Lui è uno dei più grandi cuochi a livello internazionale, premiato con cinque stelle Michelin. È un imprenditore e un personaggio televisivo – l’abbiamo conosciuto nelle vesti di spietato giudice a MasterChef, e rincontrato come bonario padrone di casa a Dinner Club.
Lei vive un’adolescenza da veejay internazionale durante l’età dell’oro di MTV, poi scrive e conduce diversi programmi di culto come Very Victoria, Victor Victoria e Quelli che il calcio. Ha finto di essere la figlia illegittima di Vasco Rossi per Le iene, si è fatta massaggiare i piedi a Sanremo da John Travolta, ha vinto Pechino Express ed è la massima autorità in fatto di Viaggi pazzeschi.
Uno è Carlo Cracco, l’altra Victoria Cabello. Diversissimi, ma legati da un’amicizia storica, di quelle in cui ti scambi le ricette dopo cena. I loro ingredienti: determinazione, ottimismo, incoscienza, follia.
Alfredo li ha fatti (r)incontrare nel flagship restaurant di Carlo a 20 centimetri dal Duomo di Milano, per una para-intervista sopra le righe. Il risultato potete leggerlo qui o, se siete di quelli che ordinano il menu a mano libera, godervelo in video.
Buon appetito.
Victoria Cabello: Buongiorno a tutti! Se oggi mi vedete qui, si può dire, è colpa d’Alfredo. Loro non lo sanno, ma scegliendo me mettono il nostro ospite a rischio: ogni volta che impugno una padella, uno chef stellato muore. Ma non perdiamoci in sottigliezze e diamo il benvenuto alla vittima di oggi, il povero Carlo Cracco…
Carlo Cracco: Magari fossi la tua vittima solo da oggi.
V.C. È vero, noi ci conosciamo da tantissimi anni. Ti approcciai per una rubrica orrendamente divertente di Victor Victoria, Fame chimica. Avevo chiesto a te e a qualche collega illustre di suggerirmi delle ricette per contrastare l’appetito da fine serata. E avete preparato tutti ricette disgustose.
C.C. Disgustose ma reali, perché noi siamo disgustosi. Non noi chef, noi in chimica. Io avevo fatto qualcosa con il gorgonzola… non ricordo.
Molto peggio: guardate l’episodio di Fame chimica con Carlo Cracco qui sopra.
V.C. Io mi ricordo i tuoi capelli alla Red Canzian. Non eri fico come adesso.
C.C. Mi tengo bene perché mangio bene.
Dopo le schimicate, Carlo e Victoria si ritrovano sugli schermi, a distanza: MasterChef arriva in Italia, e Cracco prende la parte del “giudice più cattivo di sempre”.
C.C. Io non sono cattivo, per nulla. È che se tu monti i frame in cui uno ha un attimo di giramento, ovvio che sembra cattivo. Il mio era semplicemente un ruolo.
V.C. Però ti è toccato quello dello stronzo.
C.C. Qualcuno deve pur farlo.
V.C. Poi c’è stata una conversione con Dinner Club: padrone di casa affabile, buono…
C.C. Be’, sono programmi diversi. MasterChef è comunque una gara.
V.C. Devo fare una confessione: non ho mai guardato una puntata intera di MasterChef, mi recuperavo i pezzi su YouTube il giorno dopo. Dinner Club invece l’ho seguito e adorato.
C.C. Però MasterChef ha fatto la storia. All’inizio tutti dicevano “non è per l’Italia, non ci guarderà nessuno”, perché come sai dalle nostre parti c’è sempre quella presunzione di saperla più lunga… Invece è stato uno “scatto”, ha reso le persone più consapevoli. Il pubblico l’ha amato: prima non esisteva una trasmissione in cui ti trattavano male o ti facevano piangere.
V.C. E tu, naturalmente, facevi piangere più degli altri. Se ti dicessi “questa cipolla fa schifoooo”, con lancio di padella?
C.C. Non ce l’avevo con il concorrente, ma con il fatto di bistrattare una cipolla. A proposito: lo sai che con la cipolla si fa anche il caffè?
