto sono “io”.
Matilda: Ma io lo so, io so tutto.
Pier Luigi: E adesso parliamo parliamo un po’ di me, allora.
(Ridiamo)
Io partirei dal vostro retroterra comune in qualche modo, perché Lidia Poët è un’eroina punk: anche nei costumi a me ricorda un po’ Vivienne Westwood, c’è tutto un mondo punk nella serie, a partire dallo spirito della protagonista. E credo che molto sia merito vostro perché siete due anime punk, sbaglio?
Matilda: Sicuramente ci abbiamo messo tanto del nostro, ricordo ancora il giorno in cui ho incontrato Pier la prima volta. Era la fase dei call back finali di Lidia, lui è arrivato con questo mini skate, che poi dei bambini gli hanno rubato, mi pare: hanno pensato appartenesse a loro, giustamente. E io l’ho guardato e ho pensato: “È lui”, non avevamo fatto nemmeno il provino ancora. Ho avuto la sensazione che fosse proprio mio fratello. Nella vita a volte ci sono degli incontri che vanno un po’ da sé, ci sono quelle energie immediate e devo dire che con Pier è stato tipo colpo di fulmine. Pur avendo età diverse, venendo da due città diverse, essendo due persone completamente diverse, condividevamo un background anche molto simile, un po’ di pazzerelli di strada, artisti è una parola grossa.
Pier Luigi: Grandissimi artisti!
Matilda: Hai ragione, artisti e basta era troppo poco. Tutto quello che abbiamo fatto nella nostra vita ci ha resi chi siamo e abbiamo l’abbiamo portato anche in Lidia, in questo progetto che abbiamo fatto insieme. E poi appunto da lì c’è venuta questa idea di poter fare qualcosa di ancora più personale, che appartenesse comunque alle nostre vite, e di poterlo dare alla serie. È nato tutto in maniera molto naturale, col tempo. Erano già quasi quattro anni che ci conoscevamo quando ci siamo guardati e abbiamo detto: “Ma vogliamo fare un pezzo insieme?”
Chi è che l’ha buttato lì la prima volta?
Matilda: Credo io
Pier Luigi: Sì, Mati.
Matilda: Io sono sempre una grande entusiasta, dico cose, però poi quello che ha quagliato è il signor Pier Luigi Pasino. Quello che a un certo punto è arrivato con qualcosa in mano. D’altronde io sono una musicista mediocre, non so scrivere niente a differenza di Pier, che è un grande topliner e scrive dei ritornelli della madonna.
Pier Luigi: Tutti quelli con cui stiamo collaborando dicono questo di me, ma io fondamentalmente sono un grande ignorante della musica, cioè io so suonare la chitarra, ma non so esattamente quello che faccio, non so gli accordi.
Matilda: E infatti facciamo gli attori, grazie al cielo.
(Ridiamo)
Però dal vostro spirito punk avete tirato fuori questo pezzo, che io che io definirei una ballad americana da classifica: vi piace questa definizione?
Pier Luigi: Woooooooooo! (Tira su le mani)
È quel genere lì, no?
Matilda: Assolutamente, devo dire che noi non avevamo un’idea precisa. Ricordo che il primo provino di Pier era una roba tipo Daft Punk, perché lui doveva fare anche le ottave alte mie e quindi c’era l’autotune, era una cosa stranissima.
Pier Luigi: Sembrava Cher, (si mette a cantare) “Do you believe…”
(Ridiamo)
Matilda: Poi l’abbiamo portato in studio da Francesco Bacci, in una situazione di amicizia, di presa bene senza nessun tipo di chissà quale progettualità. Ci tengo a sottolinearlo: lo abbiamo fatto per noi, perché ci andava di fare questa cosa insieme, e poi è diventata quello che è diventata nel momento in cui sono arrivata anch’io: penso che ognuno di noi porti sempre qualcosa all’interno di un progetto, di una canzone. Quindi poi l’abbiamo totalmente rifatta da zero quando siamo andati in studio, no?
