A furia di evocarli come spauracchio, anche i “comunisti” si sono risvegliati dal letargo. Se non politicamente, almeno culturalmente. È una semplificazione che ne richiama un’altra, certo, ma che rende l’idea dei tempi che stiamo vivendo. Mentre l’Italia è guidata dal centrodestra (per alcuni dalla destra-destra), riaffiorano espressioni come «rivolta sociale» (vedi Landini), «zecche rosse» (come Salvini ha definito i ragazzi dei centri sociali), e persino «le idee che scorrono nella mente» di un cantautore ormai in pensione – per sua ferma volontà – come Francesco Guccini scatenano riflessioni pubbliche.
A 84 anni, ci ha raccontato da Pavana che dopo le polemiche per la sua presa di posizione contro il governo non gli è arrivata alcuna reazione. Anche perché «non sono sui social». E così, in realtà, questi giorni li sta vivendo con più curiosità per il ritorno al cinema in versione restaurata, dal 5 all’8 dicembre, del film Fra la via Emilia e il West sul concerto che tenne in Piazza Maggiore a Bologna il 21 giugno 1984 (viene rieditato anche l’omonimo doppio live) in un misto di «paura, sorpresa e soddisfazione».
Con Guccini abbiamo parlato di quel bagno di folla che bloccò una città, dei motivi per cui oggi «si sono dimenticati le canzoni per strada», del segreto della creatività emiliana (forse aveva ragione Vasco), del No Meloni Day del 15 novembre a cui parteciperebbe se avesse qualche anno in meno: «Mi sento vicino agli studenti che manifestano».
Che effetto ti fa rivedere al cinema il film di quello storico concerto 40 anni dopo?
Per me è un bel ricordo che ritorna. Una serata fantastica in Piazza Maggiore a Bologna tra paura, sorpresa e soddisfazione per il successo di pubblico. Buona parte del concerto non si vede, perché non è stato più trovato. È scomparso. In quelle ore c’era una grande tensione.
Nel concerto esordisci con queste parole: «Ho detto agli organizzatori che accettavo per disperazione, ma che li avrei maledetti fino alla fine di questo spettacolo».
(Ride) Ho sempre avuto timore di suonare in pubblico, poi figuriamoci in Piazza Maggiore e con davanti tutta quella gente. Mi mettevano ansia i concerti per quello che sarebbe potuto succedere. Dopo le prime fasi, però, mi rasserenavo e andava tutto bene. Ma quella volta, in particolare, quando guardai fuori prima di salire sul palco rimasi attonito perché non avevo mai visto 160 mila persone tutte insieme in quella piazza. C’era tutto il centro di Bologna bloccato e non se lo aspettava nessuno.
Tra la via Emilia e il West è anche in parte la storia del mito americano che influenzò l’Italia. Ma già nel 1976 Giorgio Gaber, in un suo famoso monologo, diceva: “Agli americani, la cultura non li ha mai intaccati”.
Eh, in realtà quella cultura pop ha influenzato la nostra di cultura, a partire dal Dopoguerra. Il cinema, la letteratura, la moda, era tutto filoamericano. Ma forse una grande cultura non ce l’hanno mai avuta, infatti quella di Gaber era una battuta che nascondeva una verità.
Viste le ultime elezioni che in America hanno riportato Trump alla Casa Bianca…
Quel poco di cultura che avevano sembra tragicamente messa da parte.
Tornando al film-concerto, prima di interpretare Auschwitz, eseguita nel film dall’Equipe 84, hai spiegato che la gente all’inizio, quando la sentiva, faceva gli scongiuri.
Quando incisi Auschwitz per il mio primo LP, il tecnico di sala, che allora era vestito con un camice bianco e sembrava un medico, mi disse: «È lei che ha scritto questa canzone?». Gli risposi di sì e lui mi disse: «Se vuole continuare a fare questo mestiere cambi genere». Anche gli altri tecnici del suono non erano proprio entusiasti. Invece è stata una scelta… ma neanche tanto una scelta, perché non avevo scelta fra quelle canzoni o altre. O facevo quelle o buonanotte. Ma scrivere una canzone sui campi di concentramento, in quel periodo, non era del tutto usuale. Prima c’erano solo canzoncine d’amore o allegre. Scegliere quel tema ha rappresentato un grande cambiamento di prospettiva.
