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Tutto quello che ho imparato sulla cucina in una settimana passata su TikTok

Tra carbonare preparate nei boschi, sminuzzamenti di cipolle che diventano spettacoli Asmr, frigoriferi malmenati e altre amenità, sul gastro-Tok ogni ricetta è experience, intrattenimento e velocità. Al punto che alla fine vien da chiedersi: ma il piatto, dov’è?
Cucinare sui social

Foto: Getty Images

Prima di tutto vennero a consigliarmi la preparazione della dukkah egiziana, e fui contento, perché la cucina mediorientale mi piaceva. Poi vennero a farmi vedere il sushi con gli Oreo e stetti zitto, perché volevo vedere come diavolo l’avessero fatto.

Chiamare in causa il celebre sermone del pastore Martin Niemöller sulla presa del potere dei nazisti per descrivere la mia lunga settimana su TikTok a guardare video di ricette parrà inopportuno, ma cercate di capirmi: sono un maschio trentenne per cui fino all’altro ieri la cucina era un oggetto misterioso e inconoscibile, da esorcizzare con ricorsi ostinati a diete pericolosamente vicine a quelle dei fuorisede e a un rifiuto orgoglioso della prammatica gastronomica. Uno che solo negli ultimi anni ha scoperto il fascino discreto delle zuppe, la sensazione di gratificazione data dal primo risotto preparato come Iddio comanda, la misteriosa infallibilità alchemica dell’equilibrio fra gli ingredienti.

Ma questo è stato prima di TikTok, appunto. Col social network di proprietà cinese ho scoperto che il mio bildungsroman culinario non valeva niente, se non era direttamente fondato su menzogne: un rapporto intimo e ponderato col cibo non è proponibile nel brave new world dei brevi video viralissimi. Di contenuto in contenuto – i pancake dolci coreani! Un sandwich a dieci strati preparato in padella! Bruno Barbieri che s’incazza per gli spaghetti in pirofila cotti nel forno da un’americana! – TikTok mi ha spiegato che nel suo universo concettuale di riferimento cucinare non è poi così importante, o meglio non lo è di per sé: quel che conta è l’effetto visivo o la didascalia inseriti al momento giusto, lo sfrigolio dell’olio montato ad arte, lo slogan-tormentone che buca lo schermo e rende riconoscibile lo chef di turno tra le centinaia di migliaia di colleghi in cerca di un posto al sole algoritmico.

@the_pastaqueen The perfect Cacio & Pepe #pasta #quickrecipes #thepastaqueen #italiancooking ♬ original sound – The Pasta Queen

Prendete The Pasta Queen, all’anagrafe Nadia Caterina Munno, nata e cresciuta a Roma che nel 2015 si è trasferita negli Stati Uniti e durante il primo lockdown ha fatto quel che abbiamo fatto tutti: si è messa a cucinare. Lei però, a differenza di noialtri, ha iniziato a fare video delle sue ricette e da allora ha costruito un impero mediatico da 2,2 milioni di follower, è stata invitata a Good Morning America e al Drew Barrymore Show, e ha pubblicato un libro biografico di ricette con Simon & Schuster. Il suo marchio di fabbrica socialmediale è una sventagliata dei lunghi capelli con sguardo intenso rivolto in camera, che precede una pronuncia gratuitamente passionale della parola «ingredients». Ma ad aumentare il senso di trovarsi in uno spot pubblicitario Pantene, mentre si guardano i suoi videini su TikTok, è anche un ugualmente languido «just gorgeous» pronunciato in coda a ogni preparazione. Munno ha fatto sapere ai follower che è una grande fan delle telenovelas e ha voluto omaggiarle così, tra una pasta alla ricotta e limone e l’ennesimo tentativo di spiegare la carbonara agli americani (i quali comunque hanno ancora qualche riserva: «Le mie papille gustative non sono abbastanza mature per apprezzare il sapore delle uova crude», commenta con sincerità apprezzabile l’utente filthyfrankpp). E ha sostenuto anche che il rapporto della sua famiglia con la pasta risale all’Ottocento, quando i suoi trisavoli venivano chiamati “Maccheroni” per il loro pastificio nell’area di Gragnano. Che sia vero o no, per i suoi adepti è una prova di autenticità: avanti con la prossima ricetta, si metta un altro cuoricino.

