Who you gonna call quando hai bisogno di un consiglio, il mondo ti cade sulla testa, e servirebbe proprio qualcuno di più saggio di te? Forse la mamma o la migliore amica, ok, ma potresti anche decidere di rivolgerti a una pianta. Non con parole silvane, à la D’Annunzio. Nessun metamorfosi è in atto.
«Le piante però contengono saggezza, hanno i nostri stessi problemi e, come noi, si devono adoperare per trovare delle soluzioni. Inoltre lo fanno da molto più tempo di noi, quindi io non esiterei a chiedere aiuto a una di loro, se sapessimo decrittare con più precisione le loro conoscenze».
Alessandra Viola è una divulgatrice scientifica, autrice per diverse testate giornalistiche e di diversi volumi attorno alla vita dei vegetali. Sta cercando di spiegarmi perché non è che dovremmo personificare le piante, ma dovremmo riconoscere loro la stessa dignità di esseri viventi che attribuiamo agli animali e, certo, agli esseri umani.
Io convincibile lo sono facilmente, per carità. Settimo cerchio dell’Inferno nella Divina Commedia di Dante, Canto tredicesimo, siamo nel girone dei suicidi e l’Alighieri, insieme al suo Virgilio, incontra il giurista capuano vissuto nel Duecento Pier Della Vigna. Il suo contrappasso è essere tramutato in albero. Ne spezza un ramo su invito della sua guida, e invece che linfa sgorga sangue. È un’iperbole, una metafora per la nostra tesi. Ma è anche vero che l’espressione “diritti delle piante”, nella poesia come nella vita reale, stona solo a un adulto.
«Un bambino di dieci anni», dice Viola, con la sua conoscenza magico-istintiva del mondo «non ha bisogno di convincersi che le piante soffrano. Ci pensa, vede qualcosa che si rompe, dice di sì». Anche senza recuperare poetiche di pascolani fanciullini, fare un passio indietro da ciò che la ragione crede di sapere sul tema è opportuno. E sempre per via di ragione (e di scienza) considerare il vegetale con occhi nuovi.
È l’esercizio che abbiamo fatto insieme a Viola, che il 20 settembre ha tenuto un talk a tema ad Happennino Festival dell’Entroterra, il cui obiettivo è valorizzare e portare idee e cultura nell’entroterra della provincia di Pesaro-Urbino, nella Marche. E che potremo continuare a fare questo novembre, grazie all’uscita del nuovo libro di Viola, Chiedi a una pianta (per Laterza).
“Diritti delle piante”: sembra la materia di un corso di laurea per stregoni.
Infatti l’ho inventata io, praticamente. Ho un dottorato di ricerca e ho lavorato con Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, a Firenze, avvicinandomi al mondo delle piante. Ero già una comunicatrice scientifica ma non mi occupavo strettamente del regno vegetale. È andata a finire che abbiamo scritto a quattro mani il mio primo libro, Verde brillante, dove sostenevamo una teoria che per l’epoca era già avanti: che le piante siano intelligenti. Sono senzienti, imparano, comunicano tra di loro, sono in grado di prendere decisioni, memorizzano, … E dunque bisogna dire che le piante sono intelligenti anche se non hanno un cervello per come lo intendiamo noi.
Da lì ho cominciato a tenere le piante con me, nel senso che le avevo sempre in testa, ci rimuginavo. Le trattiamo come degli oggetti, come la carta da parati del mondo, nonostante siano appunto esseri senzienti che fanno cose straordinarie. La ricerca scientifica dice questo. Ma allora perché non abbiamo mai pensato che le piante potessero avere dei diritti? Nella storia non ne ha mai parlato nessuno. Dei diritti dell’uomo si parla naturalmente da temo, dei diritti degli animali circa dagli anni Settanta. Allora io che son secchiona ho preso l’argomento di petto: per quale motivo non abbiamo mai considerato i diritti delle piante? Che poi diventava una domanda che si allargava in questo senso: chi ha stabilito, e quando, e perché, quale sia la linea dove i diritti iniziano e finiscono? Chi è che dice quali diritti possa avere chi?
C’è una risposta?
Il risultato è stato: non c’è un vero motivo. Se non il millenario pregiudizio che ci portiamo dietro nei confronti delle piante. In sostanza ci sembrano meno vive, meno animate degli altri viventi. Non riusciamo a convincerci che siano intelligenti, e dunque ci sembrano meno importanti. Sappiamo come non sia vero, siamo consci dell’importanza delle piante per la vita sulla Terra. E ogni giorno scopriamo cose nuove e incredibili sul loro conto. Allora unica motivazione è davvero il nostro dettato dei sensi, il nostro pregiudizio. Le piante ci sembrano immobili, e invece si muovono, ma impercettibilmente. Non riusciamo a vederlo e non ci crediamo.
Che cosa comporta questo dal “punto di vista” dei vegetali?
