Fenomenologia di Franchino Er Criminale, che ha ucciso il food porn | Rolling Stone Italia
influencer anno zero

Fenomenologia di Franchino Er Criminale, che ha ucciso il food porn

Con mossa cristologica, Alessandro Bologna prende su di sé tutte le degustazioni del mondo (o de Roma), rovescia le logiche del food porn, e mostra che un diverso tipo di celebrità nel mondo del cibo è possibile. Il trucco? Essere, in fondo, un po' rosicone

Franchino Er Criminale

Franchino Er Criminale

«A ripija i fiori mija!»
«Ma uno è pure appassito Marì!»
«È questi so fiori che ’a mattina nascono e ‘a sera muoiono».
«E che i metti a fa’? Se voi che te dico che so’ belli te dico che so’ belli ma non so belli manco pe’ gnente è».

Se state pensando alle battute di una pellicola neorealista, in un certo senso non sbagliate. Lo scambio però si svolge nella Roma di oggi, ed è quello del video da 438.666 visualizzazioni presente sulla pagina YouTube di Franchino Er Criminale dal titolo Top tre PANINI. Per chi non lo conoscesse (qualcuno ancora c’è), Franchino Er Criminale è un noto creator romano che tratta tematiche legate al mondo del food interpretato da Alessandro Bologna, giovane sulla quarantina, ex-pugile, incensurato, cresciuto in una famiglia borghese con una mamma che gli faceva sentire musica classica – ha studiato e sa suonare il pianoforte – e un padre che gli faceva ascoltare ‘O surdato ‘nnammurato di Massimo Ranieri. Di lui si può dire che sia venuto su a pane e strada, pur sapendo coniugare bene i congiuntivi, come racconta, parlando di sé in terza persona, nel cortometraggio ‘A panatura der supplì – Storia di Franchino er Criminale di BLACKORANGE, disponibile anche questo su YouTube.

Tutta epos, certo, ma com’è che è nato Franchino Er Criminale? Sulla sua vita privata il Bologna racconta, sempre nel corto di cui sopra, di esser stato sposato e di aver provato a costruirsi una vita fuori dall’Italia (Svezia) il più possibile simile a quella della famiglia del Mulino Bianco. Dopo il divorzio e il rientro da Mamma Roma, a circa 35 anni il Franchino-to-be si rimette in gioco, riprendendo il suo lavoro da maestro di pugilato. Ed è qui che nasce, casualmente, Franchino Er Criminale, in un corso per tecnici di boxe dove incontra il pugile romano (ora noto YouTuber) Simone Cicalone, che lo coinvolge in un video dove il personaggio che Alessandro Bologna deve interpretare è, rullo di tamburi, proprio Er Criminale. È Cicalone ad appioppare all’amico la definizione di “influencer del food criminale”, aprendo una delle questioni più delicate e idiosincratiche del caso Franchino: è un influencer? Uno YouTuber? Uno streamer di Twitch? Un critico gastronomico per l’era digitale? Facciamo che forse le categorie possono coesistere tutte, purché non si confonda il personaggio del Bologna con chi sponsorizza a pagamento locali che non sono qualitativamente meritevoli, mandandoli spesso mainstream – i cosiddetti “foodpornari”, “marchettari”, “foodbloggari”, antagonisti per eccellenza di Franchino. Che non smette di lanciarsi in nuovi format, tra le sperimentazioni a tema “pacco da giù” e scavalcamenti di campo verso l’alta cucina.

 

E ora, passiamo alla fenomenologia, ossia a uno starter pack for dummies (o per non romani) su Franchino Er Criminale. Premessa doverosa, ché il succo sta tutto qui: spesso il nostro paladino può risultare, soprattutto per chi non è di Roma, un tantino ostico, leggasi “eccessivo nei giudizi e sicuramente troppo colorito nelle espressioni”. Queste caratteristiche, che a Roma si traducono con l’immortale rosicone, talvolta pesantone (per i francesi, caca**zzi, rompi**lle) e fumantino (quanno je rode te ce manna), non sono solo parte del personaggio di Franchino Er Criminale, ma – consolate co l’ajetto Franchì! – sono dotazione di base di chiunque la romanità ce l’abbia dentro. Detto in altri termini, qui semo tutti un po’ rosiconi, pesantoni e fumantini, solo Franchino non fa’ nulla per nasconderlo ma, anzi, ha reso queste ruvidità caratteriali una cifra stilistica personale che giustamente può piacere o infastidire.

 

 
 
 
 
 
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Tolto questo velo e superata una prima iniziale reticenza al personaggio però, i motivi per apprezzarlo, lungi da farne un’agiografia, ci sono e sono ben evidenti. Andando oltre la simpatia, potremmo citare la capacità di scovare veramente i posti che fanno bene le cose senza che siano per forza già noti o nei giri giusti, uno su tutti il Forno da Milvio a Monti, indirizzo con un pane e una pizza da sturbo in una via turisticissima praticamente vista Colosseo (Franchino lo va a provare nella puntata Forni Criminale RIONE MONTI e lo ha inserito anche nella sua guida). Oppure, ancora, le riflessioni sull’etica del lavoro, o l’attenzione per la formazione di personale qualificato negli esercizi, valore aggiunto di una qualsiasi attività commerciale.