@menwiththepot Chicken Alfredo with a twiSt 😎 #menwiththepot #fyp #foryou #4u #asmr #foodporn #food #cooking #fire #forest #nature ♬ original sound – menwiththepot

Il mio viaggio algoritmico e culinario continua impigliandosi in quella che lì per lì mi sembra la scena di uno strambo reality che non conosco: c’è una sorta di radura contornata da una fitta boscaglia, vecchi tronchi coperti dall’erba, un cane che gironzola lì attorno, un fuoco acceso su sterpaglie e rami. Ma è tutto in secondo piano: la visuale à la GoPro si concentra sul tagliere su cui uno squilibrato con un coltellaccio sta sminuzzando ortaggi e tagliando petti di pollo. Solo dopo poco scopro che il nostro chef da Into the Wild è uno dei due componenti di @menwiththepot, tizi polacchi che cucinano piatti gourmand nei boschi e hanno – ripetete con me – 10 milioni di follower (e quindi probabilmente abbastanza denaro per permettersi una cucina vera e propria, ma sorvoliamo). Slawek Kalkraut e Krzysztof Szymanski in realtà vivono in Irlanda, e sul loro sito ufficiale dicono di essersi legati perché avevano in comune la passione di cucinare immersi nella natura più lussureggiante (ma certo: chi non ha legami profondi e duraturi nati attorno a un fuoco, difendendo con le unghie un petto di pollo ripieno dalle incursioni dei lupi?).

@menwiththepot Quick and Simple CARBONARA😜 @the_pastaqueen #menwiththepot #food #cooking #foryou #fyp #foodporn #4u #viral #asmr #nature #fire #ramseyreacts #a ♬ original sound – menwiththepot

In uno dei video più visti del duo (ripetete con me: quasi dieci milioni di visualizzazioni), Kalkraut e Szymanski – di cui nei video appaiono solo le mani – si dedicano alla grande ossessione del TikTok culinario: sì, sempre lei, la carbonara. Mentre il fidato cane si fa largo tra i sentieri scodinzolando, loro preparano l’impasto per le tagliatelle (non vorrai mica portartele da casa? Suvvia), approntano un cartoccio edibile per il consumo en plein air e affettano la pancetta (servirebbe il guanciale, sì, ma ricordarlo a chi lotta per la sopravvivenza nei boschi irlandesi non mi pare la priorità). Nei commenti al post, @doowidurt pone la domanda con faccina più apprezzata dalla community: «Fate mai video blooper? Ad esempio l’aglio che scivola via… il cane che mangia la carne… un insetto sul pane…». Loro rispondono, sempre con faccina: «Mai». E nel caso, penso io, se li facessero conterrebbero lotte furibonde con gli animali della foresta per contendersi un pezzo di carne, e in definitiva non farebbero poi così ridere.

Forse – inizio a pensare – non sono tagliato per questa cucina frenetica, dove tutto è accelerato e reso cartoon, performance, quando non meme, e persino lo sminuzzamento di una innocua cipolla diventa uno spettacolo Asmr da godersi sull’iPhone per immedesimarsi nell’experience del piatto (sono abbastanza vecchio da aver vissuto tempi in cui una pasta alio olio e peperoncino non doveva necessariamente essere «un‘experience»). Potrà sembrare l’ennesimo brontolio neoluddista, me ne rendo conto. Ma se lo è, è anche una presa di coscienza di come internet ha cambiato il suo – e il nostro – rapporto con ciò che mangiamo. E dire che non sono passati nemmeno dieci anni dal trionfo di Tasty, il famosissimo canale di Buzzfeed dedicato alle ricette, che ha battezzato il format della preparazione culinaria ripresa dall’alto con un motivetto gradevole in sottofondo e condivisa con l’universo-mondo a mezzo social media. Nel mondo di Tasty – quello di sette anni fa – il cibo la faceva ancora da padrone: sì, c’erano le musichette, i tagli e gli impiattamenti kawaii, ma, riducendo ai minimi termini, si trattava ancora delle care vecchie ricette, soltanto adattate al nuovo corso internettiano.

