Senza Clem Burke, i Blondie sarebbero stati più mosci | Rolling Stone Italia
Tributo al rock’n’roll kid

Senza Clem Burke, i Blondie sarebbero stati più mosci

Ecco perché il musicista morto domenica scorsa a 70 anni è stato un batterista rockstar come Keith Moon e Ringo Starr

Senza Clem Burke, i Blondie sarebbero stati più mosci

Clem Burke nel 1978

Foto: Brian Cooke/Redferns/Getty Images

Se n’è andato Clem Burke dei Blondie, uno dei migliori batteristi rock di sempre. Il suo modo di suonare esuberante e pieno d’energia ha definito il sound del gruppo tanto quanto il canto di Debbie Harry. Univa il fervore caotico del suo idolo Keith Moon e lo stile dei batteristi di casa Motown alla Benny Benjamin. Ha imposto il ritmo col quale il gruppo è partito dal CBGB alla conquista del mondo. «Non era solo un batterista», scrivono oggi i Blondie, «era il cuore pulsante della band».

Per capirne lo stile unico basta ascoltare i primi 26 secondi di Dreaming del 1979. La prima cosa che si sente è Burke che prepara l’ingresso di Debbie Harry. Quando lei inizia a cantare, l’attesa e l’emozione sono già alte, è un melodramma adolescenziale delineato dalla batteria.

Prima di imbarcare Burke nell’avventura, i Blondie suonavano già nei bar del Lower East Side, ma è stato lui a far fare alla band lo scatto decisivo. Prima che arrivasse nel 1974, Debbie Harry e Chris Stein non erano manco sicuri di voler continuare a suonare. Poi, e questo lo ha raccontato la cantante al Chicago Tribune, «è arrivato Clem ed era una star. Sapeva suonare, si capiva che era la sua vita. Era quel tipo di persona, un rock’n’roll kid».

Blondie - Dreaming

Burke aveva appena 18 anni e veniva da Bayonne, New Jersey, ma non aveva dubbi sulla band e difatti non l’ha mai mollata. È stato il motore della corsa frenetica ai tempi della new wave e di classici come Hanging on the Telephone, Fan Mail o Rip Her to Shreds. Ha tenuto assieme il groove di pezzi disco tipo Heart of Glass e Atomic, ma anche del rap di Rapture e del reggae di The Tide Is High. Sapeva fare tutto. Era mancino, ma suonava il kit da destro perché l’aveva visto fare a Ringo.

Quando la precedente sezione ritmica ha mollato i Blondie (col bassista Fred Smith che è andato nei Television), tutti pensavano che per la band fosse la fine. Non Harry e Stein, che hanno pubblicato un annuncio sul Village Voice e fatto provini a una cinquantina di candidati, l’ultimo dei quali è stato Clem. Sono rimasti a bocca aperta. «Era carismatico», ricorda Harry in Making Tracks del 1981. «Ed era anche l’unico che portava scarpe eleganti». Era la scossa di cui avevano bisogno. «Era esattamente quel che stavamo cercando. Era figlio di un batterista professionista, era un uomo di spettacolo».

Spettacolo è una parola chiave. Burke aveva la qualità tipica delle star. Era il fashionista dei Blondie grazie ai suoi completi impeccabili ed eleganti e al taglio di capelli mod che tutti imitavano. «Mettevo sui capelli birra e olio, accendevo il forno e ci infilavo la testa», ha raccontato. «Avevo i capelli sparati perché non avevo il phon».

Potete sentire la sua energia fanciullesca fin dall’attacco di X Offender, che apre il debutto dei Blondie e che era la sua performance preferita. Gioca con Harry nell’introduzione parlata tipica dei girl group anni ’60, sul modello di My Boyfriend’s Back. Combina nella sua performance l’energia maniacale del punk con abbellimenti pop alla Hal Blaine, per poi accelerare nel minuto finale, più veloce va e più si eccita. Non ho mai ascoltato X-Offender senza che mi venisse voglia dei risentirla una seconda volta.

«Debbie, che ha una decina di anni più di me, è come una sorella maggiore», ha detto Burke. Ma era lui, il fratellino minore, a incoraggiare Harry e Stein a scrivere. «Continuava a dirci che eravamo bravi, che avevamo qualcosa», ha ricordato la cantante. «Non gli ho mai chiesto cosa fosse quel qualcosa, ma ci ha spinto a riprovarci».

Non si è mai sentito messo in ombra da una frontwoman fighissima come Harry. «Non mi piace stare sullo sfondo», diceva. «I Beatles erano quattro star. I New York Dolls erano cinque star. Keith Moon è stato una grande fonte di ispirazione, come del resto Ringo, ed erano entrambi dei batteristi rockstar, non restavano in secondo piano. Non provavo gelosia per il ruolo di Debbie, ma anch’io volevo essere famoso e quando sei giovane e vuoi diventare famoso, sei sfrontato. Volevo essere il miglior batterista in circolazione».

Nella scena punk del CBGB ci sguazzava. All’inizio, ricordava, «non c’erano t-shirt, non c’erano punk-rocker e nemmeno tante donne. Si è capito che le cose si stavano muovendo quando sono arrivate le ragazze». Se arrivavano era anche grazie a lui e all’appeal pop che dava ai Blondie. «Era uno che andava da Woolworths a comprare i dischi delle Shangri-Las e dei Ventures. Chiaro che fosse entusiasta del nostro progetto di formare un gruppo pop in grado di modernizzare la musica trasmessa dalle radio AM», ha detto Harry. «Clem voleva una cosa sola: diventare una popstar».

Tutti volevano suonarci assieme. Nel corso degli anni, è stato il batterista di un sacco di gente, da Iggy Pop a Nancy Sinatra, da Pete Townshend agli Eurythmics e Joan Jett. Ha suonato col suo eroe Bob Dylan in Knocked Out Loaded del 1986 e con le vecchie amiche delle Go-Gos, al posto di Gina Schock. Ci scherzava su: «Ero il ragazzo più bello della band». Ha pure suonato coi Ramones nell’estate del 1987 col nomignolo di Elvis Ramone, ma è durato due soli concerti. A Johnny non piaceva il suo stile troppo sciolto.

Se a un concerto vedevi Clem, voleva dire che eri nel posto giusto. Era un seduttore ed era spiritoso (quando le Go-Gos sono entrate nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2021, ho scritto sui social che Gina Schock era la batterista più figa della Hall, al che Clem ha risposto: «Mi spiace Rob, ma non credo proprio, ah!».) Negli anni ’80 ha formato i Chequered Past col bassista dei Blondie Nigel Harrison e il chitarrista dei Sex Pistols Steve Jones. Ha suonato negli International Swingers con un altro Pistol, Glen Matlock, e negli Empty Hearts con membri di Cars, Romantics e Chesterfield Kings.

«I miei batteristi preferiti sono Earl Palmer, Hal Blaine, Keith Moon, Ringo Starr e Al Jackson, dalla band di Booker T», ha detto Burke nel 2022. «A volte bisogna suonare in modo appariscente, a volte limitarsi a dare il ritmo, bisogna trovare il giusto equilibrio. È quel che cerco di fare io, mettendoci sempre qualcosa di mio, qualcosa che faccia capire alla gente che ci sono anch’io». Non che ci fossero problemi a notarlo, quando suonava. Riusciva a illuminare qualunque musica. È sempre stato un incontenibile rock’n’roll kid, fino alla fine.

Da Rolling Stone US.

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