Giovanni Robertini: Anch’io come tutti ho aperto il mio Wrapped 2024 di Spotify e, stupito, mi sono chiesto: ma davvero il mio disco preferito è quello di Shabaka? Davvero ho ascoltato tutto l’anno Fennesz e Paky? Francamente, non ricordo, mi dissocio, e un po’ mi spaventa: perché non è senile perdita della memoria, ma significa che io e l’algoritmo siamo in crisi, come una coppia qualunque. Che delusione, eravamo già pronti a convivere e lui se ne va così, non mi capisce, non sa più cosa mi piace davvero. Vuoi mettere con le cassette polverose che ho lasciato in cantina? Con i vinili accatastati in un angolo? Magari li ho ascoltati solo un paio di volte, ma insieme, da adulti, conviviamo serenamente con i nostri fallimenti e ci facciamo compagnia a vicenda. Addio algoritmo, ci vediamo in giro.
Alberto Piccinini: L’altra sera a una presentazione ho incontrato uno dei massimi critici punk-rock-indie di questo ingrato Paese. I capelli erano bianchi ma li aveva ancora tutti, e non molla di un centimetro. “Non buttare via niente”, mi ha detto guardandomi negli occhi. Te l’ho detto, no? Sto facendo trasloco e ho il problema di dove mettere 10 contenitori pieni zeppi di CD. “Torneranno anche quelli”, ripeteva, “non buttare via niente. Nel dubbio chiamami”. Lui adesso è un guru assoluto nel mercato dei vinili e delle illusioni perdute, il re di Discogs. Insomma ci ho dormito male stanotte. Poi al mattino un titolo di Repubblica: Robbie Williams, Sanremo? Ero strafatto, non mi ricordo niente. Ecco, purtroppo tra il massimo critico eccetera e Robbie Williams io so qual è il mio posto nel mondo: non ricordarmi di niente. Sanremo, X Factor, Wrapped. Quasi niente. Tra i ricordi migliori di una carriera ho l’aver visto l’ultima apparizione dei Take That in sala all’Ariston, Sanremo 1995, e pochi mesi dopo la foto di Robbie Williams con Liam Gallagher insieme a Glastonbury, capelli ossigenati, strafatti e felici. Guarda cosa vado a pensare.
GR: Ma tra un Wrapped di Spotify e un oroscopo di Paolo Fox incappo nel rapporto Censis di fine anno del sociologo Giuseppe De Rita, secondo cui gli italiani nel 2024 sarebbero afflitti da una sorta di “sindrome di galleggiamento”, un pessimismo che – per colpa dell’immobilismo economico e sociale – rimane rabbia repressa, ferma. E il ritmo dello stare a galla non poteva essere che la trap, con le basi dark di ragazzini producer chiusi dentro alle loro camerette – sommergibili, le voci emerse in superficie artificialmente con l’auto tune, e l’immaginario ansiogeno e decadente di un conflitto in potenza tra pistole giocattolo e dissing. Spotify ci dice che i più ascoltati dell’anno sono Geolier, Sfera Ebbasta e Lazza, tutto torna, ma la sociologia spicciola non mi convince. Va bene galleggiare, ma la corrente dove ci porterà mentre stiamo a “fare il morto” nella Sharm El Sheik delle nostre illusioni perdute? «Non so se andare via o partire» rappa Baby Gang nell’ultimo singolo del rapper francese Jul, quanto è malinconico il pessimismo della ragione…
AP: Bello. Bello Baby Gang con Jul, megastar di Marsiglia: «Non so se andare via o partire / lontano ovunque sia». Rimbaud + Cheb Khaled: la Francia ci fa benissimo, sempre, mi sembra una cosa vera rispetto ai giochi nostri. Sbaglio? E adesso il muro della vergogna: il mio Wrapped dice che ho Taylor Swift tra le più ascoltate. Un attimo per riprendermi dallo shock ed ecco che Taylor Swift in persona si materializza per ringraziare: ha il vestito di scena, un body di paillettes stile circo, donna incubo di Fellini. Non bello. La musica dice cose di noi che nemmeno sappiamo, però in classifica ho Erwin Schulhoff, geniale compositore praghese ebreo comunista modernista che finì nella lista nazi dell’arte degenerata e morì in campo di concentramento. A questo proposito segnalo che Andrea Scanzi, sempre sulla classifica annuale di Spotify (dieci trapper maschi meno Anna) fa un discorso da generatore automatico di discorsi di Andrea Scanzi: l’ignoranza, l’irrilevanza, la rivendicazione boomer. Ma soprattutto l’autotune. L’autotune li fa impazzire, è una roba tra i vecchi 5 Stelle giustizialisti e i Novax. La cosa più terribile è il giudizio su Geolier: I’p’me tu’p’te scrive Scanzi ha «un titolo che sembra un codice fiscale e ascoltarlo equivale a darsi una martellata in testa». Ma va’ a quel paese. Razzista fascista, come disse l’ex sindaco Pillitteri ai primitivi tranvieri leghisti milanesi, e Facebook da due giorni me lo ripropone. Perché? Non buttare. Non buttare via niente.