La wave di Gerry Scotti su Instagram vi ha annoiato? Non provate più alcun piacere a scrivere insulti sotto i video dei fuffaguru che a bordo di una Lambo parcheggiata davanti a una piscina vi promettono guadagni a sei zeri mensili a patto che voi acquistiate il loro corso a 10€? E nemmeno i food porner che sezionano panini dopati di ingredienti e li aprono mostrando formaggi fusi e succhi ipercalorici, che colano peccaminosamente e non riescono a stimolarvi la minima traccia di appetito? Niente paura, amici! C’è un nuovo filone che ha tutte le carte in regola per generare gravi forme di dipendenza e regalarvi ore di intrattenimento di qualità: quello dei ristoratori catanesi.
Probabilmente solo il cerchio magico intorno a Zuckerberg potrebbe spiegare come mai l’algoritmo di Instagram abbia iniziato un mese fa, e proprio a me, che vivo a Milano in Città Studi, a proporre i reel di titolari di locali che sponsorizzano il loro aperitivo a Catania. Sta di fatto che per curiosità ne guardo uno, e a quel punto sono come Neo in Matrix dopo che ha ingollato la pillola rossa. I miei accessi a Netflix, Prime Video, Disney+ e AppleTV si fanno sempre più sporadici, ignoro persino il porno: ho occhi solo per questi esercenti catanesi che promettono montagne di pasta, carne, pesce e latticini – indiscriminatamente irrorati dall’onnipresente crema di pistacchio – alla stessa cifra per la quale a Milano prendi cappuccino e cornetto.
I protagonisti di questi video sono tutti chef e/o titolari di bar tabaccherie/ristoranti/pizzerie/griglierie di Catania che hanno fatto propria la lezione di Giovanni Rana, uno dei primi imprenditori a essere testimonial della propria azienda: dopotutto sono diversi gli studi (che evito di citare per buona creanza) che dimostrano che gli imprenditori sono volti efficaci perché portano con sé valori e principi nettamente diversi rispetto a quelli che orbitano intorno allo showbiz, valori che sono più vicini e riconoscibili dal consumatore che si identifica in questi personaggi considerati sempre più veri. Sul fatto che questi catanesi siano veri non credo sussistano dubbi.
Come per ogni genere cinematografico, anche questa Nouvelle Vague, o forse Neo-Neorelismo, sicula vanta i propri canoni estetici, e ricalca uno schema che potremmo riassumere così. Attacco: un cliente espone una criticità o mette in dubbio la bontà dell’offerta gastronomica del posto (“mi hanno detto che qui fate un aperitivo mega e costa solo 7€, ma secondo me sono tutte minchiate!”). Segue la pronta replica del cuoco influencer (“ma chi te le racconta queste minchiate? Caruso assettati che ti faccio arricriare!”).
A quel punto il cuoco passa a illustrare la proposta gastronomica che, indipendentemente dal tipo di locale (ristorante, pizzeria, griglieria, bar tabacchi, carrozzeria), è caratterizzata da un nome sempre preceduto dal prefisso “aperi” (aperipizza, aperipesce, aperigrigliata, aperidivorzio) e vanta quantitativi di cibo che potrebbero tranquillamente sfamare i 200 invitati di un prediciottesimo campano (“ecco caruso, questo è il nostro aperigrigliata con carne di cavallo al pistacchio, costata di manzo al pistacchio, polpetta di cavallo ripiena di Philadelphia al pistacchio, hamburger da 500 grammi con granella di pistacchio, stinco al pistacchio e fritto misto con maionese al pistacchio! Fidati che con questo non ti faccio capire più niente”). Si prosegue con la reazione del cliente, scoraggiato da quella messe pantagruelica (“ma io mo’ come minchia faccio a mangiare tutta ‘sta roba? Non è possibile!”). Si finisce naturalmente a effetto, con il titolare che lo cogliona e lascia per il gran finale l’informazione più importante: un prezzo rasoterra che a Milano non basta per un panino e una birra (“caruso qui ci sono 7 kg di carne, cazzi tuoi, buon appetito. Tutto questo cibo per 15€! Non ditelo al titolare, ma tra poco falliamo”).
