Una folla brulicante si raduna di fronte a un negozio, sotto il sole cocente, con una condiscendenza indomabile, aspettando pazientemente per ore il proprio turno. Una ragazza si fa un selfie per documentare l’esperienza sin dall’inizio; un ragazzo, annoiato, gioca a Clash of Clan. All’inizio della coda c’è uno al telefono che sta comunicando a qualcun altro che è quasi arrivato il suo turno e di sbrigarsi ad arrivare. È uscito il nuovo iPhone? C’è un concerto dei BTS? No, si tratta dell’apertura di un negozio di tè. Siamo in Cina, dove la fila è molto più di una semplice attività di routine, è una manifestazione sociale, una moda da seguire e un inaspettato business.
Nella terra che sforna qualsiasi tipo tecnologia per qualsiasi cosa, c’è da chiedersi come una pratica comune come fare la fila si sia trasformata in un fenomeno culturale. La memoria collettiva dei cinesi ricorda ancora i tempi dell’economia pianificata, quando il rifornimento di cibo e altre necessità non poteva soddisfare le richieste della popolazione. Dai primi anni Cinquanta agli anni Ottanta, ovunque si vedevano code, dai negozi ai ristoranti: c’era la fila per il riso, per il sapone, persino quella per le scatole di fiammiferi. Le persone si abituavano a trascorrere ore in attesa per ottenere ciò di cui avevano bisogno, in un tempo lontano in cui la fila era sinonimo di sopravvivenza.
«Anche per comprare i fiammiferi dovevi fare la fila – ha raccontato il sessantatreenne Wang Zhongmin in un’intervista per il consolato cinese di Città del Capo – perché ogni cliente poteva comprarne solo dieci scatole alla volta. Non importava quanto denaro avessi, l’addetto al negozio non te ne vendeva di più, a meno che tu non facessi nuovamente la fila». Poi le cose sono cambiate, la Cina è cresciuta, si è aperta al mondo e ha abbracciato l’economia di mercato. E nonostante la scelta, i social e l’abbondanza siano diventati la nuova normalità, l’antica tradizione di fare la fila non ha mai abbandonato i cinesi. Semplicemente, sono cambiate le motivazioni dietro alla necessità di attendere. Negli anni la coda è diventata una sorta di sigillo di qualità, un timbro di approvazione sociale, trasformandosi in un elemento intrinseco della cultura locale: se così tante persone sono disposte ad aspettare, allora il luogo merita davvero una visita, per il pregio, per la possibilità di accaparrarsi il trend del momento e, soprattutto, per la vanità che ne deriva.
Secondo uno studio dell’agenzia di micro-influencer Viral Access, per i Millennial e la Generazione Z cinese fare la fila non è più considerato semplicemente parte del processo di consumo di un prodotto, bensì un’opportunità per partecipare ad attività sociali, per interagire con altre persone che condividono gli stessi gusti o hobby, per distinguersi come comunità di nicchia. Spesso sono gli stessi consumatori a identificarsi come esperti, fan fedeli, influencer o persone di tendenza, percezioni che derivano dal loro desiderio di stabilire uno status, creare interesse tra i pari e, soprattutto, essere riconosciuti. Quando finalmente ottengono i prodotti per cui hanno atteso a lungo, la maggior parte condivide la propria esperienza sui social, pubblicando foto della lunga fila e del trofeo finale e che hanno conquistato, nella speranza di ricevere più like.
L’entusiasmo generato dalla capacità di creare argomenti e aumentare le interazioni sociali hanno superato notevolmente la gioia di possedere i prodotti stessi. «La ragione dietro questa situazione non risiede nel prodotto in sé», spiega Liu Zhangxi, responsabile del dipartimento di Socioeconomia dell’Università di Finanza ed Economia di Shanghai. «Non è davvero importante se quello che acquisti ha un buon sapore o se te lo puoi o meno permettere. Quando lo menzioni in una conversazione con gli amici o sui social stai comunicando che hai comprato qualcosa di estremamente difficile da ottenere, qualcosa che gli altri non hanno avuto. Addirittura esiste un termine per definire questo fenomeno: wanghongdian (网红店), ossia un certo tipo di attività commerciale – solitamente un caffè o un ristorante – che è una “celebrità” su internet. I consumatori (principalmente donne) sono attratti dalle lunghe code infinite, oltre che dai cibi fotogenici».