Pier Luigi: Io ovviamente ho sempre dietro il mio chitarrino, a casa e dove giriamo a Torino, e quindi ho tirato giù 4-5 note con la melodia registrata al cellulare, gliel’ho fatta sentire ma, poverina, ovviamente non si capiva niente. Appena ho avuto 2-3 giorni di riposo durante le riprese sono andato da Francesco e abbiamo prodotto ’sta cosa di cui parlava lei, messa su veramente alla velocità della luce. La cosa figa di questo progetto, come dice Mati, è veramente la presa bene. Abbiamo cercato di fare una cosa non pensando che poi sarebbe andata a finire nel quarto episodio. Volevamo che avesse inerenza con la serie, ma che fosse prima di tutto una cosa ci divertisse. Vorrei che questa fosse proprio la chiave di tutto quello che faccio, e credo valga anche per Matilda. Sarebbe bellissimo continuare a lavorare in questa direzione…
Matilda: Però mi sento di sottolineare anche la nostra libertà in quanto “non musicisti”, nel senso che il nostro lavoro principale non è quello. Noi abbiamo potuto veramente fare quello che volevamo, nel modo che volevamo, senza pressioni da parte di nessuno, senza dover rispondere a dinamiche di mercato, radiofoniche, discografiche, commerciali. Partiamo anche da una posizione privilegiata e diversa: quando puoi fare veramente quello che vuoi non può venire fuori qualcosa di tanto brutto; magari che non piace, ma sicuramente non sbagliato, ecco.
Alla fine è venuta fuori questa ballad anche molto tenera in inglese: è stata una scelta pure un po’ per andare dietro – giustamente – al discorso internazionale della serie Netflix, oppure ci sono altri motivi?
Pier Luigi: Intanto è nata in inglese perché io ho sempre scritto in inglese con Luke & The Lion e con i gruppi prima. Negli ultimi cinque anni ho lavorato in italiano perché ho sentito l’esigenza di farlo, però la musica in inglese è quella che ho sempre ascoltato più di tutte, che mi era più vicina. E poi sapevo che l’inglese è una lingua che appartiene anche a Mati in qualche modo. In più quando abbiamo deciso di fare ’sta cosa per la serie, abbiamo pensato: nel caso dovesse mai andare da qualche parte, sarebbe bello che la potessero capire tutti… E scusa se La legge di Lidia Poët è la serie italiana più vista nel mondo (ridiamo). A parte le stronzate, è vero: visto che il bacino di utenza della serie è molto internazionale, abbiamo deciso di andare in quella direzione. E poi il fatto che sia venuta fuori una ballad ovviamente è perché siamo punk, ma romantici.
Il pezzo poi è stato inserito in uno dei momenti più belli e più alti del quarto episodio, in cui c’è un discorso carico di emozione e di significato di Enrico, senza fare troppi spoiler…
Matilda: Questo è merito di Letizia Lamartire, la regista del quarto episodio. Pochi lo sanno ma Letizia è laureata al Conservatorio, a differenza nostra è una grande musicista, e oltretutto diciamo che tutta la sua selezione musicale è sempre sempre molto curata e molto attenta. Non c’era persona migliore di lei per capire dove mettere il pezzo che avevamo in mente, che effettivamente parla dei fratelli Poët, non solo di Lidia, ma anche del loro rapporto, e quindi quello giustamente le è sembrato forse il momento più alto e più significativo del loro rapporto, era un po’ come un cerchio che si chiudeva. Ricordo il giorno in cui abbiamo girato quella scena: Pier ha fatto non so quanti take, non perché non l’avesse fatta benissimo la prima volta…
Pier Luigi: Perché sono un cane (ride).
Matilda: Perché è un cane maledetto (ridiamo). Il discorso andava ripetuto tante volte e io ogni volta mi commuovevo: con Pier ho questo tipo di rapporto, un canale emotivo apertissimo.
Pier Luigi: È reciproco.
Matilda: Quindi non riesco a immaginare un punto più azzeccato per utilizzare la canzone, ma questo dobbiamo riconoscerlo a Letizia.