Il tutto impreziosito da una recitazione che fa sembrare The Lady di Lory Del Santo Quarto Potere, scavalcamenti di campo vertiginosi, inquadrature non raccordate, audio spesso fuori sync e un italiano più pericolante di mio zio al settimo Campari Gin. Capite bene anche voi che qui ci troviamo davanti a un’estetica postmoderna che ridefinisce sensibilmente la comunicazione commerciale, come anche i concetti di “cringe” e “viralità”. Spesso i ristoratori ingaggiano direttamente i propri spettatori guardando in camera, mostrando con fierezza i propri piatti che sprizzano colesterolo, sempre sepolti da una pioggia di pistacchio che si affrettano a definire di Bronte (difficile da credere visto che sta a 60€ al kg) o comunque di Sicilia, mentre invitano lo spettatore a lasciare un commento e a venire a tastare con mano la qualità della loro offerta.
Chiunque abbia un senso estetico anche solo minimamente sviluppato sarebbe disposto ad ammettere che sono video ascrivibili alla categoria del “brutto”, che tutto quel cibo deve essere di qualità mediocre per essere offerto a una cifra così sfacciatamente fuori dal mondo, che sembra che a Catania abbiano più fame che nell’Italia dell’immediato dopoguerra. Nella sezione commenti sotto ogni video, poi, ci sono più insulti che in un cantiere di muratori bergamaschi dopo che hanno appena saputo che devono rifare la casa. Eppure i numeri non mentono: a dispetto di uno stile che in confronto il più trucido kebabbaro romano sembra Marchionne, questi spadellatori catanesi sono tutti influencer nati, i loro video generano migliaia di interazioni e vengono ricondivisi da un numero sempre crescente di “estimatori”. Senza falsa modestia, dirò che mi considero un pioniere in questo senso, anche se non ho ancora capito se vantarmene o consumarmi nei sensi di colpa.
Ci tengo però a specificare che ci sono almeno due aspetti del rat pack catanese che genuinamente mi affascinano: il primo è il fatto che questi se ne fottono altamente delle numerosissime critiche che ricevono (“ma a Catania esistono anche persone normali?”, “meno male che ci sono i sottotitoli, non si capisce nulla”, “avete rotto il cazzo con ‘sto pistacchio ovunque” sono alcuni tra i commenti più pubblicabili): per loro tutto è funzionale al raggiungimento dello scopo. E non serve aggiungere che lo scopo l’hanno ampiamente raggiunto. Il secondo è la freschezza con cui declinano i loro contenuti, mantenendo lemmi distintivi chiari ma “con un livello di creatività fuori controllo”, come scrive in un commento l’amico Luca Ravenna, giustamente a bocca aperta davanti a gente spregiudicata che non ha paura di sovvertire le regole della comunicazione.
Mi sembra a questo punto quantomeno doveroso fare un piccolo elenco dei food influencer imprescindibili per chiunque (antropologo, sociologo, paleontologo, virologo) si stia accostando per la prima volta a questo affascinante ecosistema. Unica avvertenza, carusi: quando guardate nell’abisso, anche l’abisso guarda in voi.
Trattoria Sapuri
Tra le prime realtà in Trinacria a cogliere le potenzialità dei social, la Trattoria Sapuri ha il volto del suo demiurgo ai fornelli, noto semplicemente come Lo Chef, che ricorda vagamente La Cosa dei Fantastici 4, solo non ricoperta di roccia, al massimo da granella di pistacchio. Rispettoso della tradizione, molto meno della sintassi, lo chef è il protagonista indiscusso di video giustamente già entrati nella leggenda, come quello in cui propone la sua gigantesca grigliata pistacchiosa (aggettivo ricorrente nel suo vocabolario non particolarmente vario), bombardata appunto di salsa e granella di pistacchio. Il tutto messo a 35 euro, ma solo dopo aver infamato McDonald’s (reo di avere prezzi troppo bassi, non come lui). Ben noti sono quelli in cui si affaccia al pubblico internazionale parlando una sua, personalissima versione, rivisitata, della lingua inglese.
