C’è un’immagine che mi torna in mente dopo aver ascoltato le dodici tracce (e zero featuring) di Santana Money Gang, joint album di Sfera Ebbasta e Shiva. È una fotografia di qualche settimana fa, quando il trapper di Cinisello aveva raggiunto quello di Milano Ovest a Palazzo di Giustizia per festeggiare la condanna ridotta in appello per la sparatoria del 2023: i due posano sorridenti in giacca e cravatta, con i tatuaggi che escono dalla camicia abbottonata fin su, occhiali da vista, orologi costosi e scarpe lucide, tipo profilo di LinkedIn, agenti immobiliari al Castello delle Cerimonie, o puntata finale di Temptation Island dopo il falò di confronto sullo stato della trap italiana.
Ecco, questo album uscito a sorpresa nella notte di giovedì – senza coinvolgere major discografiche se non nella distribuzione – avrebbe dovuto segnare il passaggio di testimone tra il re della trap italiana, Sfera, e il suo erede, Shiva, a quasi un decennio dall’esplosione del genere in Italia, e invece marca solo la fine dell’innocenza della scena con canzoni ripetitive, codificate al limite da sembrare fatte con ChatGPT, con poche idee di scrittura, quasi fare hit di successo fosse un lavoro d’ufficio, colletti bianchi dell’intrattenimento per ragazzini.
La loro Milano extra large è attraversata dai macchinoni con vetri oscurati che si sono comprati con i dischi d’oro, la strada che raccontano è quella del navigatore di Google Maps, a cento all’ora e fredda quanto i pezzi, “merda fatta velocissima ma intanto suona come il disco dell’anno”, così se la cantano e se la suonano senza ironia.
C’è sempre quella cupezza ansiogena della trap, ma non è più turbamento d’Adolescence ma esercizi cardio da palestra dark in cui flexare muscoli e aspettative (“Se sono in cima sai/la sconfitta non è un’opzione, Money gang” trappano in OVER (demo). Di sicuro il flow morbido e seducente di Sfera e la grinta perfomativa di Shiva entreranno nei cuffioni del calciatori che salgono sui bus prima della partita, pronte a dare la carica a o distendere i nervi, ma la decadenza di quell’immaginario che all’inizio aveva la potenza del punk ora è più che mai evidente, al netto del successo commerciale.
In D&G cantano il loro curriculum “Hollywood con le modelle, puzziamo ancora di strada”, in SEI PERSA omaggiano i Club Dogo (e c’è spazio anche per una citazione del Marracash di Badabum cha cha), in OVER (demo) c’è l’unico segnale che questo album sia uscito nel 2025 – “Tutti i miei fra c’hanno una para nuova: non farsi legare da Fabri Corona” – ma le armi della retorica si mostrano scariche, pure i diamanti e i soldi esibiti nelle rime sembrano aver perso valore, un crollo nella finanza dell’hype.
Vorrei azzardare che in tutto questo gioco al ribasso c’entri anche la crisi del maschio etero bianco contemporaneo, di cui il disco di coppia senza ospiti potrebbe essere un manifesto: l’unica voce femminile dell’album è quella della pornostar Martina Smeraldi che all’inizio di D&G dice “Ohi, amo, comunque tutti questi vogliono fare Sfera e Shiva/ Poi però nessuno ti paga una borsa di Hermès/ Né una vacanza alle Maldive o un bel vestito Dolce&Gabbana”. Ecco, Crepet, Recalcati, Lingiardi, mollate la serie di Netflix di cui parlano tutti e fate un salto dentro a Santana Money Gang! Non ci capirete nulla, perché come diceva De Gregori non c’è Niente da Capire in questo mimetismo dell’identità che è la trap mainstream italiana.
Le cose interessanti – e sempre di trap parliamo – stanno altrove, non per forza nell’underground o nelle periferie, basta guardare per esempio i provini dell’ultima stagione di Nuova Scena. Il resto è passato, scritto velocissimo come questo disco, e quindi velocissimo da dimenticare.