‘The Girl With the Needle’, ovvero un film per quando i mostri ritornano | Rolling Stone Italia
le streghe son tornate

‘The Girl With the Needle’, ovvero un film per quando i mostri ritornano

Non solo vampiri e strane sostanze che fanno sdoppiare i corpi: tra i mostri di questa stagione cinematografica ci sono anche i tanti contenuti nel film, candidato agli Oscar, di Magnus von Horn. E ci dicono molto del nostro presente

The Girl With the Needle

'The Girl With the Needle' di Magnus von Horn

Foto: press

I mostri sono tornati. I demoni non se ne vanno, i mostri a volte si modulano. Spariscono per un po’, tornano nella tana, riaffiorano. A volte nei mostri perdiamo interesse. Il nostro tempo storico sembrava segnato dalle fantascienze, le ucronie, le esagerazioni. Era un bel po’ che non ci sentivamo gotici per davvero.

Invece alla fine i mostri sono tornati, e a mostrarcelo, come accade, sono le arti, cinema in prima linea. Il Longlegs di Osgood Perkins, dove Nicolas Cage interpreta una metà presenza, metà uomo-terrificante-truccato-di-bianco. The Substance, che agli Oscar di questa sera si contenderà parecchi titoli, ci ha catturato, intrigato, disgustato, spaventato. Il mosto funziona perché è una metafora. Non inventa nulla, parla a qualcosa che è già dentro di noi. È un “corpo culturale”, come lo definisce Jeffrey Cohen – professore di Humanities all’Arizona State University, negli Stati Uniti, e autore – nella sua Monster Theory. Mette in luce ciò che vorremmo nascondere e purgare, che siano sentimenti malevoli o tensioni sociali.

Ancora: il recupero delle leggende vampiriche grazie al Nosferatu di Robert Eggers; il revamping a cui è soggetto il Frankenstein di Mary Shelley nel BookTok, la nicchia del social cinese dove si scambiano pareri e consigli di lettura; non mi stupirei se anche i lupi mannari dovessero riavere il loro momento, e mica sotto le fattezze addolcite dei romanzi Young Adult. Abbiamo qualcosa che non va, e lo vogliamo dire attraverso i mostri (attenzione: da qui in avanti, spoiler).

Lo mostra ancora una volta la rosa degli Oscar, che comprende almeno un altro film mostruoso: The Girl With the Needle dello svedese Magnus von Horn (disponibile su Mubi), candidato come Miglior film internazionale. Copehagen, Danimarca, 1919. Karoline (Vic Carmen Sonne) non vede da tempo il marito Peter (Besir Zeciri), impegnato sul fronte della Grande Guerra. L’uomo non è stato dichiarato morto, ma non risponde alle lettere della moglie. Per guadagnare due soldi, Karoline lavora come sarta in una fabbrica locale. Presto però intreccia una relazione con il titolare, rampollo di una ricca famiglia danese. Rimane incinta e la madre di lui la minaccia: deve andarsene immediatamente, quel bambino non sarà riconosciuto. Karoline, e quello che si porta dentro, sono mostri: l’onta della differenza di classe e della povertà, oltre che del sesso fuori dal matrimonio, prendono corpo.

Karoline cerca di abortire infilandosi un lungo ferro nella vagina in un bagno pubblico. Non ci riesce ed è salvata da un potenziale dissanguamento dall’intervento di Dagmar (Trine Dyrholm), donna in quel momento sul luogo con quella che dice essere sua figlia (Erena, interpretata da Anna Knox Martin). Dagmar la convince a non abortire, dicendole che potrà occuparsi lei di affidare il nascituro a una famiglia benestante della città in cambio di una somma di denaro. Karoline, se abortisse, sarebbe un mostro.

Intanto, Peter torna dal fronte. È sfigurato terribilmente. È un mostro, un freak. Subito Karoline lo caccia di casa,  dicendo di essere innamorata di un altro. Al fallimento della relazione con il capo, lo incontra di nuovo in un circo itinerante, dove Peter si guadagna da vivere mettendo in mostra la sua deformità. I due tornano insieme. Peter vorrebbe tenere il bambino, ma intanto soffre di crisi psichiche da stress post-traumatico. Altri mostri si aggiungono. Karoline dà alla luce una bambina, lascia la casa e si reca da Dagmar, che promette che si occuperà della neonata.