Per comprendere appieno l’entusiasmo (e la follia) che circonda questa cultura dell’attesa, è indispensabile fare una tappa obbligata da Master Bao, catena che ha inaugurato a Pechino nel 2009. Poco meno di dieci anni dopo, nel 2017, questi “maestri del pane” sono sbarcati a Shanghai, ed è stato subito caos. «La fila inizia a formarsi già alle cinque del mattino – ha spiegato il manager del negozio Bao Caibin a The Straits Times – e dura fino a mezzanotte. Il negozio sta attualmente limitando ogni cliente all’acquisto massimo di due chili di pane». Ore e ore di coda per un panino condito con carne secca e radici di mare sminuzzati: «Mi sono dato malato al lavoro – ha raccontato il direttore di un hotel – solo per fare la fila e comprare questo panino per la mia ragazza, che lo desidera da settimane». Il binomio panetteria/coda può suonare familiare: proprio in questo periodo ha compiuto dieci anni Cronut di Dominique Ansel, quel mix tra un donut e un croissant che ha fatto impazzire New York, è stato studiato dalla Harvard Business School ed è diventato un NFT in edizione limitata (succederà anche al panino di Master Bao?).
Ma se le interminabili file per il Cronut rappresentavano un’eccezione in Occidente, in Cina le stesse sono la normalità. Basti pensare alla collaborazione tra Warner Bros e la pasticceria cinese Holiland, da cui è scaturita un’edizione speciale del libro The Monster Book of Monsters di Harry Potter corredata da un set di mooncake a tema, lanciata ad agosto del 2021. Quando la collezione è arrivata offline, nei negozi si sono contate ore e ore di file chilometriche, e ancora oggi c’è gente che spera nella lista d’attesa.
«Quella della fila è una delle rappresentazioni della “fan economy” in Cina – scrive sul Financial Review Angus Grigg – Le persone vogliono mostrare di essere al passo con le tendenze e di essere uniche. Se tutti i tuoi amici stanno parlando di un prodotto, allora ne sei incuriosito. Torneranno una seconda volta nello stesso posto? Non credo. Passeranno alla prossima novità». Oggi la fila in Cina ha subito un ennesimo cambiamento: dopo essersi trasformata da necessità a moda, è diventata business. In un Paese in cui tecnologia e pigrizia vanno a braccetto, ogni esigenza genera una app: in questo caso specifico una soluzione che permette di prenotare un sostituto che faccia la fila al nostro posto. Il concetto è geniale: pagando un certo importo orario, variabile in base al luogo e all’app utilizzata (si parte da circa due euro l’ora), un coraggioso “filaro” si mette in coda per noi. Circa venti minuti prima che sia il nostro turno, il “fila-attendant” ci telefona, permettendoci di arrivare comodamente al locale e di evitare di sprecare tempo prezioso.
Come in ogni medaglia, c’è anche un rovescio: un gesto così semplice, ma che influenza le scelte dei consumatori, ha creato e alimentato una vera e propria industria delle file fasulle. Numerosi proprietari di ristoranti, caffetterie e pasticcerie, appena aprono le porte dei propri locali affittano le file. Su Taobao, la celebre piattaforma di e-commerce cinese, o tramite contatti su WeChat (il servizio di messagistica istantanea locale), è possibile affittare persone che fanno finta di stare in coda, selezionando l’età, il sesso, il lavoro e la durata della permanenza. Pagando un compenso, questi individui si spacciano per clienti, contribuendo a creare un’atmosfera di grande successo che attira sempre più persone. Per garantire un aspetto convincente e realistico, poi, gli organizzatori delle code si trovano sempre sul posto per assicurarsi che le comparse siano disposte in modo naturale. I finti clienti, secondo la testata cinese CGTN, per stare in fila dalle sette del mattino alle nove di sera vengono pagati tra i duecento e i trecento yuan (trenta-cinquanta euro).
Una pratica che non è esente da scandali, uno dei quali riguarda la famosa catena di tè Heytea. Nel 2017, quando Heytea aprì il suo primo negozio a Shanghai, secondo il China Entrepreneur Magazine bisognava fare fino a sette ore di coda per una tazza di tè, o comprarla dai bagarini al quadruplo del prezzo. Stando a quanto riportato da CGTN, diversi testimoni sostengono che Heytea avesse ingaggiato circa trecento finti clienti nei primi giorni di apertura. Nonostante la famosa catena cinese abbia costantemente negato le accuse, un venditore di “professionisti della fila” ha ammesso di essere stato assunto proprio da Heytea. E se la verità probabilmente non verrà mai a galla, rimane una granitica certezza: la Cina ha trasformato le file in un fenomeno socioculturale peculiare, parte integrante della cultura attuale del Paese che mixa sapientemente l’ossessione per l’esclusività, la cultura dei consumi, la necessità dei quindici secondi di popolarità sui social e l’abilità di creare un mercato intorno all’attesa stessa. Una pratica per certi versi assurda, sì, ma di fronte alla quale la società ha reagito ingegnandosi e trovando la soluzione più semplice possibile: se non vuoi farlo tu, paga qualcuno disposto a farlo per te.