V.C. Ma continuiamo… È vero che da piccolo volevi farti prete?
C.C. C’è stato un momento. E poi…
V.C. È arrivata la vocazione della cucina?
C.C. No, quella del cazzeggio. E dire che ero diventato il capo dei chierichetti, sapevo tutti i posti dove il parroco nascondeva il vino.
V.C. Non mi stupisce. Ma Don Cracco quale vino abbinerebbe all’ostia?
C.C. I preti vanno sempre sull’ossidato. Non so se per mancanza di palato o per mancanza di cura, strano, non è da loro. Io ci metterei un Grignolino: piemontese rosso, leggero, profumato, scivola, non è troppo alcolico. Secondo me ci sta da dio. Oppure, se vogliamo spostarci in Veneto, un bel Raboso.
V.C. Quindi avresti sicuramente scelto tu il vino invece di bere quello che trovavi lì?
C.C. Ma ovvio, figurati! Io avrei anche migliorato le particole (ostie, ndr), si attaccano al palato, hanno troppo amido. Le avrei fatte con un velo di olio oppure una vaselina, qualcosa per renderle più piacevoli.
V.C. Ma anche se non sei un prete puoi sempre farle, no?
C.C. Eh, ma lo sai: da noi quando tocchi una ricetta ti becchi subito l’inferno.
V.C. Un posto che tu hai frequentato, dico bene?
C.C. Molte volte, andata e ritorno.
Solo che ci sono molti tipi d’inferno. Alcuni si collocano proprio nelle cucine.
V.C. Locatelli ha dichiarato, per di più ad Alfredo, che nel mondo della ristorazione italiana non si fa squadra. Mi pare che voglia dire: rosichiamo per il successo degli altri e gioiamo dell’insuccesso. Concordi?
C.C. Certo. Però sai, questa è un po’ la nostra natura: se ci impegniamo vinciamo, ma se non ci applichiamo arriviamo ultimi o addirittura non partecipiamo nemmeno.
V.C. Credi che ci sia più solidarietà all’estero?
C.C. No, credo siano solo più sgamati.
V.C. Ti piace fare televisione?
C.C. Sì.
V.C. Tutto? Anche i tempi morti, i postacci orrendi dove ti portano a mangiare…
C.C. Eh?! Mai andato in postacci orrendi, i cestini non entravano nemmeno in camerino.
V.C. E allora che mangiavi?
C.C. Niente. Digiuno. Che problema c’è? Salti.
V.C. Io sono una grande fan del digiuno terapeutico.
C.C. Al massimo bevi un po’ d’acqua, un caffè.
V.C. Il caffè è un rito. Io la mattina ho solo un mezzo neurone che gira a vuoto, senza caffè non partirebbe manco quello.
C.C. Il caffè è una cosa seria. Per te rappresenta l’inizio, ma è anche la chiusura, per esempio del pasto. Quindi dev’essere perfetto. Perché se fai un caffè bene e lo servi bene, il cliente avrà un buon ricordo. In caso contrario, una volta uscito dal ristorante dirà “Caspita, ho mangiato benissimo, ho bevuto ottimamente, peccato per quel caffè che mi ha lasciato un cattivo sapore”. Se lo ricorderà per almeno due mesi.
V.C. Infatti scelgo molto attentamente i posti dove andare a bere il caffè. Tu peraltro non sei mica un brand ambassador del caffè?
C.C. Io sono Lavazza, il migliore.
V.C. “Più lo mandi giù e più ti tira su“, come recitava Nino Manfredi. E invece tu sei riuscito a sostituire pure lui. Senti, tornando al cibo: c’è un piatto sul quale scommettevi e che invece non è stato compreso, o apprezzato abbastanza?
C.C. Il piccione.
V.C. Ma è vero che per conquistare tua moglie la prima volta le hai fatto il piccione?
C.C. Non solo. Tutti i miei figli sono stati svezzati a piccione.
V.C. ’Sta roba è oro per TikTok. Ma perché?
C.C. E questo si era capito. Perché è una carne che adoro, mi piace.
V.C. E come l’hai cucinato?
C.C. A mia moglie l’ho fatto arrosto, ma anche bollito è buonissimo.
