A un certo punto ha tagliato i capelli, ha cambiato look, postura, attitudine e ha iniziato a percepire un corpo che poteva essere materia plastica e multiforme in base alle circostanze. Così ha cominciato a divertirsi sul serio: «Ho scoperto una grinta che sicuramente avevo dentro, ma che poi è spiccata fuori in maniera naturale e imprevedibile. Mi piace sapere che non sono io, la Selene di tutti i giorni, e stare dentro una vita che nella realtà non potrei mai permettermi di vivere».
In effetti la Selene Caramazza mite e insicura del 2017 che all’epoca esordiva (meravigliosamente) con Cuori puri oggi sembra lontanissima dai personaggi che abbiamo visto in Spaccaossa, Mare fuori, Sei nell’anima e naturalmente in The Bad Guy, serie che per lei ha segnato un punto di svolta grazie al ruolo di Leonarda Scotellaro. La seconda stagione arriva su Prime Video il 5 dicembre e Leonarda torna con una rabbia diversa, nuovi sensi di colpa e un’ironia che Caramazza non sapeva neanche di avere. Nel frattempo continua a rincorrere e sfiorare Nino/Luigi Lo Cascio (mentre fuori dal set si chiamano “fratello” e “sorella”) ma soprattutto a insultare in scena Claudia Pandolfi (bisogna essere davvero bravi per riuscirci, pure per finta).
Al termine di questa chiacchierata, di lei sappiamo due cose: che di fronte a un personaggio o supera i limiti o niente. E che la sua vocazione al trasformismo potrebbe portarla ovunque. «Mi piace essere irriconoscibile. Ai registi con cui lavoro lo dico sempre: “Vi prego, facciamo una cosa diversa, trasformatemi”».
Questa stagione parte subito con più azione, con più brutalità. E ogni personaggio porta in scena una rabbia diversa.
Sì, quest’anno i toni sono più cupi, più densi. Tutti i personaggi sono anche più rotti, si portano dietro una vulnerabilità diversa nello sguardo. In lettura mi ha subito colpito che un personaggio come Leonarda, che abbiamo sempre visto molto dura e sicura nelle sue scelte, ora inizi a mettere in dubbio ogni cosa. La ricerca di Suro diventerà un’ossessione che ha a che fare con Nino. Le monta dentro una rabbia che è soprattutto emotiva, perché comincia a non fidarsi di nessuno e ad avere questo senso di colpa nei confronti del fratello. Accusa la mancanza, si colpevolizza, non riesce a stare ferma, è molto elettrica.
Mi sembra di capire che anche tu sia irrequieta nella staticità, no?
Sì, io sono una persona abbastanza in movimento. Non mi piace rimanere ferma sulle cose, la staticità mi annoia.
Ti annoia o ti spaventa?
Forse entrambe. Dico che mi annoia, ma in realtà è anche una questione di paura. La paura di perdermi i pezzi, le cose, le occasioni che mi interessano.
Questo come si traduce nel lavoro?
Nella voglia di vestire sempre nuovi personaggi: sono subito alla ricerca di un altro ruolo. O magari di lavorare su un carattere e poi cercare nel testo una sfumatura in più. Si traduce anche in una certa meticolosità. In genere arrivo sempre con una proposta ben precisa, perché penso sia importante arrivare con una proposta precisa del personaggio. Poi sono molto aperta ad aggiustare e modificare, certo, perché questo è un lavoro di gruppo.
In fase di casting Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi sono partiti da un disegno di Leonarda con vizi, dettagli e gusti del personaggio. Poi subentra sempre l’incontro con l’attore e tutto prende vita. Oggi come la disegneresti?
Come un vulcano. Leonarda è elettricità, è una saetta. È mossa da una grande determinazione e questo mi appartiene molto: anch’io sono partita dalla Sicilia per inseguire un sogno, e quindi faccio di tutto per realizzarlo.
Leonarda è radicale e inflessibile, ma tira fuori alcuni lampi d’ironia inaspettati. Forse è la sua sfumatura più interessante?
Sono d’accordo, perché a me Leonarda fa tanto ridere. Fa una cosa e ne dice un’altra, agisce e si incazza, poi riflette sui suoi danni e si trova in situazioni surreali. Credo sia un personaggio molto ironico, e questo lato è uscito fuori in maniera naturale anche se non pensavo di avere una vena ironica. Io sono piuttosto timida, quindi mi piace che lei sia spavalda nella vita, che cammini altezzosa e si faccia spazio in questo mondo maschile.
