X Factor 2024, la fine è l’inizio | Rolling Stone Italia
Cover Story

X Factor 2024
La fine è l’inizio

I Patagarri, Mimì, Lorenzo Salvetti e Les Votives si sfideranno giovedì nella finale del talent di Sky, che per la prima volta si svolgerà in piazza a Napoli. «Sarà come provare una Ferrari quando non hai ancora i soldi per comprarla». Sanno che la vittoria e la sconfitta non sono punti d’arrivo, ma di partenza. Il mondo fuori li aspetta. Sembrano sufficientemente saggi da cavarsela

Foto: Simone Cossettini

Quattro talenti, un palco storico, un sogno che può diventare realtà. Il finalisti di X Factor 2024 non competono solo per il primo posto nel talent, ma anche per la possibilità di giocarsi le proprie chance nel mercato discografico. Abbiamo incontrato I Patagarri, Mimì, Lorenzo Salvetti e Les Votives a poche ore dal 5 dicembre, giorno in cui lo show di Sky (in streaming su Now) li porterà in Piazza del Plebiscito a Napoli, che ospiterà la prima finalissima di X Factor “in esterna”. Nel loft che li ha cullati per mesi il clima è da classica calma prima della tempesta. La tensione è ben celata, ma c’è, così come la consapevolezza che questo è un punto di partenza, non di arrivo. La cosa che li differenzia da altri finalisti del talent è l’esperienza che li tiene coi piedi per terra.

Con il loro mix di jazz, swing e incursioni nella trap, I Patagarri hanno sfidato le regole del gioco e, per il momento, hanno avuto la meglio. «Abbiamo chiesto a chi ci organizzerà i concerti di prevedere delle date da busker, perché è da lì che siamo partiti e lì vogliamo restare». Anche Les Votives, il trio milanese che per definirsi ha coniato il termine chic rock, ha a cuore la “palestra” nella quale si è formato: «Il busking è un modo semplice per racimolare i primi soldi e farsi conoscere. I locali chiudono o non pagano e nelle città sono sempre meno le postazioni pubbliche nelle quali esibirsi».

L’altro fil rouge che unisce i finalisti è l’intenzione di non montarsi la testa. Mimì e Lorenzo Salvetti, che coi loro 17 anni sono i più giovani di questa edizione, non hanno fatto una vera e propria gavetta e si aggrappano ai frammenti della loro quotidianità. Oltre a sentirsi «una possibilità per un’Italia nuova» per via delle origini afro-italiane, Mimì si è stupita nel sapere che per la finale vogliono mettere un maxischermo all’oratorio della sua Usmate Velate. Salvetti, che una volta uscito dovrà fare i conti con le sue fan, le “lorenzine”, è incredulo di fronte alla prospettiva del «mio primo vero grande concerto». Se dovesse incontrare Robbie Williams, il superospite della puntata, non gli chiederebbe un autografo, ma un supporto emotivo. «Gli domanderei dei suoi inizi nella musica e delle difficoltà che ha dovuto superare». Ecco perché, stavolta più che mai, la vittoria e la sconfitta, per questi ragazzi, sono eventualità squisitamente relative.

I Patagarri, quelli del Balkan swing

Nessuno si aspettava che I Patagarri potessero arrivare in fondo. Vengono da Milano e dintorni questi cinque musicisti dai 20 ai 31 anni – Francesco Parazzoli (tromba e voce), Jacopo Protti (chitarra), Daniele Corradi (chitarra), Giovanni Monaco (clarinetto e sassofono) e Arturo Monico (trombone e percussioni) – e portano con sé uno stile che ne mescola tanti altri, compresa la trap. Nemmeno loro riescono a definire con semplicità il loro genere. «Non siamo proprio jazz, come dicono, siamo un ibrido: lo swing, il gypsy, il manouche, uniti a trap e rap. Ci spaventa essere definiti jazzisti».

A sentirli parlare, però, hanno una filosofia musicale chiara: «Ci definiamo Balkan swing d’autore. O Balcan trap, anche se di trap c’è solo l’inedito per ora. Gli altri sono più swing e musica popolare». Questa capacità di spaziare è stata accolta favorevolmente dal loro giudice, Achille Lauro. «Siamo fortunati, ci ha dato tanta libertà per arrangiare i brani. Una mano ce l’hanno data i produttori, mentre Lauro è stato aperto a tutto. Ha sperimentato tanti generi e ci ha consentito di fare lo stesso».