Oggi invece siamo tornati a quel tipo di canzoni “allegre”, cioè disimpegnate rispetto ai grandi temi umani e sociali.
Purtroppo è vero. Non c’è più quel tipo di canzone. Parlavi prima di Gaber, ma c’erano tanti altri che hanno fatto parte di quel periodo davvero eccezionale attraverso le canzoni dei cantautori. Io adesso non ascolto più musica, ma non credo che ci siano in giro brani che valga la pena di ascoltare.
Rivedendo la quantità e la qualità dei cantautori e dei musicisti che hanno caratterizzato l’Emilia, rimane una grande domanda: com’è che sono nati tutti lì?
Negli anni ho sentito tante spiegazioni. Io ho sempre creduto che fosse dovuto alla cultura contadina, che al tempo era ancora molto vivace in Emilia. Questa produceva tante persone che sapevano suonare e la sera si trovavano, dopo il lavoro o per le feste, a suonare insieme. Era molto diffuso il praticare la musica, anche da non professionisti. E per me è sempre stata quella cultura contadina ad aver prodotto l’ondata di musicisti e cantanti.
Vasco Rossi in tv da Serena Dandini disse che il segreto era solo uno: «La gnocca…».
(Scoppia in una fragorosa risata). Non so se sia quella la motivazione, ma se fosse quella, varrebbe la pena di mantenerla segreta.
Proseguendo con la scaletta del concerto di Fra la via Emilia e il West, si arriva a Dio è morto, suonata dai Nomadi, che come ricordi è stata censuratissima.
Erano tempi diversi. Se pensi che all’inizio furono censurati anche i Beatles, descritti come «un quartetto di stonati»… I maestri di musica che valutavano i nuovi artisti non erano molto attenti alla qualità, molto di più alla morale delle canzoni. Adesso si sente di tutto.
In concomitanza al film, verrà ripubblicato anche il doppio live omonimo già pubblicato nel 1984. Dopo Canzoni da intorto e Canzoni da osteria, sembra che ti rivedremo in classifica tra gli album più venduti. Ma come ti spieghi che il mondo è cambiato tanto, però la gente continua ad apprezzare le tue canzoni?
Forse il merito è delle canzoni stesse. Come dicevamo prima, mancano le canzoni che dicano delle cose importanti alla gente, o almeno che ci provino. Quelle che qualcosa lo dicono sono ancora apprezzate per questo motivo. Oggi hanno dimenticato le canzoni per strada…
Nel frattempo è uscito anche il tuo ultimo libro, Così eravamo, cinque racconti che spiegano l’adolescenza negli anni ’50 tra indiani e cowboy, proprio fra la via Emilia e il West.
Noi ragazzini di allora giocavamo agli indiani e ai cowboy per strada. La strada dove sono nato a Modena, allora si nasceva in casa, da un lato finiva nella via Emilia dove c’era un gran traffico che andava da Rimini a Piacenza. Dall’altra parte la stessa strada finiva nelle campagne. Per questo è nata l’espressione Fra la via Emilia e il West. Da un lato c’era il sogno, il gioco e la fantasia nelle campagne, dall’altro il mito americano e il progresso.
Sempre dall’Emilia sembra arrivare anche la reazione più forte rispetto al governo di Giorgia Meloni. Al Fatto quotidiano hai dichiarato: «Ha ragione Vasco, è un regime». E sono scoppiate un sacco di polemiche. Che cosa ti è arrivato nella tua Pavana?
Ma sai, io non frequento i social e quindi non mi è arrivata nessuna polemica.
Sono giorni che se ne parla, anche in tv e sui giornali. Non avrai cambiato idea?