Una volta che mi sono convinta che le piante dovessero avere diritti, sono andata a studiare gli altri, per esempio i diritti dei bambini, e così via. Ho trovato che sono sempre stati concessi in ottica riparativa, a danno fatto. Basti pensare alla Seconda Guerra Mondiale, a seguito della quale sono stati sanciti i diritti dell’uomo. Pensa te quanti danni dobbiamo alle piante, che bistrattiamo continuamente. Nel campo vegetale abbiamo fatto migliaia e migliaia di morti. Allora mi sono chiesta come fare per attivare un dibattito in questo senso, e sono partita dalle lotte degli animalisti. Loro hanno portato avanti la causa facendo leva sul dolore: guarda come sono trattati questi animali, guarda come soffrono. Solo che le piante non piangono, non si lamentano, e non sembrano soffrire. Dico non sembrano perché la ricerca scientifica non sa se le piante provano dolore o no. Lo abbiamo semplicemente dato per scontato da sempre. Vuol dire per esempio non capitozzare gli alberi, non abbattere piante sane, non trattare le piante come delle proprietà.
Ok. Ma come si fa a capire se le piante sono intelligenti o no? Praticamente, come si svolge la tua ricerca?
Come si fa a capire se qualcuno soffre? Decolonizzando, innanzitutto, il nostro linguaggio, che legge il mondo solo dal nostro punto di vista. Prendiamo la luce, che si chiama luce visibile: noi vediamo certe lunghezze d’onda, altri animali ne vedono altre. Questa non è la luce, è la luce che vediamo noi. E il nostro modo di vedere e quindi vivere il mondo è diverso da quello degli altri animali, sia per colori che per numero di occhi, e così via. Però le piante, che non hanno occhi, per noi non vedono. In realtà sono fotosensibili, sono ricoperte di ricettori e si muovono a seconda della luce. Solo che non vediamo gli occhi e diciamo che non vedono. Questo è un limite del linguaggio, delle definizioni che ci diamo. Ma banalmente: nella sola scienza medica dell’essere umano sono state classificati 100 tipi di sofferenza diversi. C’è poi il fatto che la sofferenza è un meccanismo di sopravvivenza fondamentale: perché un essere vivente dovrebbe privarsene? Alcuni dicono che è perché le piante sono stanziali: che così, in altre parole, non soffrono quando un erbivoro le va a smangiucchiare. La realtà è che sempre la scienza ci dice che le piante possono emettere un flusso di ioni calcio attivato dal glutammato. Ciò avviene anche negli umani, ed è quello che chiamiamo dolore. Non sappiamo come la pianta reagisca a questo stimolo, ma di fatto c’è.
Quindi cos’è che sappiamo e non sappiamo noi, delle piante?
Sappiamo davvero davvero poco. Per qualche motivo, il regno animale ci ha sempre affascinato di più. Assurdo, considerando che ancora oggi la gran parte della medicina si basa su principi vegetali. E continuiamo a scoprire piante ogni giorno, anche di grandi dimensioni. Semplicemente non sapevamo esistesse. Figurati che sappiamo che le piante comunicano con noi e con gli animali, naturalmente nelle loro modalità. Stiamo cominciando a decifrarli, piano piano.
Qual è alla fine, secondo te, il pregiudizio-principe di tutti quelli che abbiamo sulle piante?
Vediamo le piante come risorse, come miniere da cui estrarre tutto ciò che ci occorre. Non pensiamo mai che quello che ci mettiamo nel piatto sia stato vivo, un giorno. Invece, letteralmente le piante respirano, come la frutta e la verdura. Continuano anche dopo essere state raccolte, ed è il motivo per cui al supermercato le imballano. È come stordirle, addormentarle, così che respirino più lentamente e “durino” di più.
Le piante subiscono lo stesso pregiudizio per cui, nella nostra scala di valori, un gatto è più importante di un topo?
Di sicuro abbiamo predilezione per le piante da produzione e quelle da compagnia. Odiamo le infestanti invece. Sì, abbiamo decisamente antipatie e simpatie nel mondo vegetale, anche a tavola. Basti guardare quanto prodotto vegetale sprechiamo, e quali sono i favoriti rispetto ad altri lasciati maggiormente perdere.
Da che cosa passa la road to diritti delle piante?
Bisogna parlarne e fare divulgazione, perché siamo partite da una mezza battuta che però è indicativa: dire diritti delle piante sembra davvero una cosa un po’ bislacca. E dobbiamo rileggere gli schemi con cui interpretiamo la realtà. Succede in tutte le epoche: crediamo che i valori di un periodo storico siano eterni, invece cambiano nel tempo e noi dobbiamo cambiare con loro. Poi dobbiamo stringere un’alleanza con le piante, proteggerle da noi. Ne abbiamo bisogno, ma soprattutto è l’unica strada corretta.