Esiste una strada per ripensare la carne? | Rolling Stone Italia
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Esiste una strada per ripensare la carne?

Per i cuochi Edoardo Tilli e Tommaso Tonioni, cuore dell'evento-manifesto 'Se carne, questa carne' a Podere Belvedere, organizzato da Most of Italy, la risposta è sì. E bisogna ripartire da dove tutto è iniziato: dalla vita la morte, e viceversa

Podere Belvedere

'Se carne, questa carne'

Foto: Stefano Delia

Io non lo so, se Edoardo Tilli nella cucina è un outsider. Non so nemmeno come chiamarlo: chef, mi caccerebbe, è autodidatta. Forse basta Edo, per questo ragazzo cresciuto a fianco dei nonni e della natura, dei ritmi di ciò che nasce, cresce e muore e sa che in tutto questo è compresa una trasformazione. Nostra, a contatto con ciò che, per diventare noi, deve morire di necessità. Sua, cioè della carne, quella che una volta teneva in vita la famiglia e come tale andava tenuta in vita. Conosciuta, lavorata. Tramandata.

«Era meraviglioso osservare e apprendere il rispetto, le attenzioni, la saggezza, il rito, avere le mani in pasta e ricevere emozioni e gratificazioni da quel lavoro». Così scrive Tilli, che con Podere Belvedere, in Chianti Rufina, si è aggiudicato una segnalazione nell’ultima Guida Michelin e il premio Menu degustazione 2024 per il Gambero Rosso. Lui con la moglie, socia e direttrice di sala Klodiana Karafilaj, da cui, giura ancora Tilli, è nato tutto. Una famiglia nuova, i due figli della coppia, e un progetto che abbraccia ristorazione, agricoltura, ospitalità e cucina. Un involucro come una pelle, e sotto, trasformazioni misteriose. Le parole vengono da Deep Raw. La filosofia delle frollature, “libro di ricette senza ricette”, perché le cose scritte una volta per tutte non gli piacciono, che Tilli ha pubblicato con Maretti Editore.

Podere Belvedere

Edoardo Tilli e Tommaso Tonioni. Foto: Stefano Delia

Di outsider ma soprattutto di segreto, in realtà, nella cucina di Tilli non c’è niente. Sono invece presenti studio, intenzione, ossessione ma soprattutto chimica. Non la famosa “questione di”, ma la scienza. A cui si legano, appunto, la carne (anzi, le carni) con le loro vie di trasformazione, stagionatura e frollatura innanzitutto. Si parla molto di quest’ultima, complici anche un paio di ottime realtà in ambito ittico, Da Lucio (con Jacopo Ticchi) e Angiò Macelleria di Mare (con Alberto Angiolucci). Una di quelle cose in cui ognuno la vede un po’ come vuole, parole che rischia di diventare prezzemolo sulle bocche dei connoisseur.

Non si corre il rischio però con la filosofia di Tilli, che è chiara: la frollatura non è un metodo per ammorbidire la materia prima, ma per estrarre, come a strizzare via il midollo di quella vita passata. Più che un outsider, capirete, a me pare un insider, Edoardo Tilli. Uno addentro, che studia, che sperimenta, che si imbandisce la tavola con gli stessi piatti che serve in tavola agli ospiti in un menu che va sia alla carta per un percorso più controllato (piatti dai 30 i 50 euro, i vegetariani sono i benvenuti), sia attraverso un percorso di degustazione chiamato Cellula (a 150 euro), dove i freni vengono allentati e il viaggio riserva non poche sorprese (e sfide).

Podere Belvedere

Tommaso Tonioni. Foto: Stefano Delia

Ok, ma nella pratica? Nella pratica, immaginiamoci le epoche senza frigorifero e le loro strategie di conservazione degli alimenti deperibili quali la carne. Immaginiamoci che i primi uomini carnivori erano usi cibarsi di carogne e carcasse. Immaginiamo che, a un certo punto, capiscono che tenendo la carne a una temperatura stabile in un ambiente chiuso e controllato, a condizioni di umidità favorevoli, non solo dura di più, ma cambia anche sapore. Questo significa “frollare la carne”, processo che oggi avviene attraverso la selezione delle muffe, dell’animale – «un animale che ha vissuto bene potrà dare un gusto migliore, mentre un animale vissuto male non è adatto ai percorsi di frollatura, a prescindere dal fatto che non dovrebbero esistere animali che vivono male, chiusi in una stalla» -, dell’involucro nel quale conservare le carni (piumaggio? cera? la muffa e basta?).

