Certe dichiarazioni non sembrano nemmeno uscite da un briefing del Pentagono, ma piuttosto da un episodio di The Apprentice. E invece no, Donald Trump ha deciso di superare sé stesso e ha annunciato che gli Stati Uniti “prenderanno il controllo” della Striscia di Gaza, con un piano che sembra una fusione tra un manuale di urbanistica distopica e un reality show.
L’idea? Radere al suolo tutto e ricostruire Gaza come la “Riviera del Medio Oriente”, trasformandola in un paradiso turistico per ricchi investitori e influencer in cerca di contenuti da postare su Instagram. Un dettaglio di poco conto: i palestinesi che oggi vivono lì verrebbero trasferiti in Egitto, Giordania o in qualsiasi altro posto che accetti l’offerta. Una sorta di sconto Black Friday sul diritto internazionale.
Trump ha lanciato il suo annuncio con il solito show alla The Donald, affiancato da un Netanyahu che annuiva con aria compiaciuta, come se l’idea fosse la più brillante degli ultimi decenni. «Sarà un grande progetto, il più grande di sempre!», ha detto Trump. «Lo sminiamo, lo livelliamo e lo trasformiamo in un posto magnifico dove la gente verrà da tutto il mondo».
Una dichiarazione che lascia intendere che per l’ex presidente USA Gaza sia semplicemente un lotto di terra abbandonato, un cantiere fermo, pronto per essere gentrificato. Come se la questione si riducesse a un problema di urbanistica e non a decenni di conflitto, guerre, e sofferenza.
Un progetto urbanistico o una deportazione di massa?
Il punto che nessuno ha capito – o forse tutti hanno capito fin troppo bene – è che l’intera popolazione palestinese di Gaza dovrebbe essere trasferita permanentemente altrove. C’è solo un piccolo problema: Egitto e Giordania, gli unici Stati che teoricamente potrebbero accogliere i profughi, hanno già risposto con un gigantesco “NO”.
Trump, però, insiste. Secondo lui, alla fine tutti capiranno la genialità del piano. «Il re di Giordania e il presidente egiziano apriranno i loro cuori», ha dichiarato. E se non lo faranno? Be’, probabilmente li convincerà con qualche tweet o con un post su Truth Social.
Ma la realtà è un’altra. Il piano di Trump cancella qualsiasi ipotesi di soluzione a due Stati e propone qualcosa di completamente fuori dalle logiche del diritto internazionale: una deportazione di massa mascherata da progetto di sviluppo economico.
Netanyahu esulta, il mondo arabo esplode
Dal lato israeliano, Netanyahu e il suo governo hanno accolto la proposta con il sorriso di chi vede un regalo inaspettato arrivare da Washington. «È un’opportunità storica», ha dichiarato il premier israeliano. Tradotto: meno palestinesi, meno problemi.
Il resto del mondo, invece, non è altrettanto entusiasta. La Lega Araba, l’Autorità Palestinese, e praticamente ogni governo del Medio Oriente hanno bollato il piano come una follia totale, paragonandolo a una seconda Nakba, la catastrofe palestinese del 1948. Anche l’ONU ha alzato il sopracciglio, e non capita spesso che si scomodi per smentire le sparate di Trump.
Cosa c’entra l’Arabia Saudita?
Trump non si è limitato a parlare solo di Gaza. Ha anche tirato in ballo il processo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, come se il suo piano rientrasse in una strategia più ampia per pacificare la regione.
La logica è questa: Gaza diventa un resort di lusso, i palestinesi se ne vanno, e a quel punto Arabia Saudita e Israele possono firmare il tanto atteso accordo di normalizzazione. Peccato che Riad abbia già detto chiaramente che non normalizzerà mai i rapporti con Israele senza uno Stato palestinese sovrano.
Un’idea che puzza di “shock and awe” 2.0
C’è un altro dettaglio che rende tutto ancora più surreale: chi pagherà questo progetto? L’America? Israele? Gli Emirati? Un crowdfunding su Kickstarter? Nessuno lo sa. Quello che è certo è che la ricetta proposta da Trump sa di “shock and awe” – la stessa strategia usata in Iraq nel 2003: si distrugge tutto per poi ricostruire. Peccato che la ricostruzione, di solito, finisca con il diventare una palude di conflitti, corruzione e guerre infinite.
L’eredità di Trump: il Medio Oriente come un episodio di The Apprentice
Il piano per Gaza, nella sua assurdità, riassume perfettamente il modo in cui Trump vede il mondo: tutto è un grande affare immobiliare, e le vite umane sono variabili secondarie in un progetto più grande. Gaza, in questa visione, non è una terra con una storia, un popolo, una cultura: è solo un terreno edificabile da valorizzare.
Se andiamo avanti di questo passo, il prossimo passo potrebbe essere la privatizzazione del conflitto israelo-palestinese, con appalti dati a qualche società americana per “pacificare” la regione in cambio di royalties sui futuri resort.
Il problema? Il Medio Oriente non è un episodio di The Apprentice. Qui non si può semplicemente dire “You’re fired!” e sperare che tutto si sistemi. E se Trump non l’ha capito, il resto del mondo sì.