Pier Luigi: Per spezzare una lancia a favore della nostra cialtroneria: è vero che noi non siamo musicisti, siamo attori, poi un po’ musicisti lo siamo perché alla fine facciamo questo… Matilda ha indubbiamente una voce incredibile secondo me, io ho altre doti che sono appunto quelle di fare canzoni che possono piacere o no, però ho coltivato e coltivo il songwriting. E insieme a noi c’erano due veri professionisti che ci hanno aiutato molto, sempre in questo clima rilassato: da una parte Francesco Bacci, che suona da una vita, ex chitarrista degli Ex-Otago e produttore adesso di musica elettronica con il progetto Lowtopic, e Patrizio Simonini, che è sound engeneer da vent’anni con i più grandi d’Italia. Ognuno ci ha messo del suo, ha prestato le sue skill al top della professionalità in un’atmosfera che esula da tutte le pressioni discografiche o di chi fa questo mestiere e ci deve campare.
Insomma: “due parole, quattro accordi e un posacenere”, come avete scritto nel comunicato che accompagna il pezzo.
Insieme: Esattamente così!
Mi sembra che il rapporto tra Enrico e Lidia nella seconda stagione sia cresciuto molto, il feeling artistico che avete fa vivere anche le loro dinamiche. Le sequenze in cui ho riso di più sono quelle delle vostre interazioni, credo siano i veri momenti di comic relief di Lidia Poët: siete d’accordo?
Matilda: Grazie, noi questo lo lasciamo sempre dire al pubblico. Sicuramente si vede che ci vogliamo bene, che siamo veramente liberi di poterci divertire sul set, e in questo senso avevamo già strutturato un rapporto chiaro non solo in scrittura, ma anche attraverso quello che poi ci avevamo messo noi personalmente e artisticamente dalla prima stagione, quindi nella seconda sicuramente abbiamo spinto l’acceleratore in quella direzione perché ci sembrava che funzionasse, quantomeno per noi. Egoisticamente parlando, quello che facciamo lo facciamo sempre senza pensare per forza a chi lo riceverà, ma a noi in quel momento, se ci torna, se è giusto, se ci risuona e soprattutto se ci diverte. E sono contenta che si veda quanto io e Pier ci divertiamo a fare i fratelli Poët.
Pier Luigi: È pazzesco, perché ho mandato ieri un vocale a Matilda in cui dicevo esattamente questo. Anche se noi avevamo ovviamente la consapevolezza che funzionasse perché funziona prima di tutto per noi, e se funziona per noi, se noi ci divertiamo, molto probabilmente si divertono anche gli altri. È vero, siamo cresciuti tantissimo nel nostro rapporto all’interno dei personaggi e dell’arco narrativo, ma è cresciuto tantissimo il nostro rapporto anche come persone e questo, essendo un lavoro dove puoi essere bravo finché vuoi ma se sei bravo da solo non vai da nessuna parte, deve esserci per forza, deve passare qualcosa tra quelle persone, perché altrimenti puoi recitare bene ma non fai la differenza, semplicemente. E quando il lavoro si alimenta di altro diventa qualcosa di speciale, che poi magari non tutti vedono ma non dev’essere importante, noi sappiamo che questo è godurioso per noi e ci fa affrontare tutto in maniera molto più bella.
Godurioso è un aggettivo bellissimo. La scena che non riuscivate a girare perché ridevate troppo?
Pier Luigi: Praticamente tutte!
Matilda: Sì, davvero… tutte!
Pier Luigi: Ci sono delle grosse problematiche a girare Lidia, tra il caldo, la fatica e tutto quel cazzo che vuoi, ma la cosa peggiore è proprio riuscire – e non sto scherzando – a stare seri, a non mandare le scene in vacca, perché molte volte noi siamo davvero… Siamo stati anche cazziati per questo nella prima stagione, e nella seconda. Ogni tanto c’è qualcuno – il regista o altri – che arriva a dire: “Adesso basta, state esagerando”. Qualsiasi cosa, anche solo uno sguardo nel momento sbagliato…
Matilda: Letteralmente qualsiasi cosa…
Pier Luigi: Fa finire in merda la scena.
Matilda: Ricordo una volta in cui per sbaglio Pier ha detto: “Brutto faccendo”, una cosa che non fa ridere, non significa nulla. E siamo stati almeno mezz’ora in cui non riuscivamo ad andare avanti, perché anche se diceva la battuta giusta, per me ormai lui aveva detto “faccendo”. Quindi la risposta è: in tutte le scene che abbiamo girato insieme, in tutte, c’è stato qualcosa che non riuscivamo a superare.
Pier Luigi: Anche quando c’è qualcosa che ci fa ridere in scena…
Matilda: Noi la esasperiamo.