No, assolutamente. Penso che neanche Vasco abbia ritrattato.
Il tuo amico Roberto Vecchioni ha detto di te: «Io sono sempre stato un comunista, lui un socialista. Non sono convinto che quello della Meloni sia un regime. Certo che l’aria del fascismo c’è. Che non è solo violenza, ma anche pensiero».
Non starei neanche più a distinguere tra comunista e socialista, di certo siamo due che sono sempre stati di sinistra. Che però, sai, al giorno d’oggi veniamo tutti definiti da Matteo Salvini comunisti, senza distinzioni, come ha detto in riferimento ai fatti di Bologna. Ormai ci hanno messi assieme tutti quanti nella caldera dei comunisti. Quelle che ho detto sono semplicemente le idee che mi scorrono nella mente oggi, che non sono giorni molto felici.
Il 15 novembre a Bologna gli studenti hanno organizzato lo sciopero nazionale denominato No Meloni Day. Ti piacerebbe partecipare?
Se avessi qualche anno in meno parteciperei, ma a 84 anni non è che vada più per le strade. Vivo in questo paesino di montagna e quindi non frequento la città. Troppa gente e troppo traffico. Però, sicuramente, mi sento vicino agli studenti che venerdì manifesteranno.
Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha annunciato la necessità di una «rivolta sociale». Sei d’accordo?
Sì, ma è stato molto mal interpretato. Non voleva dire di fare le barricate, quando ha parlato di rivolta sociale. Vuol dire che è necessario un cambiamento radicale. Mica la rivoluzione.
E un consiglio a Elly Schlein, segretaria del PD, senti di darlo?
Dare consigli è sempre difficile. Elly Schlein, tutto sommato, lo fa bene il suo mestiere. Le direi di continuare così, con un po’ più di grinta, anche mi pare stia facendo cose giuste.
In tutta Europa, invece, sembra tornato l’antisemitismo. A tua memoria, una situazione del genere l’avevi già vissuta?
Che io abbia vissuto, da quando ero ragazzo, non ricordo un antisemitismo praticato. Non c’era questo sentimento. Adesso sembra tornato a causa della guerra in Palestina. L’errore, però, è in quella guerra. Così è riaffiorato un antisemitismo dovuto al dissenso verso il comportamento di un certo governo israeliano. Un errore tragico alla base, perché non si può essere né antisemiti, né anti persone di colore né anti rom. Se si parla di razze è sempre sbagliato, non esistono. Ma si può essere contro il governo di Netanyahu e come agisce.
Intanto la nuova egemonia culturale in Italia non sembra aver prodotto, finora, cantautori di destra significativi. È un problema culturale o è solo questione di tempo?
Qualcuno c’è stato, anche se non l’ho mai conosciuto. Certo, non sono tanti. Adesso stanno cercando di far emergere la cultura di destra, ma che la dimostrino, che la tirino fuori. La canzone non è un grandissimo esempio di cultura, ce ne sono di molto più alti, però è un simbolo di quello che c’è a sinistra e quello che c’è a destra. Infatti non esistono delle canzoni interessanti dal punto di vista culturale di destra. È una dimostrazione che parla da sola.
Per chiudere con la stessa canzone che chiude anche il film concerto, ci pensi che se oggi un cantautore di destra dovesse riscrivere La locomotiva potrebbe chiamarla La ruspa o La fiamma?
(Scoppia a ridere) Non ne hanno bisogno! Certe mie canzoni, pensa un po’ te, sono state apprezzate dalla destra. Giorgia Meloni amava molto Cirano. Mi aveva anche invitato ad Atreju (la manifestazione politica giovanile della destra italiana, nda), ma io ovviamente non ci andai. E ho sentito che Roberto Vannacci ha citato la prima strofa della Locomotiva. Quindi a destra conoscono bene le mie canzoni, benché spesso si guardino bene dal cantarle in pubblico. Se invece cantano La locomotiva la modificano alle loro esigenze, come tutto.