Sincera ammirazione è rivolta anche per chi fornisce un servizio attento, cortese e spigliato, pur se si stanno comprando solo delle pizzette in un forno, o ancora per chi lavora tenendo in considerazione la tradizione gastronomica della Città Eterna. E poi, be’, di Franchino Er Criminale preferiamo l’amore sopra ogni altra cosa, conflittuale sì, ma mai veramente celato, verso la Città Eterna, sintesi di contraddizioni e complessità profonde, “barbara e cultura” come dice il Piotta. E il Bologna riesce, ed è riuscito a raccontarla senza filtri, girandola in lungo e in largo, da cima a fondo, come ‘na trottola, senza farsi mancare le chicce amarcord. Nella puntata sui forni a San Giovanni accenna al primo shop che vendeva birre artigianali in città, perché c’era chi (anche chi scrive) faceva un bel viaggetto per andare a berle proprio lì, in piedi o seduti su un gradino. O quando ancora, assaggiando le pizze al taglio a Primavalle, scopre grazie a Massimiliano Ceccarelli, competente accompagnatore nelle puntate a tema pizza, Gianni al Mattone, e non può non citare lo storico Zozzone di via del Governo Vecchio, fautore di una pizza al taglio ripiena impossibile da dimenticare.

Sempre sull’onda della romanità c’è poi l’elogio della ciabatta romana: «Sfoglie belle grandi, con lo zucchero attorno, ripiene di crema, marmellata o cioccolato» (si trova nel libro), che Franchino inserisce sempre nei suoi assaggi quando la trova disponibile. O ancora, passando sotto un albero di fichi in estate agogna «‘Na bella pizza bianca coi fichi», ricordando quanto a Roma certi cibi siano iconici e immortali ma obbligatoriamente anche semplici, da cui il detto «mica pizza e fichi» (la pizza bianca alla romana è un cibo semplice, e i fichi si potevano raccogliere direttamente dall’albero, mangiando così qualcosa di buono senza spendere molto).

 

 
 
 
 
 
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Se poi Franchino entra in un locale di giovedì, impossibile che non prenda gli gnocchi, perché è detto popolare nella Roma di una volta che «giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa». E poi, nel capitolo “Trattorie Criminali”, sottolinea: «Il sedano nella coda [alla vaccinara, ndr] è importante […] altro che crumble di pistacchio». E come dimenticare la venerazione per il supplì al telefono: «Simbolo di romanità» che richiede «tempo, accortezza e passione». Ma Franchino non è il romano ottuso che pure esiste: se scaviamo bene scopriamo anche che sa abbracciare le altre culture culinarie e le novità, a patto che siano fatte bene. E allora, incappando nella rosticceria di due signori argentini di zona Appio, si commuove fino al voto di sentimento: «Ci si può emozionare dentro una rosticceria? Che ve devo di’ regà, qui mi hanno davvero emozionato». Prova anche quella cosa lì, la moda degli smash burger, e non si fa mancare la cucina vegana, che apprezza nella puntata “Cosa mangia BICOCCA”.

Ma veniamo al linguaggio, perché, oltre ad aver creato veri e propri topoi della critica criminale del cibo, Alessandro Bologna arriva al grande pubblico, è popolare ma non diremmo propriamente populista, da bustina di vanillina, perché si esprime in un romano gergale che, se ben calibrato, ha un’efficacia comunicativa sorprendente. Avete presente il vignettista e scrittore romano Michele Rech, in arte Zerocalcare? Ecco. Se durante un video Franchino dice tipo «C’è n’po’ de mestiere» o «M’hai fatto er mestiere» il significato corrisponde, o dovrebbe corrispondere nella maggior parte dei casi, al significante «Hai usato le tue competenze professionali per truffarmi disponendo la materia prima con astuzia». Oppure quando commenta, prima o dopo l’assaggio, dicendo «De’ laboratorio» o «Laboratorissimo», sta a intendere che l’alimento o parte di esso non è artigianale ma prodotto in modo industriale.

Altra parola usata sempre con tono dispregiativo è invece “Carbocrema”, che non è solo un ingrediente per il Bologna, ma il massimo esempio di ciò che la cultura del foodporn ha prodotto, insieme alle colate di pistacchio. Ed eccolo qui, il foodporn, cibo in chiave voyeur, che per Franchino è cultura del cibo tossica e, anche, non-cucina: «Prendere un tot di ingredienti che non hanno alcun senso l’uno con l’altro e buttarli dentro alle cose». Chi non è d’accordo alzi la mano.

Espressioni come «Na bella faccia» e «Te se rigirano l’occhi» sono invece usate – da tutti i romani peraltro – per dire che una cosa o appare molto buona già alla vista (dalla faccia, appunto) o che, dopo l’assaggio, effettivamente è così buona che “ti si girano gli occhi all’indietro”, sic!. Una delle opposizioni che utilizza di più è «Costoso, ma non caro», distinguendo un prodotto che ha un prezzo congruo anche se alto da un prodotto ingiustificatamente dispendioso. Quando invece dice che qualcosa «È una hit!» vuole intendere che è talmente buona da dover essere prima in classifica. Quando dice «È una hit dentro una hit!» vuole dare un rafforzativo del concetto precedente. Poi, e qui concludiamo, Franchino sarà pure un giovane romano, ma l’italiano lo sa davvero, e se messo nelle condizioni di doverlo dimostrare può dirti così, senza colpo ferire, che ha locupletato il suo lessico. Non l’ha ampliato, l’ha locupletato.

Quindi, venendo ai voti, Franchino Er Criminale: 10. Un voto con un “paio di etti di sentimento”, perché, anche se è impossibile essere sempre-sempre d’accordo con lui, come non lasciarsi sedurre dalla citazione del mito della caverna di Platone per parlare di kebab (Me so’ magnato Roma)? E poi, obiettivamente, quanto je volemo dà a uno che se magna ‘na fettina panata in piedi a mozzichi e con le mani in mezzo a ‘na piazza de’ Trastevere durante la “Top 3 ROSTICCERIE”?! Eddaje sù.

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