Fa caldissimo a Balat, sulla sponda meridionale di Istanbul. Il venticello del Corno d’Oro entra dall’enorme finestra del ristorante Sahil ed è un parziale ristoro per la profonda sessione di meze in cui Serra, Ilgaz e Zeynep mi stanno guidando. La bottiglia di raki, acquavite aromatizzata con anice, cala velocemente perché acqua e ghiaccio rendono più amichevoli i suoi 45 gradi alcolici e, anche, più profonda la nostra conversazione.
Sul tavolo compaiono una marea di piattini a ripetizione, prima freddi, poi caldi, a cui tuttavia non seguirà alcuna portata principale. Si alternano, così, crema di fava e melanzana brasata, fagioli conditi con cipolla e pomodoro, cartilaginosi rognoni di vitello, pesci, köfte e salsa yogurt oltre al classico ezme, le foglie di vite ripiene e il formaggio. Nelle tavolate intorno a noi avviene il medesimo rituale, meze e raki, canzoni melancoliche e camerieri mai stanchi.
«Le meze sono un simbolo del Mediterraneo», racconta Tan Morgul, food writer con base a Londra dove ha fondato Istanbul Elsewhere e Lakerda, con cui organizza sessioni di meze simili a quella che stiamo vivendo noi. «Se si esamina la cultura culinaria delle città antiche fino ai giorni nostri è inevitabile trovare qualcosa di simile ai piatti di oggi. Si tratta di qualcosa di più di un semplice cibo, è un vero e proprio fenomeno e, contemporaneamente, un approccio del tutto culturale alla cena con vino e, soprattutto a Istanbul, con il raki. Si tratta di ricette semplici che vengono presentate in piccoli piatti e permettono di passare il tempo attraverso piccoli bocconi. Le meze che vediamo oggi nelle meyhane di Istanbul [ristorante tradizionale turco che serve tipicamente vino, alcolici e meze, ndr] si sono evoluti nel corso dell’ultimo secolo insieme ai cambiamenti degli spazi pubblici, della vita notturna e della cultura culinaria».
Come tracce viventi dell’antico Impero ottomano che le hanno diffuse, le meze, per vicinanza di ingredienti e di ricette, si ritrovano in tutte le coste mediterranee. Concepite come antipasti e spezza fame, in Grecia si presentano con nomi lunghissimi e ogni variazione in termini di melanzane e ricchezza di carni. Mentre nei Balcani incontriamo sfoglie arrotolate e creme – anche l’humus – e in Libano e Siria le kibbeh (polpette di carne e bulgur).
Tutto può diventare meze: interiora e pesci, legumi e verdure. E costruire quell’esperienza che a Istanbul racconta di un’eredità antica e di una storia nuova, fatta di abitudini e ricette di casa. Il mangiare diventa atto collettivo, compagno nella bevuta e nella conversazione, e costruisce la condivisione. È in grado di articolare gli spazi a sua immagine, costellando le lunghe vetrine di pentole avvolte in carta trasparente e i menu, spesso solamente comunicati a voce, di parti dedicate. Parlare di meze è anche, dunque, parlare dei suoi riti e dei suoi luoghi. Il che significa parlare appunto delle meyhane, in cui la maniera è quella di una seconda casa in cui sequestrare il tempo. Tutto diventa relazione, assume una certa ritualità, per il formato ridotto che fa passare i piatti dall’uno all’altro, o a versare raki non appena evapora; costringe al contatto, anima le discussioni.
«La meyhane è il luogo per eccellenza delle meze e ha influenzato le esperienze culinarie non solo a Istanbul ma anche in molte altre città», ci dice Morgul. «Nei menu è spesso presente una sezione speciale dedicata che, nel tempo, si è ampliata e ha assunto un ruolo di primo piano. Quando si decide di andare in un ristorante le motivazioni possono essere molteplici: il cibo, il panorama, il servizio ma, anche, i proprietari o i camerieri. Tuttavia, il motivo originario di una meyhane è proprio conversare. Muhabbet, la parola araba da cui deriva questo termine, significa “amicizia, amore, cameratismo”, perché il paesaggio è la tavola e il servizio è affidato agli amici. Sebbene le meze siano stati spesso messe in ombra, una nuova ondata di meyhane e chef hanno rilanciato la loro importanza a Istanbul e, oggi, giocano da protagoniste».
Nelle interviste condotte dalla ricercatrice Janna Tamargo in A Narration of Authenticity – Meyhane, Istanbul’s Third Place, meyhane e meze rappresentano uno spazio in cui «socializzare, comunicare e rilassarsi, che potrebbero essere le caratteristiche dell’autentico di Istanbul», scrive Tamargo. «Ed è un tema che in tutte le interviste viene presentato in riferimento alla parola “conversare” da parte dei proprietari almeno una volta».
«La meyhane», prosegue Tamargo, «è molto più di un luogo in cui semplicemente socializzare, secondo i proprietari intervistati. I proprietari hanno ritenuto collettivamente che l’autentica meyhane offra uno spazio sicuro in cui essere accettati su un terreno neutrale, offrendo allo stesso tempo un ambiente caldo e familiare, accogliente e inclusivo. Questo tipo di spazio sicuro fornisce ai turchi uno sbocco per discutere argomenti che, normalmente, sono considerati off-limits a causa delle ideologie politiche e religiose in vigore in Turchia».
Le meze si rimodulano costantemente proprio come Istanbul, diventano vorticosi banchetti da Ficcin, direttamente sulla strada, o lunghissime riflessioni davanti alle postazioni fredde e calde di Çiya Sofrası a Kadıköy. Assumono forme rivisitate nella meyhane contemporanea di Alaf2Tek e nei luoghi, nuovi, della città che guardano sia indietro che dentro le proprie case per restituire quel clima di sicurezza e inclusione che sottolinea Tamargo. Diventano laboratori di cucina e di socialità in cui fare politica e, contemporaneamente, godere di una modalità differente nell’approcciarsi a un pasto e che tanto racconta della concezione turca della tavola, la tavolata in cui famiglie e amici coltivano rapporti profondi.
E così accade tra me, Serra, Ilgaz e Zeynep. Nella meyahane di Balat in cui ci troviamo, dai mobili e le piastrelle antiche, con foto di banchetti passati, celebrità e immagini di padre Atatürk appese alle pareti, il tempo viene rapito. Passano le ore, le meze cambiano aspetto, altre ne arrivano, noi andiamo dritti, il primo raki si svuota, ne arriva uno nuovo più piccolo e, poi, il çay, il tè che conclude questo atto di amicizia e condivisione prima di salutarci. Ma così, dopo aver fatto a meze insieme, forse salutarsi è pure impossibile.