Pier Luigi: Un giorno è arrivato un tizio vestito da cipitillo che faceva parte di un’associazione, volevano fare delle foto con noi prima di girare e abbiamo iniziato a scattare insieme al cipitillo vestiti da Ottocento. Era una situazione assurda, ed è entrata nella scena immediatamente. È stato un casino perché ogni volta che mi giravo e le dicevo “cipitillo” prima di iniziare, era finita. Sono anche dinamiche che magari non fanno ridere a raccontarle, ma se tu venissi con noi sul set capiresti esattamente di cosa stiamo parlando.
Ma traspare, vi ho fatto questa domanda perché si percepisce proprio. Vedendo la serie, senza alcun tipo di backstory, quella roba lì arriva, almeno a me. Quando avete registrato il brano in studio stesso copione? È stata altrettanto dura?
Pier Luigi: In studio è stato bello, anche perché Francesco Bacci è proprio uno di noi, era come stare sempre al bar, c’era un clima rilassato e disteso in cui abbiamo detto tantissime cazzate ancora prima di iniziare a mettere le mani su una tastiera.
Matilda: Sì, lì è diverso perché in qualche modo tu sei regista e produttore di te stesso, sempre parlando del nostro caso in cui non dovevamo rendere conto a nessuno se non a noi stessi, era una situazione di costante ricreazione. Me lo ricordo anche quando ero adolescente e suonavo coi Rumba de Bodas: la musica secondo me deve avere quello spirito di aggregazione tra le persone che la fanno, e quando la puoi fare in quel modo, in totale libertà, è veramente la cosa più bella del mondo, più di tutto. In studio eravamo a briglia sciolta, perché a volte secondo me quell’isteria che ti viene sul set è un po’ come succede a scuola e dipende anche dal fatto che c’è qualcuno che ti controlla, tu sai che non potresti fare quella cosa e ti viene la risata isterica perché sai che ti dovresti contenere, essere ”professionale”, tra virgolette. Poi noi lo siamo veramente tanto, però ecco, nel momento in cui tu togli l’autorità non c’è neanche più il gusto di essere monelli. Potevamo veramente essere noi stessi, per cui sì, situazione stupenda ma molto molto diversa da quella che c’è sul set, in cui comunque abbiamo dei ruoli, ci dovremmo comportare anche in un altro modo, anche se non succede. Ed è giusto così, lo facciamo per il bene della serie, per il bene dei rapporti.
Pier Luigi: Poi come in Lidia quello che viene fuori attraverso la nostra recitazione è anche quello che siamo e quello che viviamo noi, ancor più nella musica viene fuori esattamente quello che riesci a creare con le persone, ma io penso che valga per tutti i mestieri, per tutte le cose della vita. Come sei con quella persona viene fuori attraverso la musica o quel cazzo che vuoi, però nell’audiovisivo quello che sei viene filtrato attraverso l’occhio del regista, del direttore della fotografia, del montaggio, della post-produzione, invece nella musica questo è ancora più diretto, quello che fai tu ha il filtro della produzione musicale, che però sei sempre tu a scegliere
Matilda: Sei regista di te stesso, nella musica teoricamente sei più in controllo di quello che accade.
Pier Luigi: Sì, e quindi ancora di più traspare tantissimo quello che sei e quello che riesci a creare con gli altri. Infatti tra noi quattro si è creata una cosa bella, che poi è venuta fuori attraverso questa canzone.
Domandona: secondo voi, grazie anche a figure come le vostre, riusciremo ad andare prima o poi nella direzione di concepire gli artisti a 360° anche in Italia? Voglio dire: per gli americani ci sono gli attori, ci sono i cantanti, ma la commistione è all’ordine del giorno, l’artista è artista, è in grado e vuole anche fare tutto. Penso a Lady Gaga & C.
