Sarà che oggi il massimo dell’epica è dire: “Lascio Twitter”, o X, insomma quella roba lì. Che è un gesto pure comprensibile, se non fosse che vien da chiedersi: non è che l’avevate preso troppo seriamente e romanticamente prima, non è che invece è sempre stata un’arena per gladiatori, anche before it was Musk? Sarà per via del Presidente degli Stati Uniti vestito da spazzino, o degli sbreghi in testa dei nostri ministri fedifraghi, o metteteci quello che volete, ma insomma l’epica è finita, e Il gladiatore II – non c’entra, ma c’entra – è qui principalmente per dirci questo.
Che è anche il suo maggior merito: riportare in sala il più epico dei peplum moderni per distruggerne l’epica dall’interno, forse involontariamente, certamente però rispecchiando i tempi fuori dal Colosseo. Ci sono varie ragioni per cui tutto questo è accaduto, e una è il fatto che forse oggi siamo più stupidi, ma anche più smaliziati. E quindi il racconto old school di sangue e arena, e vendette, agnizioni, scatenamenti d’inferni ci fa un po’ sorridere, invece di conquistarci. (Quando invece, se tornassimo un po’ naïf almeno di fronte ai film o quel che ne resta, forse staremmo tutti meglio. Ma questa è un’altra storia.)
Sia inteso: Il gladiatore II (nelle sale dal 14 novembre) è un ottimo giocattolone, e risponde a tutto ciò che deve, l’intrattenimento, la natura di star vehicle (qui tocca a Paul Mescal, sallyrooner di nicchia che si è via via conquistato il suo posto al sole del mainstream), e l’idea del cinema-come-una-volta come in certe gelaterie artigianali – questi film sono un po’ come la “crema della nonna”, commercialissimi mischioni di ingredienti attualissimi che fanno però leva sulle nostre presunte nostalgie proustiane.
Non vi sto a dire la trama di questo sequel perché già la potete immaginare, ma comunque: vent’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio (cioè Russell Crowe), un giovane figlio delle colonie (Mescal) viene ridotto in schiavitù e portato a Roma da una specie di Broadway Danny Rose per gladiatori (il solito gigante Denzel Washington) che dovranno intrattenere l’imperatore cattivo – anzi due, Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger, decisamente channeling, come dicono altrove, il fu Commodo di Joaquin Phoenix). C’è anche la Lucilla (Connie Nielsen) dell’originale. Indovinate un po’ chi è chi.
Lo spettacolo tiene, del resto Sir Ridley Scott sa come comporre il solito tableau di uomini e bestie dove la Storia è riscritta in modo sempre molto elastico (del resto, è pur sempre quello che ha fatto ammazzare Maurizio Gucci nella piazza del quartiere Coppedè a Roma). Ma in fondo chi se ne importa: non esiste peplum senza kitsch, e Sir Ridley è uno degli autori che con il kitsch sanno, più o meno consapevolmente, giocarci sempre. (Sir Ridley è anche il regista che ha fatto di seguito i tre film – I duellanti, Alien, Blade Runner – che avrebbero definito per sempre il look del cinema coevo e successivo, per poi darsi a qualsiasi cosa, spesso appunto pacchianissima, finendo quasi per tradire le premesse iniziali. Ma anche per questo gli si vuole bene, e comunque anche questa è un’altra storia.)
Piuttosto, mi chiedo: a chi interessa Il gladiatore II? Certo i soldi li farà, ma credo per la passività con cui si vanno a vedere certi film che sono di fatto brand (la stessa passività con cui insieme alla nocciola tonda del Piemonte chiediamo la “crema della nonna”). Negli ultimi anni ci hanno convinti che al cinema avrebbero funzionato solo i sequel, i prequel, i reboot, le intellectual property, e per un po’ così è stato. Oggi – sto ai dati correnti, che potrebbero essere sconfessati domani: but still – mi sembra che il pubblico stia andando in un’altra direzione, persino il nostro che sembrava non esistere più; si veda il successo di Parthenope, e di The Substance, Vermiglio, Berlinguer, anche se il PCI forse vale come IP, sogno anzi un multiverso con singoli capitoli dedicati a Ingrao, Terracini, Nilde Iotti e tutti gli altri avengers. (Voi obietterete: però adesso in testa al nostro botteghino ci sono anche l’ultimo Venom e il restaurato Interstellar, e infatti c’avete di sicuro ragione, io di incassi non capisco niente.)
Il gladiatore II comunque funzionerà, forse Sir Ridley Scott vincerà l’Oscar alla regia che gli è sempre stato negato, saranno contenti i maschi incel (scusate) ma anche i maschi gay per via delle cosce di Paul Mescal, e tutti si illuderanno che un po’ di epica ancora rimane, quando lasceranno il cinema per andare al McDonald’s dove forse a cucinargli l’hamburger ci sarà Trump. Ma questo su X non scrivetelo.