Il nostro è anche assai creativo in cucina, come dimostra “La Vittoria”: un kg di Angus, mezzo di patate al forno, melanzane grigliate e rucola a soli 20 euro. Ma i vertici espressivi di Trattoria Sapuri si toccano in un video che inizia citando Blow Out di De Palma, con dei passanti che si disperano perché un’automobile ha investito lo chef. Il nostro però non è morto, e mentre è adagiato a terra, in un non sequitur da brividi, informa lo spettatore che tutta Catania è impazzita per la sua recente creazione (la “nuova novità”), l’apericarbonara: formula senza dio che prevede, al solito prezzo stracciato, una ciotola di polpette cacio e pepe, una ciotola di polpette con la carbocrema, due bruschette cacio e pepe, patate con guanciale croccante e pecorino e ovviamente mezzo kg di carbonara che il nostro definisce “la regina di Napoli” (con tanto di stemma della squadra di calcio). Ma poi perché, se anche i licheni sanno che è de Roma? Chiaro: per far incazzare gli spettatori e spingerli a commentare aumentando l’engagement. Genio assoluto.
Pizzeria Nunu da Emanuele
Emanuele è lo spiritato picciottu dall’occhio pazzo alla Schillaci e una dentatura che sembra uscita direttamente dai peggiori pub inglesi che inizia ogni video con delle invettive, segno tangibile che metabolizza i feedback dei propri follower e legge i commenti. Anche lui, come Sapuri, abusa il pistacchio con la stessa spregiudicatezza con cui i calabresi adoperano il peperoncino e, auto-elettosi Re del Pistacchio, si prodiga in un dissing ai danni di Tommaso Mazzanti de L’Antico Vinaio (sicuramente del tutto ignaro della sua esistenza), colpevole di non aver messo in menù una schiacciata al pistacchio come la sua.
Emanuele nasce pizzaiolo (unico – speriamo – a Catania a proporre la pizza Kinder Bueno) ma la sua poliedricità non può essere imbrigliata in un disco di pasta lievitata. Eccolo quindi realizzare il panino per gli amanti del “crunch”, completamente fritto – sì, anche il pane (e poi farcito con svizzera di carne, bacon, uovo strapazzato, insalata, salsa, cipolla croccante); oppure i suoi famosi “lingotti d’oro” di pollo fritto, la risposta al classico panino di KFC – che però non aveva mai chiesto nessuno. Emanuele si dimostra poi sensibile ai grandi temi dell’attualità, realizzando due video che consacrano la sua figura nel pantheon dei food influencer siculi. Il primo è quello contro il caro prezzi in cui lancia il suo aperinflazione (stracciatella, mortadella, pizza intera, salumi, per un totale di 2 kg di cibo) a 7 euro. Emanuele urla “a me l’inflazione me lo suca”, depone il tagliere davanti al solito cliente incredulo e chiude con l’icastico “io non so cos’e l’inflazione ma ti dico solo che tra un mese falliamo”.
Il secondo è la sua personalissima lettura del film Driver l’Imprendibile in chiave neorealista, in cui il filmato – vero – di un motorino che tampona un’auto viene raccordato alla ripresa all’interno della macchina di Emanuele. Il guidatore del motorino gli ha sfondato il retro ed è entrato nell’abitacolo, Emanuele è al volante e, come ogni catanese che si rispetti, in questo universo fittizio ha appoggiata sulle ginocchia una pizza gigante, mentre altre due pizze e l’immancabile tagliere ricolmo di cibo se ne stanno sul sedile del passeggero. “Mbare ma se volevi le mie pizze bastava dirmelo, ora non possiamo fare la constatazione amichevole, non ho l’assicurazione e manco la patente”. Aperincidente.
