Manuale di improvvisazione popolare: i 50 anni del ‘Köln Concert’ di Keith Jarrett | Rolling Stone Italia
Il suono più bello dopo il silenzio

Manuale di improvvisazione popolare: i 50 anni del ‘Köln Concert’ di Keith Jarrett

La performance del 24 gennaio 1975 composta nell’atto stesso dell’esecuzione non è solo uno dei dischi jazz più amati di sempre. È la dimostrazione che quando la musica è “assoluta” arriva a tutti

Manuale di improvvisazione popolare: i 50 anni del ‘Köln Concert’ di Keith Jarrett

Keith Jarrett negli anni ’70

Foto: Binder/ullstein bild via Getty Images

Keith Jarrett è un jazzista e quello del jazz è un mondo con regole precise da molti punti di vista. Ma Jarrett se ne frega, del resto ha passato alcuni anni alla corte di un certo Miles Davis, che quando si è trattato di sovvertire le regole non si è certo tirato indietro, con buona pace dei critici oltranzisti. Davis ha allargato le maglie del jazz permettendo a personaggi come Jarrett di infilarsi dentro e dire la sua con album (ad esempio Death and the Flower, 1975) che facevano del miscuglio con certe istanze world il loro punto di forza.

Jarrett però non si limitava a questo, nel tempo offrirà una visione ampia della musica mettendo in campo riletture di Bach, Händel, Mozart, Shostakovich, delle opere sonore di Gurdjieff e molto, moltissimo altro. Poi c’è anche il Jarrett dei dischi di piano solo. Album che non contengono una nota scritta, veri e propri tour de force improvvisati dall’inizio alla fine. Il compositore/esecutore si lancia senza paracadute e quello che deve accadere accade, nel suo caso un sacco di cose belle.

Il 24 gennaio 1975 Jarrett si trova all’Opera di Colonia per un concerto. Destino vuole che il Bösendorfer 290 Imperial da lui richiesto non sia presente, al suo posto uno strumento della stessa marca ma meno “imperiale”. Jarrett non è tipo accondiscendente. Non c’è il pianoforte richiesto? Non suona. Una volta calmatosi, studiato a fondo lo strumento e coinvolto un accordatore per prepararlo, Jarrett scende a più miti consigli e decide di esibirsi, anche su insistenza dell’organizzatrice della serata. Santa donna, se il concerto fosse slittato forse quella musica non sarebbe uscita fuori. Magari ne avremo altra di pari bellezza ma non possiamo dirlo. Ciò che sappiamo è che quella sera il pianista si siede davanti allo strumento e, forse anche per sfogare la tensione, dà vita a una cascata di note che contengono l’universo.

Cos’era la musica che usciva senza mediazione dalle dita di Keith? Non era jazz, non era classica. Ma al tempo stesso era entrambe le cose. Jarrett improvvisava come un jazzista mettendo in campo stilemi classici, poi viaggiava con disinvoltura in oltre 60 minuti di libertà assoluta. Con un momento destinato a entrare nella storia e che, in definitiva, decreterà la fortuna dell’album ricavato dalle registrazioni del concerto, The Köln Concert.

È un lento avvicinarsi e allontanarsi dal punto focale. Vicino, lontano, accarezzato, lasciato andare. Sempre più viene evocato, poi si fa attendere. In qualche modo è estenuante ma si tratta di una bellissima attesa. Mentre suonava, Jarrett non sapeva quale sarebbe stata la prossima mossa. Nel frattempo con un piede picchiava sul legno del palco, teneva il ritmo, si acquietava, seguiva i fraseggi con la voce. Con calma, poi con sempre più intensità prendeva lo slancio ed eccolo, a 7 minuti e 16 secondi della prima facciata il vertice/vortice. Una melodia indimenticabile sulla quale Jarrett indugia a lungo, in maniera sempre più appassionata fino a quando, a 8:22, si va a schiantare contro un oceano di note in libertà. Il pianista geme, è l’orgasmo.

Köln, January 24, 1975, Pt. I (Live)

Per il resto del concerto Jarrett piazza altri momenti stellari, naviga in mari impetuosi o si acquieta accarezzando il silenzio. Jazz, classica, gospel, ragtime, blues, soul, world… un calderone ribollente di stili convivono egregiamente in un flusso che si stenta a credere sia frutto dell’ispirazione del momento. Ma è così, è qualcosa che travalica ogni regola e parla un linguaggio universale: quello delle emozioni. Con quel gancio iniziale che a modo suo è un hook come quelli che decretano il successo dei brani pop. Ma qui è in un contesto jazz-classico-improvvisativo. Non importa, arriva, colpisce, comunica. L’intensità è tale che non si può rimanere indifferenti. The Köln Concert è la dimostrazione che quando la musica è assoluta non può non arrivare alle orecchie di tutti.

La testimonianza dell’intera esibizione viene pubblicata il 30 novembre 1975 dalla ECM, etichetta perfetta per un’opera di tali proporzioni che mette in atto un continuo dialogo tra suono e silenzio. E se si pensa che lo slogan dell’etichetta di Manfred Eicher è da sempre “Il più bel suono dopo il silenzio” si capisce quanto The Köln Concert sia perfetto per il suo catalogo.

Dopo un attento riascolto del nastro, Eicher e Jarrett giungono alla conclusione che, nonostante il pianista non avesse operato su uno strumento perfetto, il materiale registrato è coerente. Pubblicato su doppio vinile, il concerto di Colonia tocca immediatamente le corde giuste del pubblico e viene incoronato da Time come disco dell’anno. Il successo è travolgente: nel 1978, The Köln Concert aveva già venduto quasi 1.500.000 copie, un risultato straordinario per un album jazz. Quando poi nel 1990 la ECM ne pubblica una versione rimasterizzata su CD, le vendite si spingono verso la stratosferica cifra di quasi cinque milioni di copie.

Nanni Moretti - Caro Diario (Pasolini)

Non è l’unico disco jazz a ottenere larghi consensi commerciali, è in buona compagnia di capisaldi come Kind of Blue di Miles Davis (il più venduto di sempre), A Love Supreme di John Coltrane, Time Out del Dave Brubeck Quartet, Saxophone Colossus di Sonny Rollins. In ognuno di questi dischi c’è sempre un hook che travalica il mondo di provenienza e parla a chiunque. Quando un disco in apparenza “difficile” riesce a farsi apprezzare per la sua comunicativa, molti se ne interessano, sentono di entrare a far parte di una specie di élite prima inavvicinabile, spargono la la voce. Anche un’opera che non appartiene al mondo del pop diventa pop, perché tanti si sono emozionati, lo hanno comprato (oggi ascoltato), vogliono essere parte di coloro che hanno capito.

The Köln Concert deve il suo successo a questo tipo di passaparola agevolato da quel gancio che in seguito verrà utilizzato in film e pubblicità. Lo stesso gancio che ispirerà molti autori che si muovono tra classica e jazz (in Italia Ludovico Einaudi, per fare un esempio) a proporre album pianistici. Una melodia indimenticabile che risuona mentre Nanni Moretti, in sella alla sua Vespa, si reca in visita alla tomba di Pier Paolo Pasolini. Musica, immagini e significato in un tutt’uno, ancora una volta, assoluto.

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