Foto: Simone Cossettini. I Patagarri indossano: Francesco (Blazer & Pants A Paper Kind, T – Shirt The Cube, Shoes Cuoio di Toscana), Arturo (Shirt The Cube, Suspenders The Cube, Shoes Mille885, Pants 1989), Giovanni (Blazer Romeo Gigli § Shirt Roy Cooper, Shoes Ecco, Pants The Cube), Jacopo (Jacket 1989, Shirt The Cube, Shoes Scarosso, Pants No Name), Daniele (Shoes Ecco, Shirt Sixty, Pants C93, Blazer Loro Piana)

Foto: Simone Cossettini

Alla conferenza stampa di ottobre Francesco, il frontman del gruppo, portava con sé quella che sembrava una agenda. Era in realtà un classico della letteratura, Per chi suona la campana di Hemingway. «Da quando sono qui dentro ho letto una decina di libri. Mia mamma è bibliotecaria, tutti i libri che ho sono quelli che scartano, rovinati, con dentro ancora le tessere dei vecchi prestiti». Quattro membri del gruppo su cinque devono ancora concludere gli studi universitari: «La probabilità di perdere l’anno è alta, però vogliamo laurearci. Avere un titolo fa sempre bene. Se dovesse andare male con la musica, possiamo insegnare». Giovanni, l’unico già laureato, aggiunge lapidario: «Nella musica non si finisce mai di studiare».

Hanno affrontato l’avventura a X Factor con qualche dubbio. «Non amavamo molto i mondi del talent e della televisione. Ci spaventava l’idea di affidarci completamente a produttori televisivi che spesso nei montaggi ti fanno uscire come vogliono loro e non ti danno la libertà di intervenire. Alla fine però i montaggi ci sono piaciuti. Hanno creato personaggi non così lontani dalla realtà». Anche i timori di snaturarsi si sono rivelati infondati o quasi. «Un po’ ci siamo snaturati, ma è successo per nostra volontà. Quel che abbiamo fatto a X Factor non è esattamente quello che facevamo fuori, ma ha quell’impronta, unita a quella di un produttore che vuol vendere musica». Guardando al futuro, sognano collaborazioni «con artisti come Vinicio Capossela e Goran Bregović», ma anche un ritorno alle origini: «Sarebbe bellissimo tornare a suonare ai mercati di Milano, lo abbiamo già detto a chi ci organizzerà i live, perché è da lì che siamo partiti e lì vogliamo restare». Senza perdere la loro autoironia: «Con un impianto vero non si può fare, perché con gli ambulanti non si scherza, se fai troppo casino e non riescono a lavorare ti imbruttiscono».

Se pensano alla finale a Piazza Plebiscito, non nascondono un po’ di emozione. «Finché non c’è il soundcheck è qualcosa di lontano, non riusciamo a crederci. Sarà un bell’impatto, con la piazza e tutto quel pubblico». E se nel backstage dovessero incontrare Robbie Williams? «Non lo conosciamo, qui non possiamo neanche cercare le canzoni sul cellulare, quando si tratta di pop siamo ignoranti». Non mancano di scherzare: «Gli faremo un autografo! No dai, ma se parte la jam, noi ci siamo».

Mimì, il cambiamento è una possibilità

Mimì Caruso sembrava la superfavorita già alle Audition. Poi, in semifinale, è andata al ballottaggio con Francamente e ha rischiato di uscire. Ma sarebbe stato ingiusto viste le qualità vocali, le esibizioni che ha portato all’X Factor Arena e una maturità davvero invidiabile. Originaria del Mali e cresciuta a Usmate Velate, provincia di Monza e della Brianza, ha una voce calda e profonda che ha conquistato il pubblico, ma il suo percorso è stato molto più di una semplice competizione canora. Per lei, la musica è un mezzo per esprimere sé stessa e affrontare temi importanti come l’identità e l’inclusione. «Essendo afro-italiana, adottata da genitori italiani a otto mesi, far vedere ad altri che questa cosa si può fare è incredibile. Da piccola non ho mai visto in tv una ragazza afro-italiana che cantava. Per cui il mio percorso dimostra che le cose stanno cambiando».