@thatdudecancook I’ve never made a better Shrimp Scampi Pasta #pasta #shrimp #foodlover ♬ original sound – Sonny Hurrell

Su TikTok invece il food è diventato una succursale dell’influencing, volendo parlare come i pubblicitari milanesi: la presenza del creator (sì, scusate, la smetto) è ossessiva e indiscutibile, le ambientazioni sono diventate una parte integrante della performance (citofonate a @menwiththepot, appunto, o meglio ancora mandategli segnali di fumo) e il cibo da solo non può nulla se non c’è un personaggio a corredo, con la sua parte da recitare e le sue mossette di riconoscimento. Sonny Hurrell, che ha 4 milioni e passa di persone che seguono il suo account @thatdudecancook, chiude ogni preparazione menando il suo frigo, per motivi che mi risultano insondabili. Nella sua ricetta degli scampi, ad esempio, Hurrell termina una preparazione che ai miei occhi da profano sembra eccellente (sarei mai in grado di fare quel sugo?) uscendo dalla parte superiore del suo elettrodomestico, dove si era precedentemente rintanato, e dando in escandescenze. Il pubblico è in visibilio: @fox7385 commenta con surplus di punteggiatura «Best fridge stunt yet!!!». Sarà, ma a me avevano impressionato più gli scampi. 

E comunque sul gastro-Tok è tutto veloce, anzi velocissimo, tanto che a noi attempati Millennial viene quasi da dire che non si capisce più un accidenti: come si fa a imparare a fare la tarte tatin in un minuto? Ma i cuochi, come i calciatori, come gli astronauti, come gli scrittori, come gli idraulici, oggi sono anzitutto influencer che devono conquistare e mantenere agganciato il loro pubblico. E chi ce la fa svolta, se è vero che un singolo post sponsorizzato di un influencer di prima fascia viene retribuito fino a 60mila euro.

Se non altro, volendo essere ottimisti, a questo progressivo arretramento della cucina come prassi oggettiva e liturgica si accompagna una spettacolarizzazione del cucinare che può conquistare chi – dico a te, me stesso dell’altro ieri – avrebbe altrimenti rischiato di continuare coi piatti pronti fino alla fine dei tempi. Mentre scrivo l’hashtag di tendenza promosso dalla piattaforma è #CucinaItaliana, che ha messo insieme poco meno di 350 milioni di visualizzazioni con clip di pochi secondi dedicate al «Ristorante di pesce più buono di Cesenatico» (ma nei commenti decio979 ha da ridire: «Ce ne sono di meglio»), video di tiktoker che dichiarano «Provo gli snack italiani» e scartano ieratiche un pacchetto di Oro Ciok davanti all’obiettivo (per poi passare alle caramelle Haribo, «Sanno un sacco di Coca-cola!». Ah, ma pensa), e un pitabread di pollo e verdure, anche lui impeccabile e approntato in una decina di secondi scarsi.

Sono passati i tempi in cui l’occhio voleva la sua parte: ora nelle nostre esistenze smartphone-centriche non c’è parte che non possa dirsi appannaggio della vista. E d’altronde come si può dire di no a cinquanta secondi di video bisbigliato (pardon: di Asmr) di una ragazza che mangia tacos di fronte a un microfono ultra-sensibile? Come resistere a una pasta chicken Alfredo preparata in un calderone al limitare di un bosco incontaminato? Come non lasciare che l’algoritmo ci culli tra una pizza preparata col pane che avanza in casa e un’influencer orientale che lavora a maglia intessendo complesse trame con i noodles che ha nella sua scodella? Si raffredderanno, al limite, ma a noi che importa?

@augusta_price25 TACO BELL ASMR 🌮 #asmrtacos #tacobell #asmrfoodie #asmrmukbangvideo #fastfoodasmr #fastasmr #mukbangeatingshow ♬ original sound – Augusta Price Varga

È lo spettacolo, bellezza, e lo spettacolo deve continuare (specie se dietro c’è una compagnia valutata 80 miliardi di dollari). D’altronde la gastronomia, ne siamo certi, ha le spalle abbastanza larghe da riuscire a superare indenne anche questi tempi confusi fatti di performance tra le padelle a ogni costo, e riportare l’essere umano di fronte alla meraviglia originaria della scoperta del cibo. Quanto a noi vecchi e rimbrottanti neofiti dei codici dell’alchimia culinaria, ci limitiamo a presentare una mozione d’ordine agli influencer che hanno trovato l’America nella piattaforma cinese, parafrasando la sferzata che Dino Risi diede al cinema di un giovane narciso di nome Nanni Moretti: va bene tutto, i boschi, le mosse di karate, la viralità, la carbonara, ma adesso spostatevi e fateci vedere il piatto.

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