Kalaccilla Sapori di Sicilia
In quella che sembra solo apparentemente una pizzeria normale, lo zio Eddy (evidentemente in affanno davanti alle telecamere visto che pronuncia solo frasi brevissime composte da almeno 6/7 take l’una) non vede l’ora di prepararvi indimenticabili manicaretti come il maxi-tagliere al pistacchio, dove l’oro verde locale viene utilizzato senza pietà su pizza fritta, patate, carne, trofie, bruschette, per un totale di 8.000 calorie e 18 euro a persona.
Non manca la classica formula pizza all you can eat, ma ciò che ha reso famoso Kalaccilla – secondo Eddy – è l’aperifish. Come suggerisce il nome, si tratta della solita camionata di fritte, cozze, caponata e parmigiana al pescespada, arma termonucleare globale al pesce venduta per 20 euro a persona, bottiglia di vino inclusa. Il colpo di genio eversivo è giocare la carta della pregnant comedy in stile Senti Chi Parla, dato che a chiedere l’aperifish è una donna in dolce attesa la cui premessa è: “Buongiorno, l’altro giorno ho fatto un aperifish in un noto locale a Catania e ho preso un’intossicazione, questa sera vorrei provare il vostro”. Certo, e se fosse in cura da un ginecologo che ha finito la scuola dell’obbligo saprebbe che è sconsigliassimo bere alcolici, mangiare insaccati e frutti di mare o comunque uscire a cena dopo un’intossicazione alimentare.
Officina del Gusto
Rispetto agli altri esercizi sopracitati (che seguono tutti a grandi linee un filone), l’Officina del Gusto diversifica la sua proposta di contenuti. In un video a tema eterna-rivalità-nord-sud, un giovane cliente esordisce dicendo la classica frase di quello che entra in un ristorante: “Sono stato a Milano ed era pieno di grattaceli”. La titolare risponde prontamente: “Ma secondo te i grattaceli ce li hanno solo a Milano? Da noi i piatti sono tutti alti due metri!”, e mostra con fierezza tre portate in cui gli ingredienti sono infilzati a uno spiedino tenuto sospeso da una sorta di lampione attaccato al piatto. Ovvero: spada di miniburger con cascata di cheddar e spada con salsa barbecue, senape e miele. “Non serve andare a City Life, vieni da noi e ti risparmi il volo!”. E comunque sono alti sì e no 30 cm.
Un altro reel strizza l’occhio alla clientela over sessanta e ha come protagonista “Nonno Mykonos”, un arzillo vecchietto il cui nome d’arte è dovuto al fatto che è stato due volte nell’omonima isola greca. Nonno, che ricorda vagamente Roberto Herlitzka (non nella recitazione), è alle prese con il famigerato “panino superpistacchioso lungo un metro” (6 hamburger, mozzarella di bufala, mortadella, patatine, crema di pistacchio). Fortunatamente ci viene risparmiata l’immagine dell’anziano che tenta di addentare questa mostruosità.
Il video più bello però è quello che ha come protagonista il simpaticissimo cuoco senegalese Samba, e che si muove con disinvoltura in atmosfere che strizzano l’occhio a Io Capitano e Anatomia di una caduta. Un ragazzo insanguinato è riverso sulla soglia del locale. Samba lo scavalca sorridente e spiega cos’è successo nel suo italiano malfermo (parla comunque meglio di molti colleghi autoctoni): la colpa è del panino Big Bang, una sorta di Pokemon evoluto del panino di Nonno Mykonos, con ancora più roba. Ce n’è talmente tanta che la gente quando lo vede sviene. Ok. Immancabile il riferimento finale al fallimento imminente dati i prezzi scannati. Ma per il cliente, questo e altro.
Il Faro Bar Tabacchi
Questo bar tabacchi è sicuramente meno strutturato dei locali di cui abbiamo parlato finora, ma il carisma naturale del proprietario e l’uso strumentale del figlio cinquenne (un po’ come faceva Daniel Day Lewis ne Il petrioliere) stanno rendendo i suoi contenuti un appuntamento imperdibile per migliaia di appassionati.