V.C. Per carità, non farmi mai assaggiare il piccione. Già ci hai provato con il rognone.
C.C. Guarda che se mi ci metto ti faccio assaggiare anche il piccione. Ricordati che ho delle abilità per cui ti faccio passare il piccione per quello che vuoi e tu mi dirai: “Buonissimo!”.
V.C. Vedi che allora la stronzaggine non era per MasterChef.
C.C. Abbiamo delle barriere mentali, non fisiche, che ci impediscono di mangiare alcune cose. Basta toglierle e mangi tutto.
V.C. Parlando di barriere mentali: c’è un piatto che ti chiedono costantemente e che cucini da sempre, ma che ti ha rotto le palle?
C.C. Il risotto? Non lo so, lo cucino da sempre ma continua a piacermi. Proprio ieri sera ne ho fatti quasi 750 piatti ed ero felicissimo, li ho mantecati tutti io. Avevo un paio di ragazzi che mi aiutavano, ma per averli tutti simili li ho mantecati io. Sai che cosa vuol dire mantecare?
V.C. È quando butti il burro e giri?
C.C. Burro, formaggio, olio…
V.C. È vero che il burro dev’essere ghiacciato?
C.C. È una cazzata, basta che sia freddo.
V.C. A me il risotto viene bene con il Bimby.
Cracco la guarda male per un secondo, poi si alza e fa per andarsene.
V.C. Aspetta Carlo! È l’unica cosa che faccio con il Bimby, a parte le maschere facciali. Torna qui, dài…
Cracco si risiede.
C.C. Comunque il risotto è bello da fare, rilassante.
V.C. Tornando alla vecchia Fame chimica…
C.C. Cambierei subito la ricetta: via la panna spray, via i cracker macerati in borsetta, dentro il gorgonzola, solo quello. Sta in frigo, si conserva, scende giù bene. Devi solo berci dietro un po’ d’acqua.
V.C. Sì, magari dormire, come quando mangi l’aglio.
C.C. L’aglio è la cosa più buona che c’è, se lo sai trattare. Altrimenti diventa un po’ antisociale.
V.C. Rubrica consigli: il piatto per chi è appena stato mollato dal fidanzato o dalla fidanzata.
C.C. L’insalata russa.
V.C. Magari caramellata (ricetta di Cracco, ndr), come quella che ti scroccherò a breve. E invece per qualcuno che è appena tornato dal commercialista ed è depresso?
C.C. Un bel bicchiere di vino.
V.C. Ci attacchiamo alla bottiglia. Quale?
C.C. Va bene qualsiasi cosa.
V.C. Anche quelli nel cartone?
C.C. Oddio, no. Ecco, vedi qual è il tuo problema? Arrivi sempre al limite, devi sempre rasentare lo squallore… vabbè, diciamo Lambrusco, bello allegro, asprino, sincero.
V.C. Pensavo, e non c’entra niente con il Lambrusco, ma con i commercialisti sì: quando entri da cliente in un ristorante gli chef preferirebbero probabilmente una verifica fiscale che averti al tavolo. Con te è subito pressure test.
C.C. Ma no, anzi, dovrebbero essere contenti che uno noto sia arrivato lì, così possono dare il meglio. Se qui nel mio ristorante mi viene…
V.C. Victoria Cabello?
C.C. No, pensavo a qualcuno più in alto. Claudia Schiffer? Linda Evangelista?
V.C. Alzo le mani. Ma ascolta, arrivano e tu sei felice di cucinare per loro, va bene. Ma queste hanno mangiato quattro foglie di insalata per tutta la vita, che cosa ne sanno?
C.C. Brava! Cosa ne sanno. Se tu sei bravo e la giochi bene, lei la mangia, si scioglie e dice “ma chi è questo?”. E tu a quel punto lieviti come un panettone.
V.C. Sei pazzo. Comunque mi ricordo di un aneddoto in cui tu entri in un ristorante per mangiare e il giovane chef va così in crisi che si mette a piangere. E tu devi andare in cucina e fare da mangiare a tutti, compreso te stesso. Lo rassicuri pure. È il suo primo giorno di lavoro e arrivi tu!
