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Cara cicca, non sei più cool

Chiamatela come volete: chewing gum, cingomma, “Big Babol”. La morale della favola è che abbiamo smesso di masticare per hobby, forse perché non siamo più ribelli

Foto: Graphic House / Staff via Getty

È sparita dalle bocche, dalle tasche, dai vani delle automobili. Dai lampioni, dai marciapiedi e forse, chissà, pure da sotto i banchi di scuola. Si vocifera che sarà presto ospite a Chi l’ha visto per provare a decrittare il mistero. Stiamo parlando di lei, l’onnipresente rosa degli Anni Ottanta, Novanta e primi Duemila: cicca, cingomma, chewing gum, “Brooklyn” o “Big Babol”, appropriandosi del nome di una marca. Spauracchio dei dentisti se troppo zuccherina, dispositivo di corteggiamento se di quelle che si espandono e si può fare a gara a chi la gonfia di più. Simbolo di ribellione divertita contro le norme dei bravi ragazzi, che impongono di tenere la bocca sempre ben chiusa e condannano lo smascellamento “per nulla educato, o femminile”. Oggi, oggetto da antiquari per capire la cultura di un mondo che non c’è più.

Già: perché masticare la gomma non va più di moda, non fa più adolescenti arrabbiati, non è più cool. Con buona pace di Danny, Sandy, Rizzo, Frenchy e tutti gli altri belli & impossibili che Grease ha consegnato alla storia – e che, sembrerebbe, abbiano consumato 100 mila chewing gum durante la produzione del film. L’ha notato l’Atlantic in un pezzo di Michael Waters, che ci ricorda come, nel secolo scorso, la masticazione permanente avesse un che di sexy e voluttuoso, contribuendo ad aumentare la carica erotica di altre opere da schermo come On the Waterfront (con Marlon Brando) e Pretty Woman (Julia Roberts, ovviamente), o a rendere cult istantaneo The Breakfast Club.

Secolo nuovo, invece, musica nuova. Soprattutto per le orecchie dei produttori di gomma, che, dal 2009 al 2015 (dati Nord America), hanno visto diminuire le loro vendite di cicche del 4,7% all’anno (cita sempre l’Atlantic). Secondo Euromonitor (dati riportati da Il Post), tra il 2010 e il 2018 il volume delle vendite sarebbe calato del 4% a livello mondiale. L’Economist, invece, sottolinea come il calo più drastico si sia visto tra il 2019 e il 2020: -14% nelle vendite mondiali di cicche. Un bel colpo per un’industria che, al 2009, valeva 19 miliardi di dollari.

Altri segni da tardo impero includono la chiusura, nel 2016, dello stabilimento produttivo di Toronto di Wrigley, colosso della gomma statunitense; e l’acquisizione, giusto l’anno scorso, di parte del business della gomma dell’altresì colosso dolciario Mondelēz da parte del Gruppo Perfetti Van Melle (dietro a brand come Big Babol, Brooklyn, Mentos, Chupa Chups e Alpenliebe). Ma, come se non bastasse: com’è possibile che in quella pink bomb di Barbie non si sia vista soffiare una gomma pastellosa nemmeno una volta?

Per capire come siamo arrivati fin qui, con la gomma sedotta e abbandonata, buttiamo lo sguardo indietro. E ritorniamo dove tutto ha avuto inizio: un po’ nell’antica Grecia, un po’ nelle età storiche pre-ruota, ma anche nel Messico delle invasioni coloniali. Perché che fosse corteccia, foglia di coca o resine speciali prodotte dall’albero della gomma, masticare senza nutrirci ci è sempre piaciuto. A cambiare i giochi fu un nome: Generale Antonio López de Santa Anna, esule negli Stati Uniti dopo aver combinato qualche guaio militare nelle battaglie che portarono all’indipendenza del Messico. In mezzo ci finì proprio lei: la gomma da masticare.