Matilda: Bisognerebbe partire a monte, probabilmente in Italia i musicisti ancora non hanno la possibilità di esprimersi realmente come vorrebbero, e quindi già in quella limitatezza non c’è la possibilità di uscire da canoni prestabiliti, dalla musica commerciale di oggi, dal monopolio delle radio, e quindi è molto difficile come dici tu poter diventare un artista, o meglio una persona che si esprime con l’arte. Non siamo in grado veramente di esprimere a pieno, nella maniera in cui vorremmo, la nostra arte, perché ci sono ancora troppi paletti, troppi dettami. Quello secondo me è l’impedimento che non permette di poter sperimentare a 360°, perché appunto se già un musicista non può sperimentare davvero nella sua musica, figurati se può farlo improvvisamente ballando, dipingendo o attraverso qualsiasi altra arte performativa. Io mi auguro che venga data sempre maggiore libertà alle persone che fanno arte e sempre meno controllo al commerciale, alla politica, all’immagine, alle sovrastrutture, perché c’è purtroppo tanto tanto controllo da quel punto di vista, per quello per me è difficile da pensare in questo momento. Io non vedrei l’ora. Purtroppo è capitato anche a me, quando sono stata avvicinata dalla musica che già recitavo: mi venivano proposte cose da cantare e io già soltanto dal modo in cui i discografici si approcciavano a me capivo che non gliene poteva fregare di meno di quello che avevo da dire. E questo mi ha sempre molto bloccata dal pensare: “Magari un giorno potrei anche esplorare la strada della musica”, dato che ha sempre fatto parte della mia vita.
Pier Luigi: Questo secondo me è un tema gigantesco per gli artisti, soprattutto adesso, che sono ancor più vessati di quanto non lo erano prima perché ovviamente il mondo è cambiato velocissimamente, quindi ci sono 1800 pressioni. Io credo che la sfida vera di un artista ora sia proprio quella di mantenere la sua identità. I compromessi vanno fatti, però va trovato il modo, artistico anche quello, per poter mantenere la propria unicità senza finire in una grotta da solo a suonare per gli animaletti che ti passano davanti. E tantissimi artisti stanno già facendo grossi passi in avanti in questo, già solamente dire: “Ragazzi, a me i cellulari mentre suono mi stano sul cazzo”. No?
Matilda: Oppure: “Non voglio fare i video su TikTok”.
Pier Luigi: Ci sta, perché poi la musica è più forte di tutto, l’arte è più forte di tutto questo, per fortuna. E visto che si parla di arti che, al di là dell’audiovisivo e della musica, esistono soprattutto come piace a me dal vivo, come la rappresentazione teatrale per esempio, sono cose che non moriranno mai, non ci sono TikTok e social network che tengano. Quando tu sei davanti a delle persone con la chitarra e basta, cagato in mezzo alla strada, questo è più forte di tutto il resto, ed è l’unica cosa che conta, per me ovviamente. Sugli artisti che fanno diverse cose, ci sono persone tipo Lady Gaga che, non credo sia per una questione di interesse, sente l’esigenza come tanti prima di di lei di dedicarsi ad altro, come nel mio piccolo faccio io o fa Mati. Ti piace dipingere, ti piace scrivere, ti piace cantare, ti piace recitare. Ben venga non limitarsi, e soprattutto esprimersi in tutte le forme in cui la persona ha voglia di esprimersi. Ma questo non vale solo per gli artisti, vale per tutte le persone al mondo.
Matilda: Non siamo asettici, dobbiamo essere contaminati da altre cose.
Pier Luigi: E nella recitazione questo vale ancora di più: chi si occupa solo di recitazione dopo un po’ ha finito, impazzisce, dove prende il resto? Chi si occupa di musica non può occuparsi solo di quello. Tu guardi un bicchiere e hai la creatività per vederci un mondo dietro, attraverso quel bicchiere, però per farlo hai bisogno di stimoli, di nutrirti anche da altre parti.
Se doveste pensare a un pezzo rappresentativo dei vostri personaggi, Enrico e Lidia, a parte il vostro ovviamente, quale sarebbe? Domanda tosta anche questa, lo so, forse anche più difficile di quella di prima.
Matilda: Difficilissima! Però io forse io dovrei pensare a quello per Enrico e Pier a quello per Lidia, per non fare quelli che “e adesso parliamo un po’ di me”.
Ahahaha, bello! Vai.
Matilda: Io dico Bohemian Rhapsody dei Queen, perché dentro c’è tutto, e poi c’è quella cosa un po’ (fa il gesto) nervosa di Enrico.
Pier Luigi: Per me Lidia è sicuramente una canzone dei Clash: credo possa essere London Calling.