Il video più visto è quello che utilizza le stesse immagini del motorino che tampona l’auto già visto da Pizzeria Nunu: stavolta il proprietario del Faro sta trasportando le cartocciate (varianti locali del calzone con strutto, prosciutto cotto, mozzarella e olive). Sono però quelli dove il protagonista è il piccolo Totò (lo chiamo così io, il nome vero non lo so) a essere irresistibili. In uno dichiara di essere appena uscito dalla discoteca alle prime luci dell’alba e di non sapere dove andare a mangiare. Fortunatamente il Faro è aperto 24 ore su 24. In un altro reel il piccolo, probabilmente il migliore attore di questa rassegna, legge in un commento che gli arancini sono congelati e va in cucina per vederci chiaro. Per tutta risposta quello che sembra il fratello maggiore gliene frigge uno alla Norma al momento, ricoprendolo poi di pistacchio.
Segnalo anche il video in cui il proprietario legge sul telefonino una dichiarazione di Iginio Massari (lui lo chiama Gino Massara) che sosterrebbe che “la cassata siciliana fa schifo”. In realtà ai giornali Massari aveva dichiarato che la cassata è poco esportabile all’estero in quanto troppo dolce, una cosa decisamente diversa. Ma perché approfondire quando posso semplicemente insultare? Il boss del Faro replica duro: “Forse farà schifo il tuo panettone, che lo fai con la polenta” (eh?). Per poi chiudere con uno dei prodotti locali più noti all’estero, una bella minaccia: “Dicendo che la cassata fa schifo non hai insultato solo me, ma tutta la Sicilia. Fai attenzione”. Come direbbe Mahmood: brividi.
Il Faro Gastronomia
Da non confondere con l’omonimo bar, questa gastronomia è il regno della bella Giada, una giovane determinata a lasciare il segno a colpi di aperifish a prezzi stracciati, quantità di cibo che fanno sembrare il catering del Boss delle Cerimonie la mensa di una scuola dell’infanzia, e l’ombra del fallimento che si allunga su tutto. E se la telegenia e spigliatezza della figliola tolgono un po’ di quella magia DIY che caratterizza i video dei competitor, è nelle interazioni con i coprotagonisti che Il Faro fa la differenza.
Un reel si apre drammaticamente con Giada che è al telefono con il commercialista (credo sia la professione più frustrante in assoluto a Catania), disperato: “In una settimana avete venduto 700 aperifish e sapete quanto avete guadagnato? Nulla! Siete in PER-DI-TA!”. “Follia, sto lavorando per perdere soldi, devo licenziare anche lei, signor commercialista, mi spiace!” Giada chiude mentre il commercialista sta parlando e, circondata da sei kg di pasta allo scoglio, illustra tutti i piatti che compongono il suo mastodontico aperitivo di mare, sottolineando il fatto che tutti i lavoratori sono in regola e che fanno tutti gli scontrini. Poesia.
In un altro video, la convincente risposta catanese a Mark Walhberg sta sbroccando fuori dal locale, sbattendo i pugni e urlando parolacce. Giada accorre e gli chiede quale sia il problema. Lui risponde che gli amici gli chiedono sempre di uscire fuori a pranzo, ma ogni volta che accetta se ne partono 15€. Cosa deve andare a fare, rubare? Una soluzione abbastanza scontata sarebbe rispondere “uscire di meno”, ma Giada ha un altro asso nella manica: primi piatti convenenti a 5€ (“se si sono alzati i prezzi è tutta colpa del Covid, Bill Gates, Bitcoin…”) e l’immancabile maxi aperifish a 15€. Wahlberg è finalmente felice e dimentico del fatto che 15€ era la stessa cifra che dichiarava di non voler spendere all’inizio del video.
Secondo me è il momento di un bel viaggio a Catania. Visto anche che ho giusto due domande da fare ai ragazzi di Dietro Ogni Comunicazione, che, dai tag nei video, risultano essere gli artefici di questa arma nucleare tattica che è piombata sul mio algoritmo. La prima è semplice: perché?!