Sanremo 2025, le pagelle delle canzoni della seconda serata | Rolling Stone Italia
E due

Sanremo 2025, le pagelle delle canzoni della seconda serata

Le conferme di Giorgia e Lucio Corsi, Elodie disco diva, Fedez ansiogeno, il Pret winter di Rose Villain, un po’ di rock e un po’ di kitsch: anche questa sera abbiamo dato i numeri

Sanremo 2025, le pagelle delle canzoni della seconda serata

Rose Villain a Sanremo 2025

Foto: Daniele Venturelli/Getty Images

Mille vote ancora

Rocco Hunt

VOTO
5,5

Il bambino che sogna anche se non ha niente, l’odore delle caffè, i campetti dove si non gioca più perché i ragazzi hanno i telefonini, lo Stato assente sono immagini stereotipate. Ma il ritornello ha la spinta anche ritmica per rappresentare la nostalgia per certe terre belle e amare in cui si cresce e da cui si vuole fuggire, e che poi si rimpiangono.

Dimenticarsi alle 7

Elodie

VOTO
7

Non è proprio “piangere in discoteca” (cit), semmai immalinconirsi dopo esserci stati. Anche al secondo ascolto la canzone mantiene una sua eleganza quasi vintage nel mettere assieme la produzione elettronica e la musica dell’epoca in cui il pop italiano veniva chiamato musica leggera. In più, le ballerine. Elo disco diva: ovviamente ci sta.

Volevo essere un duro

Lucio Corsi

VOTO
8

Il miglior “volevo essere” dai tempi di Acqua dalla luna. Anche lui avrebbe voluto essere un grande mago, incantare ragazze e serpenti o più prosaicamente essere uno spaccino in fuga da un cane lupo o anche solo una medaglia d’oro di sputo. E invece è Lucio Corsi e il punto è che va benissimo così. Alla seconda esecuzione emerge ancora di più il carattere prima malinconico e poi celebrativo di questa bella confessione di normalità. E poi dietro quei suoni di chitarra c’è una vera cultura rock: evviva.

Tu con chi fai l’amore

The Kolors

VOTO
4,5

Una canzone caramella: più la succhi e meno sapore ha. Anzi, diventa amara nonostante l’attacco alla Supertramp. La seconda vita dei Kolors passa attraverso l’assalto continuo e spudorato alla programmazione delle radio, ma più s’accumulano tormentoni (prima Italodisco, quindi Un ragazzo una ragazza, poi Karma) e meno vien voglia di ascoltarli.

Anema e core

Serena Brancale

VOTO
5

“Nuie simm’ d’o Sud” cantava Pietra Montecorvino portando la mano alla bocca in un atto di magnifica volgarità nel finto Sanremo di FFSS Cioè… che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene. Qui molto più modestamente siamo in clima vacanziero, nonostante la convinzione (la cazzimma abbiamo scritto ieri).

Battito

Fedez

VOTO
6,5

Non è mai stato un grande autore e nemmeno un grande cantante, ma funziona quando si scopre un po’ come nei freestyle velenosetti oppure in canzoni ansiogene come questa. Siccome molti non si aspettavano granché rischia di essere paradossalmente una delle rivelazioni del Festival, ma aveva cantato meglio ieri.

Fango in paradiso

Francesca Michielin

VOTO
5,5

Per essere una specie di revenge song non c’è una parola fuori luogo, un suono che fa sobbalzare, un graffio. E non basta lo “schifo” sottolineato a favore di telecamera, e nemmeno il ritornello sui “tuoi stupidi occhi” o il richiamo a una canzone pop struggente come The Winner Takes It All degli Abba. Che tenerezza però il piantino finale.

Quando sarai piccola

Simone Cristicchi

VOTO
6

Qui c’è da decidere: Cristicchi porta a Sanremo un tema o una canzone? È facile simpatizzare con lui e con Quando sarai piccola, che ha un’andatura aggraziata pur trattando della madre malata. La canzone diventa rilevante perché il tema lo è, ecco perché si parla in casi simili di ricatto del contenuto (cfr. Edmondo Berselli). All’Ariston si prende una standing ovation, ma è una canzone che difficilmente avremo voglia di riascoltare dopo il Festival. E in entrambe le sere, ammettiamolo, è mancata a tratti l’interpretazione.

Pelle diamante

Marcella Bella

VOTO
5

Se il kitsch è come è la produzione di oggetti che vogliono essere artistici, ma sono in realtà banali se non dozzinali, Pelle diamante è una canzone kitsch. È un autoritratto purtroppo privo d’ironia di una “stronza forse, ma sorprendente” che però non sorprende nessuno, “una mina vagante” che però non mina alcuna certezza.

La tana del granchio

Bresh

VOTO
6,5

Una confessione dei propri limiti, fatta però con una serenità diremmo mediterranea, forse per via degli strumenti acustici o dei “costumi bagnati” citati nel testo. Al contrario della ragazza della canzone, noi due lire gliele diamo volentieri, specialmente dopo il secondo ascolto.

Incoscienti giovani

Achille Lauro

VOTO
7,5

Lauro e suoi co-autori sanno come giocare coi luoghi comuni sia nelle musiche (la prima strofa alla Venditti che evoca ben altri struggimenti), sia nel testo. E lui sa fare teatro per la tv generalista. Forse dopo la Rolls Royce, la tutina e i “quadri”, gli restava la sola possibilità di presentarsi come narratore ben vestito ma dalla voce stropicciata di un vecchio amore di periferia. “Ti chiamerò da un autogrill” è il tananaismo di questo Sanremo.

La cura per me

Giorgia

VOTO
9

Per Giorgia è un’altra sera dei miracoli (la citazione di Lucio Dalla non è ovviamente casuale). Al secondo ascolto la canzone, che è beninteso buona, mostra i suoi limiti, lei no. Quel palco è suo, il pubblico dell’Ariston pure e senza troppi whitneyhoustonismi.

Il ritmo delle cose

Rkomi

VOTO
6,5

Se la melodia di Giorgia cita La sera dei miracoli, il passaggio di Rkomi “ultimamente fumo ed esco veramente poco, sto in mutande” fa venire in mente il “sto sempre in casa, esco poco, penso solo e sto in mutande” di Disperato erotico stomp. E forse quello che manca a questa canzone è un pizzico di erotismo o anche solo un po’ di stomp per raccontare il caos che ci travolge tutti quanti. Il violento decrescendo ha fatto invecchiare anzitempo i due ballerini, ieri ragazzi, oggi anziani.

Fuorilegge

Rose Villain

VOTO
8

Non conta solo la canzone, che potrebbe essere una delle vere hit che escono dal Festival, ma anche la performance estetizzante e studiata nei minimi dettagli, dalla gestualità alle espressioni facciali. E forse è quel che ci vuole per portare alla platea di Sanremo un pop lievemente più avanzato di quello che s’aspetta. Dopo il «si ’na pret» di ieri è già Pret winter.

Grazie ma no grazie

Willie Peyote

VOTO
7

È uno dei dilemmi di Sanremo: quando porti al Festival una canzone che dice delle cose sul mondo in cui viviamo, ma le dice con leggerezza, al pubblico arriva il ritornello-slogan o la parte tagliente? Il ciao ciao o la vertigine sociale? “Sta arrivando, sta arrivando” o la guerra dei bambini? Grazie ma no grazie è morbidamente piacevole, con quei cori so 70s, quegli “oh oh oh” da febbre dal sabato sera, e al secondo ascolto prende quota. Vedremo cosa resterà.