Con il suo stile che mescola indie, hip hop e new soul, ha saputo brillare anche nei momenti più difficili. Durante una settimana complicata, per esempio, ha affrontato problemi alle corde vocali e tutto il peso di un brano iconico come Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina: «Sinceramente non mi aspettavo che venisse così apprezzato, perché non sono stati giorni semplici, avevo problemi alla voce. Un casino! Temevo di non riuscire a onorare il pezzo, di non divertirmi e tante altre cose. Ma più ascoltavo Mina e più riuscivo ad avere una visione personale del brano. Alla fine è stato bello».

È convinta che, tra le sue performance, tre su tutte l’hanno messa in luce: «Mi sei scoppiato dentro il cuore, Strange Fruit e La sera dei miracoli». Il momento più emozionante è stato l’inedito scritto per lei da Madame: «Sono molto onorata. Quando mi hanno avvisato tremavo dalla felicità. L’essere capita così bene da lei è stata un’opportunità». Si intitola Dove si va e con le sue sonorità contemporanee rappresenta la Mimì che il pubblico potrà conoscere fuori da X Factor.

Foto: Simone Cossettini. Mimì indossa Skirt Levi’s, Shirt The Cube, Shoes Timberland

Foto: Simone Cossettini. Mimì indossa Skirt Levi’s, Shirt The Cube, Shoes Timberland

La giovane Mimì ha affrontato anche battaglie personali durante il suo percorso: «Qui ho imparato a combattere per quello in cui credo. A volte non sono stata abbastanza forte per dire cosa pensavo su scelte che non mi facevano sentire a mio agio. La sfida è stata battagliare per arrivare a fare ciò che mi fa stare meglio». Nonostante la giovane età, è consapevole del suo ruolo in un’Italia che cambia: «Più che un simbolo, mi sento una possibilità per un’Italia nuova». Sogna di collaborare con artisti che rispecchiano la sua sensibilità artistica: «Con Raye, una songwriter incredibile e una donna nella quale mi rivedo a livello di scrittura e sonorità. Tra gli italiani, ho il pezzo di Madame, per cui spero ci sia l’occasione di cantarlo insieme in concerto. Poi mi piacciono i Coma Cose, sarebbe figo sperimentare con loro». La finale di X Factor, che si terrà nella maestosa Piazza Plebiscito, rappresenta una tappa storica per la sua carriera: «Il mio primo concerto della vita a 17 anni è in piazza a Napoli. Fa ridere a dirlo, ma se ci penso mi viene l’ansia. Io cantavo nei bar e per strada, niente di così serio. Mi hanno detto che, se fossi arrivata alla finale, avrebbero installato il maxi schermo all’oratorio».

E se con la musica non dovesse andare come spera? Mimì ha già un piano B. «L’altra mia passione è il cinema. Lo faccio a Sesto San Giovanni. Per cui potrei trasferirmi a Roma e provarci. La musica, però, non mi abbandonerà mai perché mi ha dato e mi darà sempre tantissimo per vivere meglio». Mentre si prepara alla finale, si concede un momento di autoironia: «Ascolto sempre la musica con delle cuffione giganti in giro per le vie del paese, sembro Terminator». Dietro l’immagine spensierata, si nasconde una artista determinata: «Voglio essere percepita come una radice che cresce e piano piano diventa un albero molto bello».

Questo piccolo grande Lorenzo Salvetti

L’altro giovanissimo finalista di X Factor è Lorenzo Salvetti, 17 anni da Verona, che si è fatto spazio puntata dopo puntata grazie a una sensibilità rara e a interpretazioni intense che hanno portato il suo giudice Achille Lauro a soprannominarlo il piccolo Cocciante, ma anche il piccolo Celentano, il piccolo Lucio Dalla, il piccolo Baglioni. Lorenzo non si è fatto intimidire da questi paragoni, ma ha colto l’occasione per crescere: «Ho sentito una certa responsabilità per i pezzi che mi ha affidato, che sono dei capisaldi della musica italiana. Ho provato a rispettarli il più possibile. Ci metto tutto me stesso per tirare fuori il massimo ed essere all’altezza».