E selezione dell’età: «Un animale vecchio ha sicuramente la capacità di sviluppare una complessità maggiore data dalla sua storia, dal suo vissuto: l’animale più vecchio ovviamente risulta più saporito per maggiore mioglobina (proteina che si trova nei tessuti ossei e cardiaci, con la funzione di legare l’ossigeno e il ferro, nda), tessuti connettivi ispessiti quindi più complessità di aminoacidi, più esposizione al territorio, e altri processi biochimici».

Podere Belvedere

Foto: Stefano Delia

Lo ripetiamo: «La frollatura è un metodo d’estrazione che consiste nel rendere disponibile a livello gustativo quello che è già contenuto nell’animale, ma che viene scomposto al punto da essere più apprezzabile al palato». Di solito sono i pasticceri, nelle retrovie delle cucine, a essere indicati come chimici. Nel caso di Tilli, la differenza non sussiste, perché il servizio del dolce è inglobato nel percorso di ricerca.

Strada sulla quale è accompagnato, al momento, da Marta Vicidomini, braccio destro ai fornelli, laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari e arrivata a Podere Belvedere dopo un’esperienza al bistellato Mugaritz di Andoni Luis Aduriz, nei Paesi Baschi, celebre per le sperimentazioni a livello chimico e formale. Vicidomini lavora con le muffe e sulle muffe, seguendo lo spirito di laboratorio permanente su cui si poggia Podere Belvedere – come quella volta che Tilli decise di sostituire la salatura della carne alla toscana con il garum… ma questa è un’altra storia.

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Foto: Stefano Delia

E quindi, dicevamo: nella pratica, sedersi alla tavola di Tilli e lasciare carta bianca equivale a un’attivazione ulteriore attorno alla carne, spogliata delle altrimenti giuste discussioni etiche. Il patto è sacro: mi mangerai, se toccherai tutto di me. Interezza, o niente. Mi mangerai se saprai che vita ho vissuto, che sia selvaggina, colombaccio, pollame (Podere Belvedere ha il proprio), cavallo, manzo, eccetera.

Lo spiega il motto della collaborazione speciale di Tilli con chef Tommaso Tonioni, fondatore di ARSO, progetto di cucina naturale itinerante (non si legga naturale come un equivalente di vegetale); Stefano Delia, fotografo; e Most of Italy (e il suo fondatore Edoardo Celadon), progetto di divulgazione enogastronomica con focus sull’Italia. Se carne, questa carne: opera in quattro atti (e una colazione) andata in scena a fine novembre presso Podere Belvedere per la direzione creativa di Celadon, che ha composto la squadra – à côté, i vini della toscana Malerba. 

Podere Belvedere

Uovo embrionale. Foto: Stefano Delia

Il menu è nato di concerto tra i cinque, spesso, confessano, durante sessioni di conversazione notturne. Quattro atti, dicevamo, e due tempi: il primo è quello della cena, pensato per ripercorrere le fasi di vita di un animale, Nascita, Crescita, Sacrificio e Celebrazione, ognuna accompagnata da una fotografia di Delia, ideatore della suddivisione in “momenti”. I piatti: Tartelletta di occhio ad aprire, e poi Vermouth di volatili e uovo di piccione con Mammella e latte di pecora, testicoli di daino crudi ed erbe amare per il primo atto; Animella, mallo di noci e mandorle, più Intestini di pollo, brodo di pollo arrosto, limone fermentato e fava tonka per il secondo atto; Cavallo e brodo di aringa (con un grasso dolce, ma dolce che…), con Fegato di daino e salsa verde al cipresso per il terzo. Infine, Bollito Misto (Bistecca di Frisona, pagliata e dritto ripieno di cinghiale), Faraona arrosto e zucchero filato, e Gelato al sangue di maiale.

Tutti a nanna dopo esserci confrontati con un senso di paura sciocco, come un atavico moderno, che ci ha fatto tremare di fronte a consistenze inconsuete (per il nostro palato). Il secondo tempo avviene dopo il risveglio, e serve per colazione Orzo latte, cervello montato e granola; Torrone di daino al cioccolato; Torta di formaggio bruciata al sangue di pollo e confettura di amarene (una hit); Frollino di cipresso, bacche di crespino e grasso di vacca vecchia; Sfogliato al porco e lardo; e Uovo embrionale, miele ed infuso aromatico.

