“In dreams I walk with you / in dreams I talk to you” in queste parole tratte da uno dei brani più iconici di Roy Orbison, In Dreams, sta il rapporto che legava David Lynch alla strutturazione musicale e sonora delle sue opere oniriche. La musica, come recitava il cantautore texano, dialogava direttamente con lo spettatore guidandolo nei meandri più reconditi delle mente cinematografica di Lynch, rendendo l’esperienza ancor più esacerbante, ma allo stesso tempo limpida. Oscurità e luce come solo il suo cinema sapeva fare.
Dall’elegia tecnoindustriale di Eraserhead – La mente che cancella, in cui forgiò le sue prime tecniche di sonorizzazione insieme al sound designer Alan Splet (“non pensavo a questi esperimenti come musica, ma li pensavo come la costruzione di un mondo”) all’esplorazione dei classici americani come spiegazione metaforica di una nazione in perenne contraddizione, come non ricordare Blue Velvet di Bobby Vinton apparire dietro la staccionata bianca di una tipica casa coloniale americana e poi, di nuovo, cantata dalla femme fatale Isabella Rossellini, David Lynch ha fatto della musica una delle sue cifre più alte, portandola di pari passo alla sua visione registica.
Come disse in un’intervista: “Il cinema per me è suono e immagine che si muovono insieme nel tempo”. E non poteva essere altrimenti per colui che si definiva apparentemente un non-musicista. Dalla collaborazione fraterna con Angelo Badalamenti, con in quale condivideva ogni aspetto narrativo e vitale, e dalle cui note prendevano vita l’anima di Laura Palmer e dei suoi protagonisti alieni ed alienanti, così come nella definizione di ogni sua singola ambientazione, anticipata dalla voce celestiale di Julee Cruise, ogni sequenza era una piccola opera musicale in uno spazio vitale concentrico.
“Per mezzo secolo, spettatori, critici, colleghi registi e musicisti hanno camminato tutti nei boschi della mente di Lynch, una fitta e profonda radura disorientante dove frastuoni funesti e il perpetuo crepitio occulto dell’elettricità fanno da colonna sonora a un mondo di tappeti a zigzag, violenza depravata e surrealismo da incubo”, ricorda Sam Wigley su Sight & Sound, e c’è chi in quei meandri si è smarrito volutamente facendosi trasportare dalla corrente dei ricordi sonori come lo stesso regista sapeva fare, perdendosi nella sua infanzia idilliaca negli anni del dopoguerra, quando il giovane Lynch vibrava al rimbombo dei droni di B52 che attraversavano i cieli sopra il Pacifico nordoccidentale. “Questi B52 volerebbero in uno squadrone, ma sono aerei a elica e volavano più in basso di un jet. Hanno un drone e, tutti insieme, i droni sono in qualche modo in armonia. È il suono più bello. E non viaggiano così velocemente, quindi impiegano molto tempo per attraversare il cielo: sarebbe una giornata estiva con i droni di questi giganti B52, ed è semplicemente uno stato d’animo bellissimo, quasi cosmico, sognante”.
Nel momento in cui mi accingo a scrivere questo articolo sono molteplici le sequenze di cui ricordo ogni brano, mai sentito così prima. Nei fotogrammi iniziali di Strade perdute, rapito dalla voce di David Bowie in I’m Deranged, trasportato nel buio cosmico di un’autostrada lunare dove il tempo sembra dilatarsi e la realtà dissolversi; nell’amore ribelle di Cuore selvaggio, in cui le note di Wicked Game di Chris Isaak, che delineano le dune desertiche californiane, avvolgono il tormento passionale di Sailor e Lula, mentre in Mulholland Drive è il sussurro inquietante di Llorando (reinterpretazione di Crying di Roy Orbison) a svelare, nel vuoto di un teatro spoglio, il potere illusorio delle immagini e di una vera realtà orrorifica.
Ascoltare il modo il cui la musica si compie nella sua filmografia equivale allo svegliarsi da un lungo sonno in cui ciò che hai ascoltato riecheggia ancora nella tua mente come lontano e illusorio, ma non per questo distante dalla realtà. È il principio su cui si fonda la sua arte come un’esplosione che dà vita al tutto.
