Ogni giorno vengono caricate in streaming 10 mila canzoni generate dall’intelligenza artificiale | Rolling Stone Italia
(Gu)AI in vista

Ogni giorno vengono caricate in streaming 10 mila canzoni generate dall’intelligenza artificiale

E questo su una sola piattaforma, Deezer. Si tratta del 10% della musica che viene pubblicata quotidianamente. Nel giro di tre anni l’AI potrebbe sottrarre agli artisti quasi il 25% dei ricavi

Ogni giorno vengono caricate in streaming 10 mila canzoni generate dall’intelligenza artificiale

Suonala ancora, AI

Foto: Possessed Photography/Unsplash

Qual è l’impatto dell’intelligenza artificiale sulle piattaforme di streaming? Viene usata solo come strumento per rifinire le canzoni o anche per produrle?

Secondo i dirigenti di Deezer, competitor di Spotify e Apple Music nato in Francia e di proprietà per più di un terzo di Access Industries (Warner Music Group, DAZN), ogni giorno vengono caricate sulla piattaforma circa 10 mila canzoni generate dall’intelligenza artificiale, pari a circa il 10% di tutta la musica pubblicata quotidianamente su Deezer.

La stima è stata fatta usando un software che ha setacciato gli uploads. Per contrastare il fenomeno, Deezer intende contrassegnare i contenuti generati dall’AI, comprese le tracce che fanno uso di voci deep fake, escludendoli inoltre dalle playlist raccomandate agli utenti.

Per Alexis Lanternier, amministratore delegato di Deezer, «l’intelligenza artificiale sconvolge ogni giorno di più l’ecosistema musicale, producendo una quantità crescente di contenuti che inondano piattaforme come la nostra». La AI può avere potenzialmente «un impatto positivo sulla creazione e sul consumo di musica, il suo uso deve essere però responsabile e orientato alla salvaguardia dei diritti e dei ricavi di artisti e autori».

Non è un tema da poco. Solo pochi anni fa, quando la musica generata automaticamente o quasi era di infima qualità, il problema delle canzoni prodotte con l’AI sembrava irrilevante. Con l’affinamento degli strumenti di intelligenza artificiale, non lo è più e sta anzi diventando sempre più importante specialmente in relazione dalle piattaforme di streaming e alle playlist che prevedono un ascolto passivo di musica da parte degli utenti, ad esempio quelle pensate per favorire o evocare un certo stato d’animo o accompagnare attività quotidiane.

In futuro, i contenuti generati dalla AI potrebbero infatti togliere spazio e quindi introiti ai musicisti. E non parliamo di un futuro lontano. La Confédération Internationale des Sociétés d’Auteurs et Compositeurs, organizzazione internazionale non governativa che lavora per proteggere i diritti e gli interessi degli autori, stima che fra tre anni l’AI potrebbe sottrarre quasi il 25% dei ricavi degli artisti. Si parla di circa 4 miliardi di euro.

Non è detto che le piattaforme di streaming abbiano un incentivo economico ad arginare in modo deciso il fenomeno. La giornalista Liz Pelly, autrice del libro Mood Machine: The Rise of Spotify and the Costs of the Perfect Playlist, spiega che «la storia dei cosiddetti artisti fake gira dal 2015 o dal 2016. Avevo dato per scontato che si trattasse di imbroglioni fai-da-te che cercavano di fregare il sistema. Le storie di singoli truffatori dei servizi di streaming non mi hanno mai interessata particolarmente. Concentrarsi sui singoli imbroglioni mi è sempre parsa una distrazione dal raggiro sistemico che è in atto. E invece scoprire che i cosiddetti artisti fake fanno in realtà parte di una strategia concepita all’interno di Spotify, dove c’è un piccolo team che s’interfaccia con questi specifici licenziatari, e che questo programma ha addirittura un nome mi ha sorpresa tantissimo».

Tra i tanti musicisti scesi in campo contro l’uso dell’AI c’è Paul McCartney che in un’intervista concessa alla BBC si è detto preoccupato per il disegno di legge inglese che consentirebbe alle aziende tecnologiche di addestrare i modelli di intelligenza artificiale utilizzando opere protette da copyright, salvo esplicita opposizione da parte degli artisti. È un altro aspetto cruciale della questione: prima di generare canzoni dotate di “senso”, i modelli di AI hanno bisogno di immagazzinare una gran quantità di musica. L’anno scorso Sony, Universal e Warner hanno fatto causa a Suno e Udio, piattaforme che permettono di creare canzoni con un semplice comando scritto: sarebbero state addestrate violando il copyright, ovvero dando loro in passto brani senza la necessaria autorizzazione degli aventi diritto. La legge inglese renderebbe più facile questa operazione.

«A incassare», ha detto McCartney, preoccupato per gli artisti più giovani le cui opere sono sempre meno tutelate e rimunerate, «dovrebbe essere il creatore del brano, non una Big Tech».

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