Prima della lezione di cinema all’Anteo di Milano per l’uscita di Fino alla fine, abbiamo messo Gabriele Muccino e i suoi attori Lorenzo Richelmy e Saul Nanni seduti su un divano e abbiamo chiesto loro di spiegarci “il metodo Muccino” in una conversazione a tre fra cinema e serialità. Eccola.
Lorenzo Richelmy: Posso partire con una domanda complicata, ma che secondo me potrebbe essere molto interessante? Il cinema oggi è rilevante?
Gabriele Muccino: Faccio di tutto perché lo sia, penso che ci si una transizione importante che dobbiamo comprendere e assecondare, altrimenti facciamo la fine di Buster Keaton, che non ha transitato dal cinema muto a quello sonoro e da imperatore della Paramount è finito nella roulotte davanti ad alcolizzarsi. Non possiamo fermare qualcosa che si sta muovendo, se si è nostalgici si muore in questo momento. Ti ho risposto?
Richelmy: Sì, ma mi hai risposto da cineasta. Per un ragazzo di vent’anni, secondo te perché è importante il cinema nella società di oggi?
Muccino: Be’, se le serie vanno così tanto, se le guardano da casa, vuol dire che sono rilevanti, perché altrimenti non se le vedrebbero.
Saul Nanni: Però il mondo delle serie è un conto e quello del cinema un altro…
Muccino: No, ci sono serie che sono inequivocabilmente dei film lunghi.
Nanni: Secondo me c’è un discorso legato al fatto che guardarsi una serie a casa richiede un certo tipo di attenzione e la sala un altro.
Muccino: Sì, però il prodotto obbedisce alla stessa drammaturgia, che sia in sei episodi o in due ore. Anche i film di Sergio Leone duravano tre ore e passa, penso tipo a Il buono, il brutto, il cattivo. Sono come quattro episodi di una serie, per cui è un cinema molto, molto disteso: però è cinema. Disclaimer, la serie di Alfonso Cuarón è cinema, il film che aveva fatto per Netflix, Roma, è a sua volta cinema. Cambia perché non hai la scatola ottica del cinema, la vera differenza è che non hai un luogo scuro con un proscenio o uno schermo illuminato dove l’attenzione si focalizza da parte di tutto il pubblico.
Richelmy: È il rito.
Muccino: Esatto, è il rito, quindi anche il fatto che quando entri in quel rito il resto del mondo si ferma per te, non c’è l’ora della cena, nessuno ti chiama, per andare in bagno aspetti un attimo, se possibile resisti, il telefono lo metti da parte… è la scatola ottica quella che viene meno, ma non credo il contenuto.
Nanni: Però alla fine c’è una differenza su come uno recepisce quello che sta vedendo data dal fatto che, parlo per me, al cinema mi sento dieci volte più concentrato.
Muccino: Per i motivi che ti ho detto: torniamo a quelli che sentenziavano che il cinematografo non avrebbe mai funzionato, come puoi dire a un ragazzo di andare al cinema perché lì è diversa l’esperienza, lui sta bene a casa, se la vive bene lì, se li guarda col telefonino i film e va bene così. Non puoi obbligarlo a fare una rivoluzione all’inverso.
Richelmy: Le persone in realtà sono ancora disposte a spendere tantissimo tempo per un contenuto di tipo cinematografico, ma non si concedono più il lusso di andare a partecipare a un rito, e non parlo di un lusso economico.
Muccino: No, no, certo, parliamo di un lusso fisico, spostare il tuo corpo in un altro luogo, quello però dipende da…
Richelmy: Dalla società.