Nonostante si ritenga che con Twin Peaks Lynch abbia raggiunto il suo ideale definitivo di colonna sonora contemporanea, considerando che ancora oggi ne ascoltiamo le inflessioni in molteplici produzioni, è indubbio che tutta la sua cinematografia sia un ricco canzoniere antropomorfo di attimi apparentemente reali.
La sua conoscenza musicale non si è limitata nel tempo a essere solo una grande voce nella selezione di episodi musicali ma gli ha permesso di comporre molteplici opere sonore che sono diventate fonte di ispirazione per molti artisti contemporanei. Dai primi esperimenti di Thought Gan insieme ad Angelo Badalamenti, conosciuto Off-Broadway, sino alla più recenti collaborazioni con Johnny Jewel, Dean Hurley, Likke Li e – non ultima – la cantautrice e attrice Chrysta Bell, la sua carriera ha attraversato decenni di sperimentazione sonora, fondendo atmosfere oniriche e dissonanze avanguardistiche. Questa evoluzione lo ha portato non solo a progettare colonne sonore indimenticabili per il suo cinema, ma anche ad influenzare profondamente il panorama elettronico più sperimentale, dove la sua impronta si riconosceva in un uso innovativo di sintetizzatori analogici, loop ambientali e strutture musicali minimali, mantenendo sempre quel tratto distintivo di tensione emotiva e mistero che lo contraddistingueva.
Ascoltare oggi In Heaven (Lady In the Radiator song), autentico esperimento compositivo tratto da Eraserhead, fa comprendere come Lynch fosse un autentico innovatore anche in campo musicale, in ogni suono distorto e infinito, nonlasciando nulla al caso, così come in The Big Dream legato ad inflessioni trip hop ma non per questo distante dalle sue amate chitarre riverberate alla Phil Spector.
Trent Reznor, protagonista anche dell’ultima e ormai conclusiva stagione di Twin Peaks, disse di lui in un articolo celebrativo su Pitchfork: “Più o meno nel periodo in cui stavo iniziando a dare forma ai Nine Inch Nails, tornai ad analizzare a fondo gli effetti sonori e la musica di Eraserhead, che ebbero un enorme impatto sul nostro sound e su come un determinato tipo di suono può farti provare certe sensazioni. Ascoltando Eraserhead, ricordo di aver pensato: “Perché mi sento così dannatamente a disagio?”. Il rumore di fondo della stanza era incredibilmente forte. Quelle furono lezioni che, man mano che imparavo, applicai ai miei arrangiamenti e al processo di scrittura, in particolare quando lavoravo a The Downward Spiral. Avevo un generatore di rumore bianco che diventava quasi musicale quando lo si regolava: normalmente si usava per accordare l’acustica delle stanze, ma aveva un certo tono, ed era stranamente rilassante. Così ci ho sperimentato un po’ e alla fine abbiamo composto alcune scene di Strade perdute proprio partendo da quei suoni. In studio, [Lynch] scrisse qualcosa su un foglio di carta, scarabocchiò una forma simile a una stella con una penna ad inchiostro e disse: “Vorrei davvero che suonasse così.” Pensai: ‘Ok, o è davvero strano o è una sorta di test per vedere cosa ne sarebbe uscito’, ma quello stabilì l’atmosfera. Fu molto collaborativo e ricordo che, a un certo punto, disse: “Wow, è un suono bellissimo”, con quel suo modo di parlare un po’ troppo forte, quasi da persona con problemi di udito. In un certo senso, era come trovarsi all’interno di un film di Lynch”.
E così, nell’inconfondibile universo di David Lynch, la musica non è mai stata un semplice accompagnamento, ma un linguaggio essenziale, capace di plasmare la percezione e dilatare il confine tra reale e immaginario. La sua capacità di trasformare il rumore in melodia, l’armonia in turbamento, ha ridefinito per sempre l’idea di colonna sonora contemporanea, rendendola non solo parte integrante della narrazione, ma spesso la sua anima nascosta. Tra le molteplici lezioni che il cinema di Lynch ci lascia, è che la musica, quella sospesa tra sogno e incubo, dolcezza e dissonanza, può essere il mezzo più potente per accedere all’inconscio. E forse, proprio come nei versi di Roy Orbison, continueremo a camminare e a dialogare con lui, in un sogno senza fine.