Podere Belvedere

Foto: Stefano Delia

«Stasera non si insegna, si condivide e basta», dirà Tilli prima di farci accomodare a tavola. Non vuole dogmi ma saggezza e scienza, di quelle che si rintracciano nelle mani che si sporcano di sangue e terra. In effetti, poco prima della colazione assistiamo all’arrivo di un cacciatore e di una carcassa di cinghiale pronta per entrare in lavorazione. Per Tilli non è nulla. «È la base. Non si può parlare di benessere animale se non si sono mai fatte queste cose», e io non posso non pensare che si riferisca proprio al mangiare bulbi oculari, ingurgitare tuorli d’uovo in un sorso, giocare con la nozione di fertilità appaiando mammelle di pecora, il suo latte, e l’organo genitale del daino.

«Come non si può parlare di sostenibilità delle verdure durante un’estate di siccità. Quando cucino questi piatti sono profondamente rilassato, è quello che amo, che mangio, che conosco. Non è una questione di cucina, non è che sono poi tutto ‘sto cuoco. Non devo dimostrare niente a nessuno, anzi, credo che dalla cucina si debba uscire sempre di più per far girare le idee, i concetti. Qui vogliamo servire cibo, ma soprattutto cultura. Perché, se parliamo di carne, stiamo parlando di un doppio sacrificio quando la portiamo in tavola: quello dell’animale, ma anche il nostro». Se il cibo è cultura, l’affermazione è incontrovertibile: capire come funziona è fare cultura. Confrontarci con esso lo è parimenti.

Podere Belvedere

Foto: Stefano Delia

Tonioni si unirà: «Ci siamo spogliati dei piedistalli. Quello che vedrete oggi sono pensieri sulla materia prima, nulla di più, poi certo, li veicoliamo con ingredienti forse inusuali, che non è comune avere per le mani. Ma questo per me non è il concept della serata. Questa è la vita».

Allora non lo so, se Edoardo Tilli è un outsider oppure no. Quello che so: che ho barato e non sono riuscita a mangiare i testicoli di daino crudi, perché devo decostruirmi ancora un po’. Che la ciccia bollita e ripassata alla brace è migliore di quella grigliata, e punto. Che magari si può pure chiamare avanguardia della frollatura, anche se quelli sono movimenti che passano, mentre la conoscenza è qualcosa che resta (probabilmente a Edoardo dispiacerà, spero non me ne voglia). Che oggi la carne è scomoda, sub specie supermercatis rovinosa, sbagliata. E che per questo, evitare di esautorarla dal nostro ragionamento può farci tornare da dove siamo partiti, ovvero da quello strano interallacciarsi di vita e morte nel perpetuarsi delle specie.

Podere Belvedere

Tommaso Tonioni. Foto: Stefano Delia

So che, dal 2022 quando è entrato a pieno regime, Podere Belvedere macina idee preziose per la nostra etica di mangiatori e di gourmand. So che queste cinque teste hanno dato vita a un universo parallelo, più che a una provocazione. So che, ed Edoardo Tilli lo sa, che c’è dell’inesplorato, in quello che fanno. E che spingersi oltre i confini innesca una brutalità, una verità quasi salvifica sulla rotta dello straordinario. Si tratta di gusto, certo. Ma anche di una relazione unica e irripetibile instaurata con quell’animale, in quel momento.

«La carne, il suo consumo, la sua lavorazione e conservazione sono conseguenze del bisogno umano del domani», così ricorda Tilli. Scompongo oggi, per mangiare nel futuro (lo stesso vale per le tecniche di conservazione del pesce e del vegetale, per esempio). «Per questo, se una volta non mangiavi le interiora ti prendevano per matto». Era tutta vita, quella roba lì. «Ora siamo arrivati all’estremo di certe condizioni di carne, morbide, senza sapori. La carne mica dev’essere morbida, dev’essere sopravvivenza».

Viene difficile da pensare, che la sopravvivenza possa essere soffice. Piuttosto ha l’aspetto di una muffetta forse, del sangue fatto scolare ma non disperso. Se carne, questa carne.