Muccino: Sì, è la società che si è distorta nel 2007, quando è arrivato il Blackberry: lì l’asse terrestre ha cambiato la sua inclinazione, perché abbiamo iniziato ad avere le mail ovunque fossimo. Poi sono arrivati i social, Facebook e tutto il resto. Quello ha spostato il luogo fisico dove stavamo in contatto con tutto quello che era anche molto, molto distante: non dovevamo più tornare a casa per controllare la mail perché stava dove stavamo noi. Questo è stato il cambiamento siderale, per cui ovviamente ora che cosa succede? Che anche la casa dove stai diventa ufficio, diventa il posto dove interagisci, il telefono diventa la piazza e anche la fruizione di qualcosa che oggi ha la possibilità di essere proiettato sullo schermo, con un proiettore che costa duemila euro, è comunque è accessibile. Ora non so quanto costi un surround decente, però è davvero alla portata…
Nanni: Sì, un dolby surround in casa te lo riesci a fare con 700 euro e comunque è ottimo.
Muccino: Ed è un’esperienza anche su un televisore da 75 pollici, che una volta era impensabile.
Richelmy: La tua idea di fare cinema è cambiata di conseguenza?
Muccino: Quando ho fatto la mia serie (A casa tutti bene – La serie, prodotta da Sky, ndr) ed ero al montaggio lo guardavo sul telefonino. È cambiato questo, e ho capito dopo una settimana che i miei piani erano troppo larghi.
Nanni: È una cosa molto bella questa, guardando dal telefono ti sei reso conto…
Muccino: Che quel linguaggio era troppo largo.
Richelmy: Era troppo cinema.
Muccino: Era cinema, ma in realtà poi non ho cambiato un cazzo, perché essendo dei piani sequenza stavo soltanto più addosso agli attori, con un’ottica diversa, tutto molto più vicino, ancora più plastico. Stai addosso ancora di più ai personaggi.
Nanni: Ancora di più? (Ridono)
Muccino: Eh sì, perché quando passi da uno all’altro diventa proprio materia in movimento… ancora di più con una lente media. Però sì, mi sono accorto vedendo i giornalieri sul telefonino che li vedevo piccoli. E questo era il riferimento, ecco perché ci ho pensato.
Nanni: Che poteva arrivare anche sul telefono.
Muccino: Ci sarebbe arrivato sicuramente: telefono, iPad… spero che la televisione grande ce l’abbiano, ma devi considerare che magari non è così.
Nanni: Però il tuo metodo con noi, quello non cambia, giusto?
Muccino: Resta identico: la grammatica della messa in scena, la scrittura pure. Anzi, devo dire la verità, se non ci fosse stata la serie non avrei fatto questo film, perché mi ha fatto esplorare il crime. La prima stagione era scritta da questi sceneggiatori che l’hanno portata in quel territorio, non era una mia intuizione. E allora, perché no, mi sono trovato ad arrivare in quel territorio, anche a sistemarlo perché logicamente c’erano dei buchi, però poi ho capito che mi piaceva e la seconda stagione l’ho scritta completamente da solo, c’è tantissimo di mio e ho capito che potevo realizzare una storia corale. In un film, in cui sono 16 personaggi in un’ora e 50 minuti, a ognuno dedichi, se sommi tutto il tempo delle scene, 15 minuti. In una serie invece ognuno di questi 16 personaggi ha 50 minuti a disposizione per raccontarsi. Quindi vuol dire che tu puoi raccontare anche il disordine della mente di un uomo, quanto il caos influisca sulla nostra vita e ci faccia cambiare idea anche in modo vorticoso, che è ciò che sta alla base di Fino alla fine. Questo al cinema non lo puoi fare, perché disorienta lo spettatore, lo confondi e te lo perdi. Al cinema devi stare attento ai ripensamenti [dei personaggi], perché non hai il tempo di farli metabolizzare o comprendere.
Nanni: Stavo ripensando al tuo metodo, proprio a quello che ci hai chiesto sul set. Credo che tu faccia sempre una preparazione lunga, ma in questo progetto, con tutto il discorso del fare il film in inglese e in italiano (Fino alla fine è stato girato in due versioni, ndr), ne era richiesta ancora di più. E dai primissimi giorni la sensazione che avevo quando tornavo a casa era: “Questo è un regista che veramente va a letto tutte le sere e si rivede il film nella sua testa”. Mi sono reso conto che mi parlavi di un film che avevi già visto 500 volte. Semplicemente io dovevo capire di cosa tu avessi bisogno. Questa è stata per me una linea molto chiara di direzione fin dall’inizio.