C.C. Ahhh sì… Comunque quando sei in cucina devi dare il meglio, devi fare bene, a prescindere da chi ci sia in sala. Poi si può essere colpiti da una persona in particolare, però l’obiettivo è fare bene sempre. La preoccupazione e l’ansia devono essere uno stimolo per lavorare meglio e superare i limiti.
V.C. Ti chiedo un’ultima cosa: ti hanno mai chiesto di disegnare un tuo formato di pasta?
C.C. No.
V.C. Ti piacerebbe?
C.C. No.
V.C. Ti rifaccio la domanda e tu rispondi: sì. Ti piacerebbe?
C.C. Sì!
V.C. Ok! E meno male, perché grazie ai potenti mezzi di Alfredo abbiamo della plastilina per permetterti di creare il tuo formato. Sai che negli Anni ’80 il designer Giorgetto Giugiaro inventò il suo formato di pasta, le Marille? Solo che, per via di un difetto strutturale, le Marille si sfaldavano ai lati e rimanevano praticamente crude al centro.
C.C. Certo, conosco la storia. Fare una pasta è difficilissimo. Senza contare che per quanto tu possa inventare qualcosa di speciale, poi ti devi confrontare con lo spaghetto. Lo spaghetto, cazzo, quello avrei voluto inventare!
Victoria osserva il risultato del Premiato Pastificio Cracco.
V.C. Ma che hai fatto? Un’orecchietta? Ma così ero capace anche io!
C.C. Allora tiè, prova.
Victoria riesce a fare un’orecchietta. Sarà assunta al Premiato Pastificio?
C.C. Brava! Vedi che sai fare qualcosa anche tu? Quando sei giù…
V.C. Vengo qui a fare le orecchiette?
C.C. No, stai a casa, fai un po’ di orecchiette e me le fai vedere.
V.C. Voglio vedere il tuo formato: i Cracchi, la Craccona, il Crack… no, crack è meglio di no. Come la chiamiamo?
C.C. I due di picche!
V.C. Ecco, questa potrebbe essere tranquillamente la mia pasta.
Cracco modella un rudimentale, ma Premiato, due di picche.
C.C. Eccolo qua, ovviamente sarebbe da fare vuota all’interno… ci devo riflettere. Facciamo che chiamo Giugiaro e gli chiedo se va bene.
The Blender è il nuovo digital magazine di Lavazza dedicato alla cultura del caffè, dove si parla di belle storie da leggere o raccontare al bar. Ad esempio, quella del rituale del caffè da Cracco Portofino. Scoprila qui.
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PHOTOGRAPHER: Marco P. Valli
AUTORE: Alessandro Mannucci
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CARLO CRACCO PERSONAL STYLIST: Emanuela Suma
STYLING ASSISTANT: Cecilia Fernandez
CARLO CRACCO MUA & HAIR STYLIST: Carmen Di Cianno
VICTORIA CABELLO MUA & HAIR STYLIST: Sofia Martini per Glitter Make Up
PHOTOGRAPHER ASSISTANT: Andrea Nicotra
VIDEO OPERATOR: Lorenzo Bailo
BOOMER: Alessio Sartori
GRAZIE A: Trattoria SANTORO ARCANGELO – Buccinasco (MI)
Per la gentile partecipazione e interpretazione: Arcangelo Santoro, Ennio Muzzio, Luca Muzzio, Franco Giovanni, Silvia Tamara Anselmi, Bisram Colowtee, Lungv Andneea, Claudio Bianchini, Pernita Dabeedyal, Demetrio Pintabona, Natale Mai, Gero Arioli
CARLO CRACCO OUTFIT
OUTFIT 1: T – shirt: Girelli Bruni; Gilet: Fedeli 1934; Pants, shoes, shirt: Moorer
OUTFIT 2: Giacca e gilet: Manuel Ritz; Pants & Shoes: Moorer; T-shirt: Fedeli 1934
OUTFIT 3: T – shirt: Girelli Bruni; Dolcevita: Paoloni; Pants & Jacket: Moorer; Shoes: Woolrich