Nonostante i confronti con i giganti della musica, Lorenzo potrebbe essere accostato anche a Luca Carboni e Cesare Cremonini: «In questi due mi ci ritrovo. Ma a me, in futuro, piacerebbe attingere anche da Brunori Sas, che ha una scrittura incredibile. O da Olly, un altro giovane che mi fa impazzire». La sua passione è nata in famiglia, condivisa con il fratello maggiore che è batterista: «Ha un percorso tutto suo, con diversi progetti. Ho pensato di chiedergli di far parte della band per ipotetici live. Lui suona punk, è più sul genere dei Punkcake, ma non disdegna anche altre sonorità, come jazz e swing».

Tra i brani che ha portato sul palco, ricorda in particolare Margherita di Riccardo Cocciante: «Mi piace tantissimo come cantautore, mette cuore e fegato nelle interpretazioni. Era la prima esibizione e quando ho finito mi sono sentito proprio bene. È stato quasi liberatorio». Non tutte le performance, però, sono state semplici: «Nel Baglioni di Questo piccolo grande amore, che ho fatto nella semifinale, ci sono come ha spiegato Paola Iezzi linee melodiche che sembrano facili e invece sono molto difficili. In più suonavo il pianoforte. Ho faticato».

Foto: Simone Cossettini. Lorenzo Salvetti indossa Shoes Scarosso, Camicia The Cube archive § Jeans Levi’s, T – Shirt The Cube archive

Foto: Simone Cossettini. Lorenzo Salvetti indossa Shoes Scarosso, Camicia The Cube archive § Jeans Levi’s, T – Shirt The Cube archive

Romantico e sentimentale, Lorenzo non si sottrae all’influenza della sua città natale: «Per chi è innamorato, Verona ha grandi scorci, colori, immagini uniche. Sicuramente mi ha influenzato». Uno dei suoi sogni è di visitare Parigi, la città dell’amore per eccellenza: «Desidero da tempo di andarci, da solo o con la famiglia. L’avevo visitata da piccolo, ma non ricordo molto. Tutti mi dicono che può dare tanti spunti, sia a livello musicale che di ispirazione. Chissà che non mi dia stimoli per scrivere pezzi nuovi».

Alla vigilia della finale, Lorenzo si prepara alla sua prima grande esibizione in piazza con un mix di emozioni: «Sarà il mio primo vero grande concerto. Stavolta non nascondo un po’ di tensione. I brani li sto preparando bene, per cui cercherò di salire sul palco con sicurezza. Non troppa. Un po’ di umiltà non va dimenticata». E se dovesse incontrare Robbie Williams nel backstage, Lorenzo saprebbe già cosa fare: «Gli chiederei dei suoi inizi nella musica e delle difficoltà che ha superato».

Les Votives, c’est chic (rock)

Last but not least, Les Votives. Formati da Riccardo Lardinelli (voce e chitarra), Angelo Maria Randazzo (batteria) e Tommaso Venturi (basso), sono il trio rock milanese della squadra di Achille Lauro, con un’età compresa tra i 19 e i 25 anni, che ha portato a X Factor un’energia che affonda le radici in cinque decenni di storia del rock. Ma più di tutto, hanno fatto emergere il loro marchio di fabbrica: lo chic rock. «Il nome è nato mentre eravamo in macchina di ritorno da una serata, dopo che alcuni ci chiedevano che genere facessimo. E per spiegarglielo, senza davvero dare una risposta, ci è venuto spontaneo parlare di chic rock. Siccome non esisteva, possiamo dire che è solo nostro».

Il percorso a X Factor ha dato loro l’occasione di ampliare gli orizzonti, grazie anche alla guida del loro coach: «Ci ha allenati a una elasticità mentale che prima non avevamo. A provare tutto prima di sostenere che non è materiale adatto a noi. Ci ha insegnato ad essere flessibili».