Se uno psicologo da TikTok dovesse analizzare in trenta secondi la personalità di Santa Anna, ne tirerebbe fuori una collocazione ambigua nello spettro del narcisismo patologico. Nato nel 1794 in Messico, parteggiò fino all’ultimo per gli spagnoli per poi convertirsi alla causa dell’indipendenza. Goloso di potere e attenzione, divenne l’ottavo presidente del paese stabilendo la solita dittatura populista a cui gli ex-militari della Storia ci hanno abituato. Quando gli fu amputata una gamba, ne onorò la dipartita in un funerale con tanto di sepoltura. Sua è, inoltre, la responsabilità per l’appartenenza agli Stati Uniti, e non al Messico, dell’attuale Texas, che perse in battaglia.

Ma Santa Anna aveva anche un altro dente dolce: quello per il chicle, la linfa dalla consistenza di cera della sapodilla, albero altresì conosciuto come Manilkara zapota. Seguendo le antiche tradizioni Maya, il chicle era regolarmente estratto dalla sapodilla e trasformato in gomma dagli abitanti del Messico. Incolore e insapore, ma adatto a essere masticato, il chicle era un vezzo nazionale. Un modo per alleviare lo stress e favorire la digestione attraverso la copiosa produzione di saliva.

In esilio a New York – o meglio: a Staten Island, che a metà Ottocento era una colonia di agricoltori e pescatori – dopo avvicendamenti politici che portarono alla sua destituzione in patria, Santa Anna si imbarcò in una nuova impresa: sostituire la gomma industriale degli Stati Uniti (quella usata per le ruote dei carri) con il chicle. Contattò così Thomas Adams, commerciante e inventore locale, chiedendogli di lavorare alla sua idea. Non funzionò, e Santa Anna morì in povertà. Per Adams, invece, fu una svolta inaspettata. Infatti, come spiega Jennifer P. Mathews in Chicle. The Chewing Gum of the Americas, From the Ancient Maya to William Wrigley, il chicle poteva essere un sostituto naturale, e formidabile, per le gomme da masticare già in circolazione all’epoca, fatte di paraffina e, spesso, piene di impurità chimiche. Nacque così la prima fabbrica di gomma da masticare “moderna”, disponibile al gusto TuttiFrutti e acquistabile a prezzi popolari in alcuni dei primi distributori automatici della storia.

Il boom del chicle e della gomma naturale, però, durò poco. Giusto il tempo di far sorgere la plastic craze di metà Novecento e ritornare a chewing gum fatte con gomma sintetica, anche se decisamente meglio della paraffina impura. Da lì in poi furono affari dell’industria, che inglobò la produzione di cicche (ora sapete anche da dove deriva il nome, da chicle) nella filiera dolciaria e cominciò a sperimentare con colori e sapori nuovi (prediligendo il rosa semplicemente perché… unico colore disponibile al momento dei test). Ma fu con la Seconda Guerra Mondiale e l’istituzione delle Razioni K – le schisce del soldato al fronte, formulate nel 1941 dal fisiologo Ancel Keys, da cui la “K” – che le cicche cominciarono la loro avventura intercontinentale, finendo incluse nei must-have degli americani e da lì nel Vecchio Continente, come spesso succede per molti cibi e piatti de noantri, carbonara compresa.

Stacco al 2023, e la discesa in picchiata delle vendite di gomme rischia di farci perdere un pezzo significativo di cultura, sia antica che recente. Ma come mai, allora, non mastichiamo più, dopo tutta questa fatica, dopo che abbiamo detto che smascellare è abitudine ancestrale, da proteggere come si conservano il garum, la pizza margherita, e tutto ciò che è buono e santo in cucina? È davvero solo “passato di moda”?

