Con le sue 30 tracce, per un’ora e un quarto di durata, Music è l’abbuffata che i fan di Playboi Carti desideravano. È da vedere se è roba fresca o riscaldata. Whole Lotta Red del 2020 è diventato il modello per decine, se non centinaia di rapper che ne imitano il modo di trasformare la voce. Nessuno di loro, però, riesce a toccare i livelli d’immaginazione e creatività del rapper di Atlanta. Persino quando canta in modo poco ispirato oppure si fissa in modo maniacale su droghe, donne e auto, lo fa con un magnetismo da vera star.
Se in Whole Lotta Red Carti riusciva ad affascinare per il modo in cui trasformava il flow, forse ispirato almeno in parte dalla fine della relazione con Iggy Azalea, lo ritroviamo in Music consapevole del suo potenziale di talento generazionale. Sembra quasi di vederlo in cima alla montagna della fama che ha scalato mentre ripensa alla strada che ha fatto e ai sogni che aveva, si gode il panorama e riflette sull’inevitabile discesa. Come dice all’inizio di Dis 1 Got It, “sto lavorando sulla mia morte”.
A curare la musica è Swamp Izzo, il dj di Atlanta che ha curato i primi mixtape di Young Thug. Quest’ultimo, Kendrick Lamar, Future e Lil Uzi Vert appaiono in varie tracce di Music e, cosa ancora più importante, improvvisano parti su cui Carti rappa, la dimostrazione di quanto centrale è diventato il suo linguaggio (uno dei pezzi con Thug, We Need All da Vibes, è preso da un demo realizzato prima di finire in carcere nel 2022). “Ho avuto una bitch bianca come Julz, ma non è una modella”, canta a un certo punto Carti, al che Lamar risponde: “Ma non è cosa?”. Sembrano amici che fumano e cazzeggiano in una session notturna. Però poi arriva Skepta che piazza una strofa da urlo su Toxic, aggiungendo un po’ di peso al disco.
Se Playboi Carti è scampato ai pericoli del cosiddetto mumble rap, definizione spesso usata per sminuire gli artisti della Gen Z, è per via del suo modo di rappare, forse influenzato dall’asma di cui soffre. Cambia tono da un pezzo all’altro e lo fa in modo così radicale che pare di sentire interpreti diversi. Canta Jumpin come uno, questo lo ha scritto Olivier Lafontant di Pitchfork, «che si droga in una stanza buia». In Pop Out urla con tono rauco che “tutte le volte che usciamo le bitch si innervosiscono”. In Dis 1 Got I la voce è talmente simile a quella di Future da far venire il dubbio che sia davvero lui. E poi ovviamente c’è la sua sua celebre baby voice che ha usato alla grande in passato, ad esempio in Die Lit del 2018, e che torna in Fine Shit.
Le basi che fluttuano tra l’industrial noise (Cocaine Nose), la vaporwave a 8-bit (Like Weezy) e i charleston dell’hip hop sudista (Radar). Assemblati da un mezzo esercito di produttori, hanno un bell’impatto, anche se canzoni come Wake Up F1lthy e Charge Dem Hoes a Fee sono banali, mentre altre come OPM Babi brillano d’un funk stranamente seducente. Il problema è che gli interni pregiati di Music, per citare lo slang automobilistico che Cardi apprezza, non riescono a distogliere l’attenzione da quel che c’è o non c’è sotto al cofano.
Anche i testi di Carti, come quelli della maggior parte dei rapper, riflettono l’ossessione per le dinamiche di potere. Ecco allora che si accumulano donne, auto e droghe come simboli di successo. Fa eccezione Rather Lie, che inizia con un ritornello melenso di The Weeknd e prosegue con Carti che si vanta d’aver catturato una cougar, per poi chiedere: “Gli opposti si attraggono, come fai a essere felice e poi ad arrabbiarti?”, un riferimento al fatto che nella vita reale la gente lotta per mantenere in piedi le proprie relazioni. Più tipico di Carti è il passaggio di K-Pop in cui dice che “ho una troia che vuole scopare con la gang e che ha macchiato il pavimento”. Magari per i fan di Carti testi del genere danno qualche brivido, ma dietro ai sogni porno dei milionari si celano significati nascosti. Carti ha affidato la co-produzione di Backd00r al mentore convintamente antisemita Kanye West (con lui è arrivato per la prima volta in cima alla classifica americana con Carnival l’anno scorso) e flirta con un’immaginario dark e satanico su Instagram. In altre parole, Music è il riflesso di un ambiente in cui il potere, la coercizione e la violenza decretano vincitori e vinti.
Il problema di Music non è solo la lunghezza eccessiva, che è tutto sommato accettabile in quanto tipica del genere (a quanto pare i dischi oggigiorno durano 30 minuti oppure sembrano andare avanti all’infinito). Il problema è che i testi esprimono sentimenti che poi Carti non riesce a esplorare in profondità. Prendete HBA, dove accenna al fatto di avere avuto due figli e suggerisce quindi l’immagine del padre che sforna una hit dietro l’altra per assicurare alla prole la ricchezza che lui non ha avuto. “Sono un figlio del crack, sono stato cresciuto con la droga”, dice in South Atlanta Baby (la metafora ricorda il singolo di Young Dolph In My System). Ma in che modo un’infanzia di quel genere influenza le scelte che compie oggi?
Forse è chiedere troppo a chi ha tutto questo talento nel creare suoni. È però questa la sfida che Carti si troverà ad affrontare in futuro. “Vedete, a molti di voi fuck niggas sembrerà la fine del mondo, ma per quelli del mio giro è un nuovo inizio”, grida DJ Swamp Izzo in Radar. Magari fosse così.