Addio Peter Sinfield, con te se ne parte la fantasia | Rolling Stone Italia
Siamo diventati tutti schizoid men

Addio Peter Sinfield, con te se ne parte la fantasia

Se n’è andato l’autore di testi che coi King Crimson ha rivoluzionato l’immaginario del rock. Quando il “paroliere” diventa membro della band, anche se non suona uno strumento

Addio Peter Sinfield, con te se ne parte la fantasia

Peter Sinfield con Robert Fripp nel 1969

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

Peter Sinfield ha portato più di ogni altro autore di testi la fantasia nel rock, creando quadri poetici di bellezza sublime e a volte terrorizzanti. Figura peculiare nella storia del rock, morto il 14 novembre a 80 anni d’età, era componente di una band senza suonare alcun strumento. Un precedente c’è, a dire il vero: nel 1967 i Procol Harum decidono di inserire in formazione non un musicista o un cantante, bensì un autore di testi. È Keith Reid, co-autore della celeberrima A Whiter Shade of Pale e poi dei testi di tutti i successivi album. Nelle foto di gruppo Reid appare insieme ai musicisti, un fatto rivoluzionario che denota quanto la musica che sta nascendo in quel periodo, tra psichedelia e proto prog, necessita non di parolieri più o meno improvvisati, ma di veri e propri poeti.

Lo stesso ruolo di Keith Reid viene coperto da Sinfield nei King Crimson dei primi quattro fondamentali album che hanno contribuito a codificare il progressive e che, in definitiva, sono il lascito più importante della carriera di Sinfield. Inizia la sua storia con la band in qualità di roadie, in seguito diventa addetto alle luci e tecnico del suono, posizioni che continuerà a ricoprire fino a quando uscirà dal gruppo. Il suo innato talento poetico stuzzica l’interesse di Robert Fripp & Co. agli inizi della vicenda crimsoniana. Se la band deve farsi portatrice di un suono rivoluzionario, anche i testi devono essere inauditi.

La poetica di Sinfield riprende spunti già presenti nel repertorio di Syd Barrett. Se quest’ultimo pareva un Lewis Carroll sotto acido, le influenze di Peter sono più ampie: Blake, Shakespeare, Shelley, Rilke, Keats sono i punti di riferimento di questo giovane hippy con la testa sulla luna e lo spinello sempre acceso. Quando scrive, prendono forma mondi surreali, grotteschi, fiabeschi. La fantasia al potere. La psichedelia aveva portato tematiche “aliene”nel rock, ma Sinfield si spinge oltre. Fa a meno di ogni stereotipo: il trittico sex and drugs and rock’n’roll muta forma. Non scompare, viene trasfigurato. Il sesso rimane, ma le creature dei sogni sinfieldiani sono ninfe eteree, sognanti, sospese, irraggiungibili. La droga è spesso il tramite per agevolare le visioni. Il rock’n’roll si trasfigura sotto le mani degli amici musicisti: si fa jazz’n’roll, classic’n’roll, folk’n’roll, avantgarde’n’roll e via espandendo i confini. Sinfield viene lasciato libero di spaziare: crea mondi metaforici nei quali ogni elemento del reale si rivela tramite il surreale. Prima di tutto ciò, inoltre, plasma l’identità del gruppo forgiando un nome che solo a pronunciarlo evoca mistero e potenza: King Crimson.

Mito nel mito: se c’è un lavoro discografico grazie al quale band e paroliere lasciano il segno è l’esordio del 1969 In the Court of the Crimson King. Qui l’universo di Sinfield trova la sua piena realizzazione sin dalla traccia iniziale, la più violenta, 21st Century Schizoid Man, impietoso ritratto dell’uomo del secolo a venire alle prese con una vera apocalissi testimoniata da parole graffianti, allucinate, paranoiche. Con dentro zampe di felino, artigli di ferro, neurochirurghi che urlano, filo spinato, griglie insanguinate, pire funerarie per i politici, innocenti violentati con il fuoco del napalm. Ci sono rabbia e paura, c’è lo spettro del Vietnam. Poi l’atmosfera si placa, I Talk to the Wind è leggiadra nella musica e nelle parole che però ancora una volta dissertano di insicurezza, di disillusione, di una sorta di fragilità che rende difficile conformarsi al mondo (“Much confusion, disillusion / All around me”). Quel mondo che in Epitaph si colora nuovamente di catastrofe, la terribile premonizione del futuro è tutta in queste parole: “La conoscenza è una compagna mortale / Quando nessuno istituisce delle leggi / Il destino della razza umana, io vedo / Ѐ nelle mani di folli”.

Dopo tanto pessimismo arriva Moonchild, la descrizione di una delle molte muse di Peter che “naviga nel vento / vestita con una vestaglia bianco latte / facendo cadere rocce tonde su una meridiana / gioca a nascondino con i fantasmi dell’alba / aspettando il sorriso di un figlio del sole”. Infine il manifesto di un’epoca: The Court of the Crimson King, processione di bizzarri personaggi a metaforizzare reale e irreale: il purpureo suonatore di cornamusa, i guardiani delle chiavi delle città, la regina nera, la strega del fuoco, il giardiniere, il giocoliere giallo e la danza dei burattini. Tra mito, leggenda ed esoterismo. Pochi nel rock inglese sono stati capaci di rappresentare in maniera tanto puntuale un teatro di fantasia dolce e allucinato.

Sinfield proseguirà a palesare la sua poetica nei dischi seguenti In the Wake of Poseidon (1970), Lizard (1970) e Islands (1971), colmi anch’essi di labirinti angelici e disturbanti, con una menzione speciale per le sospensioni ultraterrene di Islands e per la suite Lizard, vero poema epico/alchemico. Trascorso questo intenso periodo qualcosa si rompe, la creatura lunare è troppo freak per un leader “matematico” come Robert Fripp, che sente che un ciclo è arrivato al termine, che è ora di mutare musicisti, paesaggi poetici e sonori. Da quel momento ci saranno tanti altri King Crimson, ma nessuna incarnazione raggiungerà le vette poetiche e visionarie del binomio con Peter Sinfeld.

Sinfeld a quel punto sarà costretto a reinventarsi, nel tempo sarà produttore (del primo dei Roxy Music), inciderà alcuni (dimenticabili) album solisti e metterà la sua arte di paroliere al servizio di altri: dalla PFM fino agli Emerson, Lake & Palmer e addirittura a Céline Dion. In alcuni campi scriverà nello stile a lui più consono, in altri normalizzerà la sua poetica. Le altezze raggiunte nel triennio 1969-71 non torneranno più. Parafrasando De André dico quindi: addio caro Peter, con te se ne parte la fantasia.

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