Potrebbe esserci qualche altra spiegazione. La prima scaccia il chiodo appendendone un altro: tutta colpa degli smartphone, perché ora, in fila alla cassa del supermercato – dove le gomme sono tradizionalmente posizionate per “venirci in mente all’ultimo” ed essere gettate nel carrello senza troppi pensieri – non abbiamo più bisogno di acquisti compulsivi per distrarci. A questo ci pensa lo scroll del cellulari, che ci farebbe dunque dimenticare le povere cicche. Lato shopping troviamo poi altre motivazioni, come l’ascesa degli acquisti online (comprereste mai le cicche sulle app?) e nuovi prodotti per rinfrescarsi l’alito tra una spazzolata e l’altra, per esempio le mentine, vintage, deliziose e mai di troppo.

Una seconda spiegazione potrebbe trovarsi nell’onda lunga del Covid e delle restrizioni pandemiche: d’altronde, che senso ha sprecarsi nell’esibizione di mille bolle rosa quando si è costretti a portare una mascherina? O tenersi una scatola di cicche alla menta in macchina per limoni-lampo sotto casa, se si ha persino paura ad avvicinare uno sconosciuto?

Terza spiegazione: le gomme da masticare industriali e sintetiche non sono esattamente sostenibili. E, con Millennial e GenZ sempre più interessati a fare scelte consapevoli dal punto di vista ambientale e del benessere individuale, non c’è da stupirsi se le gomme sintetiche sono state abbandonate senza tante cerimonie – che poi, se ci si pensa, il tanto dibattuto aspartame era ed è un classico nelle cicche industriali. Qualcuno che è ripartito da questa evidenza c’è. Sono brand giovani, che ripropongono le gomme di chicle in un ritorno alla natura da manuale, snellissimo e con pochi ingredienti: Nuud Gum, per esempio, ma anche Simply Gum o True Gum. Ma anche i brand più storici si stanno riorganizzando, utilizzando la base che hanno già – un guscio di gomma – come veicolo per THC e altre sostanze funzionali. Vedremo se sarà una strizzata d’occhio sufficiente a far impennare di nuovo i dati di vendita.

Ultima ragione, ma non per importanza: sì, le cicche sono, semplicemente, passate di moda. Per capire come mai possiamo appoggiarci a un altro articolo dell’Atlantic, che dà la nozione definitiva di “coolness”: «il cool è la trasgressione controllata di aspettative maligne». In altre parole: una cosa “contro”, potenzialmente pericolosa, che non diventa davvero nociva e “cambia tutto per non cambiare niente”. Una sfida lanciata ai benpensanti. La gomma lo era sicuramente durante la rivoluzione dei costumi del secolo scorso. E oggi? In che cosa si è trasformato, il masticare gomma? Che cosa parla di ribellione attraverso il cibo?

Ancora una volta, TikTok ci mette lo zampino: ultimamente, le indignazioni durano dal mezzo minuto ai sessanta secondi, tempo di far crescere i numeri di un certo hashtag e passare alla prossima cosa inaudita. L’ultima è stata quella attorno alla Girl Dinner, aka ragazze spesso Under30 che rilasciano le pressioni del cucinare la cena perfetta, tutte le sere, per il partner (maschio), preparandosi un piatto freddo di sottaceti, formaggi, pane e salumi. Indulgendo nel piacere di mangiare solo quello che va, con un bicchiere di vino, fregandosene delle calorie. Minimo sforzo, massima resa. Come gira nei commenti su TikTok, la Girl Dinner è «no preparation, just vibes». Per i meme, affidarsi come sempre solo a @thesnaxshot.

Forse, insomma, ogni epoca attrae le rivoluzioni del costume alimentare che merita. Forse toccherà a noi metterci a fare i banditi gastronomici con laboratori per costruire, molecola dopo molecola, un po’ di carne sintetica. O appuntarci Ribelli delle Conserve e mettere sott’aceto, sotto spirito, in marmellata qualsiasi cosa che ci passi tra le dita. Magari ci accorgeremo semplicemente che ci manca il chicle. E torneremo, fedeli di papilla, alla cingomma che abbiamo tanto amato.

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