Ma la giovane non ha i soldi per pagarla. Comincia così a lavorare per lei, prima allattando Erena, poi aiutandola a “reclutare” altre donne con problemi simili al suo, e occupandosi dei neonati prima che Dagmar li prelevi per l’affidamento. Il legame che si creerà tra le due donne porterà alla luce ulteriori mostruosità, morali e fattuali, rivelate quando Karoline seguirà Dagmar durante una di queste consegne. E troverà un fiume nero al posto di una casa accogliente.

Questo, però, è un mostruoso facile. È il contraltare alla banalità del male emersa nella seguente Guerra Mondiale. Come dirà Dagmar stessa quando le sarà chiesto conto delle sue azioni, parafraso, l’ho fatto perché andava fatto. Voi mi portavate i vostri figli, che cosa vi indignate a fare, adesso. È il Lucifero del Paradiso perduto del poeta inglese John Milton: un realista, per dirla alla Kissinger, uno “troppo grande” per le regole degli uomini. Qualcuno che decide di farsi carico della decisione più difficile. Moralmente è scorretto. Forse sta addirittura al di là del bene e del male. Non sta a me decrittare.

In questa architettura di mostri da una parte, e dall’altra, Karoline vorrebbe essere un argine. Convinta di agire per ciò che ritiene essere il bene, sottosta alle regole di Dagmar. Anche per lei, però, la mostruosità non tarda ad arrivare. Rifiuta il marito per poi tornare da lui nel momento del bisogno (nel gergo del dating online questa sarebbe una red flag), e presto si scopre complice di un piano omicida. Nel mentre passa anche un altro mostruoso, femminile e sconcertante (sul mostruoso femminile ha ben scritto l’antropologa Giulia Paganelli, e potete leggere qualcosa qui), almeno per gli occhi della contemporaneità: l’allattamento al seno di Erena, bambina già cresciutella.

O forse è un mostruoso percepito attraverso il taglio della ripresa, che indugia e ricerca il cadrage ben fatto e dà vita a immagini statuarie, evidenti. Eccolo di nuovo, il corpo del mostro. Ormai non ci fidiamo nemmeno di Karoline, sappiamo che è macchiata.

La copertina della rivista Time che mostrava una madre e un bambino decisamente non poppante succhiarle la tetta fece un piccolo scandalo nel 2012. Fece sollevare qualche sopracciglio, di un tabù di sorta, alla fine, sempre si tratta. Un pensiero che non dovrebbe intrudere in una mente cosciente e formante ricordi. L’anno scorso invece era girata la notizia che Kourtney Kardashian bevesse il suo stesso latte materno nei momenti di malessere, per tornare a stare meglio. Le linee-guida ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sconsigliano agli adulti di nutrirsi di latte materno, ma reputano accettabile il legame tra bambino e madre fino a quando entrambi ne sentono il bisogno.

Che tempo spaventoso. Le destre riportano indietro leggi e conquiste sociali, in tutto il mondo. Donald Trump gioca con i missili, verbali e non. In Germania crescono i numeri di un partito estremista. Il voto delle democrazie occidentali indica una polarizzazione di genere tra le giovani donne e i giovani uomini, gli uni contro gli altri, stanchi della controparte. Come sta il pianeta? Mai peggio di così, ci diciamo. Il mostro esce dall’armadio e svicola tra le pagine, sullo schermo, nei pensieri. Il suo corpo impregna il presente.

Sembra la solita scena del Sisifo di Albert Camus, lì a spingere un roccione su una montagna solo perché possa ricadere immediatamente alla base, e ancora e ancora ricominciare. Per chi si diletta di disquisizioni filosofiche nei caffè francesi, però, questo Sisifo è la parte brillante dell’esistenzialismo. È un gigante, in fin dei conti, un eroe. Forse Dagmar lo è, Karoline non lo so. Però conviene stare dalla parte dei mostri, affrontarli, non volgere il capo. Unirsi a loro in un circo itinerante di folli, magari. Quando la normalità sembra perdere il senno, quello che resta è una Corte dei Miracoli.

Non so nemmeno se The Girl With the Needle vincerà un Oscar, di previsioni non me ne intendo. So però che guardarlo porta a quella famosa formulazione di Eugenio Montale in Ossi di seppia, e che in tempi di crisi l’identità è meglio in negativo che per nulla affatto. Allora risponderemo: «Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».