La scatola di David Lynch | Rolling Stone Italia
Strade perdute

La scatola di David Lynch

I sogni, gli incubi, la visione, il fuoco. Ricordo impreciso del più grande di tutti

David Lynch uscirà con una nuova stagione della sua "Twin Peaks" il prossimo 21 maggio. Foto: Chris Weeks/WireImage

David Lynch

Foto: Chris Weeks/WireImage

Restano solo le visioni, e io me le ricordo tutte. Almeno quelle arrivate quand’ero abbastanza grande da andare al cinema. Da solo. Perché esistono solo i film che hai visto da solo. Mi ricordo Inland Empire, in un cinema di Roma, con, alla fine, tutti fuori incazzati neri perché non avevano capito niente. Io pure forse non avevo capito niente, ma ero giovane, e in quel niente ero felice.

Ricordo Mulholland Drive in una sala piccolissima dell’Odeon, con le poltrone bianche. Nessuno, all’uscita, era incazzato nero ma solo perché non c’era nessuno, c’era solo una notte milanese freddissima. Ricordo Una storia vera nel solito cinema di Milano dove si vedevano tutti quei film lì, e si vedono ancora, e sembrava che sarebbe restato poco, invece pure quella visione restava, cresceva per tutti i giorni a venire.

Ricordo che presi una videocassetta in casa, era The Elephant Man, ma di Lynch avevo già visto chissà cosa (Velluto blu?), ma sicuramente una cosa di cui avevo capito poco (Eraserhead?), e allora, ragazzino insopportabile qual ero, ci tenni a dire ai miei che mica era questo gran film, perché quella volta avevo capito tutto. Ho rivisto The Elephant Man per l’ennesima volta durante il primo lockdown, o era il secondo?, ed era ancora più grande del grande che era, e che fingevo di non ricordare.

Ricordo il vialetto che portava all’ospedale, non so chi stavamo andando a trovare. Era buio, tanto buio, ero piccolo, quanto piccolo, ed ero sicuro che su quel vialetto sarebbe spuntata la busta con dentro Laura Palmer. Perché Laura Palmer era l’immagine più paurosa, e affascinante, che avessimo mai incrociato nelle réclame in Tv, e succedeva quella cosa strana per cui Melrose Place non si poteva vedere, «è troppo violento», ma Twin Peaks sì. E allora poi lo vedevi da tutte le parti, anche nei vialetti d’ospedale, soprattutto nei vialetti d’ospedale.

Ricordo tutto, ricordiamo tutto, anche chi ha visto poco o niente, perché una volta il cinema era mainstream comunque: era il cinema. Perché c’era quella musica di Badalamenti, perché certe follie che oggi nessuno produrrebbe mai andavano in prima serata su Canale 5. Ricordo Kyle, Isabella, Laura, i non divi più divi di tutti.

Ricordo la prima volta che ho guidato su Mulholland Drive, ero un giovane uomo e stava per iniziare tutto, e cosa era vero, cosa no, chi lo sa, quali strade avevi appena preso e quali erano già perdute, e forse nella scatola blu c’era quello, il non riuscire a dare una risposta ai sogni e agli incubi, soprattutto quando pensavi che fossero veri.

Ricordo il dvd di Cuore selvaggio comprato a due euro (macomevipermettete!) al Blockbuster che stava per chiudere, e Dune che dicevano che era bruttissimo invece era bellissimo e lo è ancora, e i corridoi della Triennale, sul manifesto c’era scritto The Air Is on Fire, e lo era per davvero.

Ecco, il fuoco. C’è qualcosa di crudele e poetico e bellissimo in David Lynch che se ne va via nelle fiamme di L.A., fuoco cammina con me, come se tutto fosse finito per sempre, come se non ci fosse più niente da riprendere, figuriamoci misteri da svelare, scatole blu da aprire. Come se non si riuscisse più a mettere la macchina da presa dove si deve, come si deve.

Come faceva il suo finto/verissimo John Ford nel finale dell’ultimo Spielberg. “Se l’orizzonte sta in mezzo, il film è noioso” era la lezione che lasciava al piccolo Steven e a noi tutti, e chi lo sapeva che sarebbe stato il suo testamento, quindi il testamento del cinema. Che poi, forse, anche per lui che vedeva (e prevedeva) tutto non è mai stata questione di vedere, ma di far vedere gli altri. Stava lì la visione.

Ricordo tutto e non riesco a dire niente, e forse l’unica cosa da fare è provare a vedere, ancora, sempre. Ed entrare in un cinema, perché alla fine era quella la scatola di David Lynch, lì stava il mistero, non c’ho capito mai un cazzo, è stato sempre bellissimo, grazie.

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