Il rapporto con il fratello, tra conflitto e senso di colpa, è un nervo scoperto. Com’è quando il fratello in questione è Luigi Lo Cascio?
È una grande responsabilità e un grande privilegio. Perché Luigi è un attore pazzesco, lo sappiamo tutti, ma è anche una bellissima persona. Quando ci sentiamo per messaggi ci scriviamo “Ciao fratello”, “Ciao sorella”, ma nella serie i nostri personaggi si sfiorano continuamente. Così abbiamo cercato di creare un legame parlando di altro, perché il nostro rapporto in scena è soprattutto sensoriale. Nel terzo episodio ci sarà un momento in cui Leonarda e Nino saranno in qualche modo vicini, e ricordo che quando abbiamo girato quella scena ho provato una scossa di emozione molto forte, perché Luigi è davvero un attore che rilascia un’energia straordinaria con la sua presenza.
Con il personaggio di Luvi il discorso è altrettanto complesso. Quanto è difficile fingere di non sopportare Claudia Pandolfi?
(Ride) È molto faticoso, perché io adoro Claudia. È una di quelle persone a cui mi sono avvicinata in punta di piedi e lei invece mi ha abbracciata totalmente. Le sono tanto legata. Quindi era strano, perché avevamo tutte scene abbastanza cruente, dove litigavamo di continuo o la insultavo.
Questo è stato un ruolo di svolta per te, in molti sensi. Dal look al modo in cui il pubblico ha iniziato a percepirti, e forse anche dal modo in cui tu hai iniziato a percepire te stessa?
Sicuramente, perché è stato il ruolo che mi ha dato la possibilità di farmi vedere diversa, dalla ragazza pura alla donna cazzuta e forte. Mi piace sempre trasformarmi, e con Giancarlo e Giuseppe ho potuto mettermi in gioco in maniera inaspettata lavorando su elementi che poi mi sono portata dietro. È sempre molto terapeutico. Esplori caratteri e sfumature che nella vita di tutti i giorni non potresti mai sperimentare.
Ho avuto l’impressione che, a partire da questo personaggio e dal taglio simbolico dei capelli, tu abbia capito che effetto può avere la trasformazione fisica sulla tua performance. Non è solo costume e parrucco, è come se cambiassi pelle.
Ho scoperto che in me tirava fuori una grinta che sicuramente avevo dentro, ma che poi è spiccata fuori in maniera naturale e imprevedibile. Dalla prima stagione mi sono resa conto che con il taglio di capelli e il lavoro sul corpo stava cambiando anche la mia percezione. Ti faccio un esempio: a riprese finite, il mio vicino di casa un giorno mi fa: “Adesso ho capito perché tu, che in genere cammini sempre curvata, da un po’ cammini con le spalle dritte e proiettata verso l’alto”. Io non me ne ero accorta. Quando lavoro su Leonarda ho questa botta di autostima incredibile, è un’attitudine che porto anche nella vita.
Infatti da lì in poi si inizia a notare anche in Spaccaossa e Mare fuori.
Forse è il genere di cosa che lavora dentro piano piano.
Una volta Maurizio Lombardi mi ha detto che il gesto è tutto, e che lui si è costruito guardando i gesti degli altri. Ti ci ritrovi?
Esatto. Così come alle volte ti ritrovi a girare delle scene in cui tocchi tasti emotivi che in quel momento ti fanno stare male, ma poi torni a casa e pensi che quella cosa potevi tirarla fuori solo in quella situazione. Ecco perché alla fine è sempre un dare e un ricevere.
Cosa ti piace di più del trasformarti fino a rendere Selene irriconoscibile?
Proprio questo: l’essere irriconoscibile. Ti senti più protetta perché sai che stai vestendo un ruolo. Sapere che non sono io, la Selene di tutti i giorni, e stare dentro una vita che nella realtà non potrei mai permettermi di vivere.
Ma chi eri prima di essere l’attrice che oggi conosciamo?
Di base sono sempre stata la stessa ragazza. Determinata, attiva, abbastanza diffidente, lunatica, molto timida. Ci impiego un’eternità a prendere una decisione e sono insicura di qualsiasi cosa. Questo è complicato e ci sto lavorando. Oggi ho maturato una consapevolezza dei miei strumenti e di quello che voglio, e credo sia successo proprio grazie ai vari personaggi. Ognuno di loro rappresenta un pezzetto di quello che sei in un certo momento. In Cuori puri Agnese era indifesa e insicura, un po’ come me. Oggi Leonarda mi rappresenta con un altro tipo di forza.