Prima di calcare il palco di Assago, Les Votives si sono fatti le ossa suonando per strada e per loro il busking non è solo un modo per farsi conoscere, ma una vera e propria scuola di vita: «È stato importantissimo e lo consigliamo a tutti. Una palestra. Anzi, ultimamente stanno diventando sempre meno le postazioni publiche per gli artisti di strada nelle città e questo è un peccato. Prima a Milano c’erano quattro giorni al mese a disposizione, ora solo uno. In Duomo non si può più suonare. Ci dispiace, è un tema che abbiamo a cuore».

Questo spirito di strada li ha accompagnati anche nei momenti difficili: «Il busking è un modo molto semplice per racimolare i primi soldi e farsi conoscere dalle persone. Anche parte del nostro team lo abbiamo incontrato per strada. Chiudono i locali o non pagano, invece la strada ancora paga. È solo una rottura dover portare pesi in giro e in metro».

Foto: Simone Cossettini. Les Votives indossano: Tommy (Shoes Scarosso, Shirt long sleeves Hanro, Leather Top Malloni), Angelo (Pants Archivio, Tank Top Tezenis, Blazer Archivio), Riky (Shirt Heach Lab, Blazer 1989)

Foto: Simone Cossettini

Per Les Votives, il successo internazionale dei Måneskin ha rappresentato un barlume di speranza. «Certo, anche oltre ai talent o la tv. Il lavoro fatto da Måneskin ha spalancato un portale per l’Italia verso l’estero, prima sembrava di essere un po’ in quarantena. C’era molta chiusura fuori rispetto al rock italiano. Non è successo subito, ma dopo i risultati si sono visti». E ora guardano al futuro con grandi ambizioni: «Uno dei nostri obiettivi principali è il mercato internazionale». Anche se prediligono l’inglese per i loro brani, non escludono l’italiano: «Dobbiamo ancora decidere, però l’inglese non lo abbandoneremo mai. Se dovessimo avere una canzone bella e in italiano, la faremmo. Altrimenti continueremo con l’inglese. L’obiettivo è il mondo, ma siamo aperti a tutto».

Tra le performance più significative tra le puntate dei Live, ci hanno spiegato di essersi sentiti più a loro agio con You Know I’m No Good di Amy Winehouse: «Quella è stata la più sentita, già la conoscevamo. La suonavamo per aprire i concerti e abbiamo realizzato soltanto un cut per i tempi televisivi». La più impegnativa? «Lo sforzo mentale più grosso è stato con La canzone nostra di Blanco, Mace e Salmo perché è un genere molto diverso da quello che facciamo di solito».

Ormai manca poco e il discorso non può che andare sul palco della finale, a Piazza Plebiscito, che rappresenta un traguardo e nello stesso tempo un’esperienza surreale: «Non riusciamo a visualizzare quella piazza. Quando arriveremo sentiremo l’ansia di suonare su un palco del genere. Ma sappiamo anche che non è un nostro concerto. È come se qualcuno ti facesse provare la Ferrari quando non hai ancora i soldi per comprarla». E se dovessero incrociare Robbie Williams, ospite della serata? «Fighissimo, chissà se lo vediamo. Non ci prepariamo niente da dirgli, sarà  bello improvvisare. Sarebbe una bomba duettarci».

Così, mentre fantasticano, se ne escono con un’altra metafora chic rock: «X Factor è stato come un aperitivo che ci ha invogliato a lavorare più duramente». Finita questa esperienza e prima di buttarsi sul lavoro, vogliino sfogarsi: «Appena usciamo, vogliamo vivere dieci giorni… non si può dire? Mettiamola così: prendiamo un casolare e facciamo un party con gli amici senza pensare a nulla. Solo dopo una bella festa penseremo al futuro».

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Foto: Simone Cossettini
Art Director: Alex Calcatelli per Leftloft
Producer: Maria Rosaria Cautilli
Fashion Coordinator: Francesca Piovano
Talents Styling: Susanna Ausoni
F. Coordinator Assistant: Elisa Bruenllo
1st Photographer Assistant – Lights Specialist: Fabio Firenze
2nd Photographer Assistant – Digital Specialist: Samantha Faini
Talents MUA: Maddalena Brand e Orso Maria Caffi per Making Beauty
Talents HS: Vlady Rotaru e Elisa Rampi per Making Beauty
Location: Fuori Zona, Joey’s Place

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