Richelmy: Confermo, verissimo.
Muccino: Il vero elemento che fa la differenza è quanto vui riuscite a raggiungere quella temperatura e a restarci dentro. Io do delle iniezioni di adrenalina perché tenere quella tensione è quasi disumano… (ride)
Nanni: C’è anche un fatto legato prettamente a come si gira un film. Una persona che non è mai stata su un set non se lo può immaginare: se io nella scena 56 sono fuori di testa e la giro martedì 20 ottobre, e la scena 57 la giro trenta giorni dopo nella location lì di fianco, quella follia va ritrovata in qualche modo. Paradossalmente lasci degli stati d’animo in un posto che devi trovare poi in un altro, e non è sempre automatico, no?
Muccino: Però questo fa parte dello storyteller. Il vero regista è uno che sa raccontare una storia. Poi ci sono registi che sanno girare bene, inquadrare bene, però la grande differenza è lo storytelling, e lì si vede il regista che sa perfettamente qual è la temperatura che ti serve, perché quella scena che viene prima di una che hai già girato un mese prima abbia una rampa coesa, perché se si sente lo scalino c’è qualcosa che fa chiedere a chi vede: “Che cazzo c’ha questo in mente? Perché non è agitato?”, oppure: “Perché è così agitato?”. La linearità delle emozioni che devi ricostruire poi in modo scomposto quando giri è una parte importantissima del mio lavoro. Il regista deve avere ben chiara qual è la temperatura delle scene, e per questo io ci tengo davvero tanto a provare, perché è quello il momento in cui io sento quando è troppo o quando è poco. E lo scopro insieme a voi.
Nanni: È questo il discorso. Quando proviamo, l’emozione della scena, il sentimento che devi provare arriva da te, cioè sei proprio un regista che se l’attore starà male in qualche modo soffrirai anche tu, se l’attore è agitato sarai agitato anche tu. Poi è chiaro che guardandoci io mi rendevo conto che tu capivi cosa magari ti funzionava di meno o di più, ma c’era un input iniziale molto forte. Prima di leggere la scena mi facevi quasi vedere in qualche modo di cosa avessi bisogno, ecco.
Richelmy: In conferenza stampa ti ho soprannominato un “regista carbon fossile”, nel senso che sei uno che ha bisogno di raggiungere un certo tipo di temperatura per accedere alla propria creatività, che è una cosa che personalmente condivido, per questione caratteriale proprio. Io sono un attore che lavora molto bene sotto pressione, perché appunto si fa cinema, non siamo dei chirurghi, non salviamo vite, e quindi per me è il conflitto la cosa più interessante, e in te ho trovato un regista alla ricerca non solo di conflitto ma di ciccia, se vogliamo usare parole povere. E, come diceva Saul, da attore, soprattutto io che ho avuto a che fare con molti registi un po’ seduti, quelli con la sigaretta alta e in posa, che stanno sulla sedia con scritto “regista” e questo li soddisfa molto, trovare invece un regista che tiene così tanto gli attori, che ti ricorda che il cinema è collegiale, è tanta roba. Trovo che la mancanza di questo atteggiamento in Italia sia controproducente per l’industria stessa: adesso sta diventando solo una questione o statistica, o di leadership. Io con la temperatura alta, le sudate, le gridate mi trovo molto bene.
Muccino: Già nei provini la chimica la cerchi e a volte non la trovi, no? È la vostra natura che porta il personaggio a vivere in un modo anziché in un altro. La natura è più forte del talento dell’attore, che ovviamente è importantissimo. Ma chi sei tu nella vita uscirà fuori sullo schermo, e io tendo sempre a scegliere fortissimamente la natura degli attori. E anche nel montaggio privilegio sempre gli attori alla scelta dell’inquadratura: sono gli attori a fare il film.