È strano dire che Pamela Anderson – la ragazza canadese della porta accanto, la MVP di Baywatch, l’attivista per i diritti degli animali, la portavoce numero 1 della tendenza a non truccarsi – stia vivendo quello che è stato definito un ritorno. Da quando è apparsa per la prima volta sulle pagine di Playboy e nella sitcom Quell’uragano di papà, Anderson ha attraversato tanti cicli di celebrità e pop culture, ha visto tanti alti e bassi nella sua carriera, è stata etichettata e sottovalutata tante volte. Eppure non ha avuto bisogno di “tornare” da nessuna parte. Pamela Anderson è semplicemente entrata e uscita dai riflettori, a volte ma non sempre di sua iniziativa.
Quello che viene venduto a nome di Anderson in questo momento non è un ritorno. Si tratta piuttosto di una reinvenzione, ed è qui che entra in gioco The Last Showgirl. La storia di una ballerina di Las Vegas il cui spettacolo vecchio stile è destinato a chiudere il sipario è un character study firmato Gia Coppola che offre alla star l’opportunità di interpretare un personaggio scintillante ma grintoso, un po’ svampito ma determinato a non rinunciare alla propria dignità. È stato concepito come la sua versione di The Wrestler, con strass e piume al posto di ginocchiere e lycra. Rimangono però tutto il sangue, il sudore e le lacrime di chi si aggrappa disperatamente alla propria gloria in via di estinzione. Ma soprattutto, il film è un’opportunità per chi è stata una pin-up, e di tanto in tanto lo zimbello di tanta stampa e gossip, di essere vista sotto una luce completamente nuova. Questo triste melodramma vuole farci conoscere nuovamente Pamela Anderson, ora nel ruolo di attrice seria.
La sua Shelly Gardner è una presenza fissa del Sahara Hotel di Las Vegas, avendo fatto parte dell’ensemble di Le Razzle Dazzle per decenni. Si tratta di uno di quegli spettacoli in cui decine di ballerine sfilano sul palco in costumi sontuosi e più-vedo-che-non-vedo, ricordando una Sin City d’epoca in cui il va-va-voom era molto, molto più di classe. Shelly ha iniziato a indossare quegli attillati body di paillettes alla fine degli anni Ottanta. Ora fa da chioccia alle ballerine più giovani, in particolare a Jodie (Kiernan Shipka) e Mary-Anne (Brenda Song). Queste figlie surrogate – il suo rapporto con la vera figlia, Hannah (Billie Lourd), è diventato negli anni sempre più difficile e distante – fanno parte della cerchia sociale di Shelly, insieme ad Annette (Jamie Lee Curtis), una collega veterana del Razzle Dazzle che ora fa la cameriera in un casinò vicino. C’è anche Eddie (Dave Bautista), il gigante buono dello show, direttore di scena noto per i suoi ordini, anche se ha la tendenza a diventare timido quando c’è Shelly.
È Eddie a dare la notizia a tutte durante una riunione pomeridiana: il Dazzle è finito; l’ultimo spettacolo sarà tra qualche settimana e gli artisti del Dirty Circus prenderanno possesso del loro spazio a partire dal giorno successivo. Eddie ha ritenuto che le ballerine meritassero di ricevere la notizia prima da lui. Ma lo spettacolo è l’ultimo del suo genere, sostiene Shelly. È un classico! Le ballerine più giovani riconoscono che è anche un dinosauro rispetto agli show di maghi appariscenti o alle residency di grandi nomi che ora dominano il rebranding della Disneyland per adulti della Strip. Potrebbero fare un provino per lo spettacolo del Dirty Circus, anche se lo scorcio che vediamo delle sue scene clou – una donna in topless che fa girare i piattini – non è esattamente promettente. Annette si offre di trovare un lavoro alla sua amica come barista. Shelly vuole solo continuare a ballare. È il sogno che ha inseguito e raggiunto, quello per cui ha rinunciato a tutto. E ora deve fare i conti con il fatto che il sogno potrebbe essere finito.
Partendo da una sceneggiatura di Kate Gersten, autrice di Mozart in the Jungle e di The Good Place, Coppola crea questo racconto di vite vissute in una quieta disperazione non tanto come un’immersione profonda dentro il personaggio di Shelly, quanto piuttosto come una vetrina per la sua protagonista. La regista ha raccontato di aver visto il documentario Pamela: A Love Story (2023) con protagonista Anderson su Netflix e ha pensato che questa donna incompresa sarebbe stata perfetta per interpretare una persona costretta a trovare una seconda chance in età matura. E sapendo quello che tutti sappiamo di Pamela Anderson, una donna che ha sopportato la sua parte di insuccessi e colpi duri sotto il continuo scrutinio del pubblico, si può capire perché questo ruolo era così adatto a lei. L’ex “Playmate del mese” ha alle spalle molte esperienze di vita, alcune buone, altre cattive e altre molto brutte. Anderson si butta davvero nella parte. Nessuno può dire che non si sia impegnata.
Tuttavia, è la storia personale di Pamela Anderson – tutte quelle cadute e risalite che porta nel film semplicemente per il fatto di essere un’icona della cultura pop degli anni ’90 – a fare la maggior parte del lavoro pesante qui. Non è affatto una cattiva interpretazione. Tuttavia, il modo in cui The Last Showgirl è stato accolto da alcuni come una svolta per Anderson sembra una risposta a una narrazione avvincente che avviene fuori dallo schermo più che a ciò che è effettivamente sullo schermo. Le persone amano così tanto l’idea che Anderson sia una straordinaria attrice drammatica che è stata messa da parte negli anni, che potrebbero essere disposte a ignorare lo star vehicle un po’ traballante che dovrebbe essere la prova numero 1 di questa argomentazione. Il film si fa in quattro per dare a questo personaggio un senso di dignità, e la mole di lavoro si vede. Né Coppola fa un favore alla sua protagonista o al film tagliando continuamente su scene in slo-mo di Anderson che volteggia per strada e che fissa con disperazione l’orizzonte, il che emana pesanti vibe da film studentesco. (Come l’inclusione di una sequenza in cui Curtis balla sulle note di Total Eclipse of the Heart nel bel mezzo di un turno di lavoro: perché?)
Se il pubblico è deciso a dichiarare una vera e propria Anderson-aissance, faccia pure. Se questa esposizione dovesse portare a progetti futuri che davvero miglioreranno l’attrice Pamela Anderson, allora l’errore di The Last Showgirl di confondere il pathos da quattro soldi con un vero arco di tragedia-trionfo o con il suo eroismo working class sarà valso la pena. Ma per un film che chiede continuamente alla sua protagonista di riconoscere dove finiscono i sogni e dove iniziano le illusioni, si vorrebbe che sapesse quando ascoltare le sue stesse lezioni.