Esordire con Cuori puri ha significato sentirsi dire: non hai solo debuttato, sei anche brava. Il film giusto, il ruolo giusto, il riconoscimento esterno. Che effetto ha avuto su di te?
È un pezzo di cuore. Per me era un sogno fare un film per il cinema da protagonista e andare subito a Cannes per la prima volta. Ero talmente piccola che vivevo tutto in maniera abbastanza inconscia, avevo iniziato da poco e mi ha dato la spinta per mettermi sempre più a fuoco.
È un film che hai vissuto in maniera totalizzante, soprattutto in preparazione. Tornando indietro ci entreresti dentro allo stesso modo?
Sì, assolutamente. Magari oggi ci entrerei dentro con una maggiore consapevolezza dei rischi, ma era l’unico modo per farlo. Per me non devi mai vedere l’attore dietro un personaggio, e a quella cosa ci arrivi solo se vivi tutto intensamente.
All’epoca l’incontro con la comunità religiosa ti aveva più emozionato o impressionato?
Entrambi, perché non avevo mai visto da vicino una realtà così presente e piena di condivisione. Sono entrata a far parte di quella comunità per mesi e tutti i ragazzi che vediamo nel film appartengono davvero alla comunità, hanno abbracciato il progetto e accompagnato anche me.
Che succede quando finisci un film del genere? Saluti, te ne vai, mantieni i rapporti, chiudi ogni contatto?
Ho avuto bisogno di allontanarmi per un po’. A un certo punto il distacco è necessario e può essere anche netto, ma serve per riprendere contatto con la mia vita, con Selene. Sono tornata nella mia realtà per un paio di mesi e poi ho ripreso i contatti con alcuni ragazzi della comunità. Il momento del set è sempre bellissimo, quella diventa la tua famiglia, ma per un po’ esclude la vita vera. Quando tutto termina è necessario mollare il personaggio e riacchiappare quello che hai lasciato indietro.
È un azzardo dire che quello di Spaccaossa è stato il tuo ruolo più complesso?
Non lo so, sicuramente Luisa è stata un personaggio che ho sentito di dover mollare subito. È distruttiva e mi ha fatto stare molto male, lo vedi anche fisicamente: ha lo sguardo spento, cammina curva, parla piano. Abbiamo fatto un lavoro sul corpo immaginandola come un piccolo animale selvaggio in queste viuzze di Palermo. Quando giravo Spaccaossa me ne stavo totalmente isolata, capitava che mi invitassero a bere qualcosa e io rifiutavo. Poi mi sono resa conto che erano tutte cose inerenti al personaggio, una povera anima che vaga in cerca di aiuto e quando pensa di aver trovato una speranza viene abbandonata.
In questi giorni hai terminato le riprese di Ammazzare stanca. Sei tornata a girare con Daniele Vicari dopo Prima che la notte, e stavolta è la storia vera di Antonio Zagari, che si ribella a un padre boss della ’ndrangheta.
La storia è molto bella, è ambientata tra gli anni Settanta e Ottanta. Daniele, oltre ad essere un grande professionista, è una bella anima. È uno che protegge i suoi attori, li ama, si confronta davvero con loro. Il cast è straordinario, c’è anche Gabriel Montesi e da tempo avevamo il desiderio di lavorare insieme. E poi finalmente sarà anche il mio primo film in costume, Daniele mi ha dato la possibilità di trasformarmi ancora una volta.
Oggi quale credi sia la tua cifra? Quello che ti caratterizza come attrice, che porti dentro ogni ruolo?
Bella questa domanda. Non so… Forse uno sguardo che maschera fragilità e durezza allo stesso tempo? Qualcosa di poco definito, che ti lascia sempre uno spiraglio di ambiguità.
Sì, io avrei detto: una vocazione al trasformismo che però nasconde sempre una forma di tormento.
È qualcosa che mi ha detto anche Daniele Vicari, quando abbiamo fatto la prima lettura di questo film: “Mi hai dato quella fragilità e allo stesso tempo quella durezza che il personaggio richiede”. Ora tu mi dici questo, quindi forse è così?