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Il whisky giapponese è (ancora) più cool di te

Ed ecco perché vi portiamo 5 (più bonus) ganci di conversazione per lisciarvi le penne durante le bevute al bar. E capirci un po' di più sul distillato che ha preso tutti in contropiede
whisky giapponese

Foto: Mike Tamasco

“Secondo me oggi l’unica scena jazz interessante è quella etiope”. Così si sente, spocchiosamente, sul terrazzo della casa di Jep Gambardella nella Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Nei salotti buoni tanto quanto nell’ambiente hipster è buona abitudine avere gusti particolari, ricercati ai limiti del parossismo, e soprattutto ostentarlo, stupendosi del fatto che gli altri non sappiano a memoria il vinile (di cui non esiste versione digitale, ma solo fisica limitata e numerata a mano) de I Cani-Baustelle.

E se questo vale nella musica, non può essere da meno il mondo delle bevande: se siete tra quelli delusi dal fatto che bere birra artigianale sia diventato completamente mainstream, e ormai l’ultimo briciolo di soddisfazione che vi resta in tal senso è quella di correggere la pronuncia dei babbani da IPA ad AI PI EI (perché è inglese, ovviamente), forse è arrivato anche per voi il momento di cimentarvi nel magico mondo del Whisky Giapponese, vero nettare intellettuale radical chic del decennio.

Foto: Mike Tamasco

Poco importa se non sapete distinguere un Whisky di Speyside da uno di Islay, così come prima non sapevate distinguere una Lager da una Pils. Il distillato nipponico vi dà l’occasione di ripartire da capo come un ragazzino del 2010 convinto che Machine Gun Kelly abbia inventato il pop-punk.

E se il mix di ideogrammi sull’etichetta può essere sufficiente a conquistare il pubblico di Instagram, nel caso fortuito in cui abbiate voglia di ordinarlo in un bar in compagnia di altre persone, dopo esservi stupiti del fatto che non sapessero che il Giappone è uno dei paesi più importanti al mondo per la distillazione, potete sfoggiare uno o più dei cinque aneddoti sul Whisky Giapponese che abbiamo raccolto per voi in questa guida per conversazione. Non c’è di che.

Ma come, non sapevi che in Giappone si fa whisky da più di 100 anni?
La storia del whisky giapponese è strettamente legata alla figura di Masataka Taketsuru. Cresciuto in una famiglia di produttori di sakè, decise di andare in Scozia negli anni ’20 per imparare i segreti della distillazione del whisky. Qui studiò chimica all’Università di Glasgow e fece apprendistato in diverse distillerie scozzesi, tra cui Longmorn e Hazelburn.

Al ritorno in Giappone fu assunto da Shinjiro Torii, fondatore di Suntory, per creare il primo whisky giapponese. Taketsuru credeva fermamente che il miglior luogo per produrre whisky dovesse somigliare a quelli scozzesi in termini di clima e risorse naturali. Fu così che nel 1923 venne inaugurata la distilleria Yamazaki, situata in una zona umida e montuosa nei pressi di Kyoto, perfetta per la produzione di whisky.

Nel 1934, Taketsuru lasciò Suntory e fondò Nikka Whisky, di cui la prima distilleria fu a Yoichi, sull’isola di Hokkaido, che aveva un clima molto simile alla Scozia. Le due aziende, Suntory e Nikka, sono tutt’oggi i maggiori produttori di whisky giapponese e competono nel mercato internazionale con prodotti raffinati e molto apprezzati.

Ma come, non sapevi che un whisky giapponese è stato eletto migliore al mondo?
È successo nel 2001, quando Yoichi 10 anni ha vinto il premio annuale assegnato da Whisky Magazine. È lì che si è cominciato, almeno tra addetti ai lavori, a parlare del paese asiatico come di un importante produttore di bottiglie di qualità. Ma la verità è che a rendere celebre il prodotto a livello internazionale non è tanto il premio quanto Hollywood: nel 2003 esce il film Lost in Translation, nel quale Bill Murray interpreta una star del cinema in declino, arrivata a Tokyo proprio per girare uno spot pubblicitario di una marca di whisky (“for a relaxing time make it Suntory time”, ripete nello spot all’infinito). Il successo cinematografico della pellicola di Sofia Coppola proietta il distillato giapponese nell’immaginario generale.

Ma come, non sapevi che una soap opera ha quasi distrutto il whisky giapponese?
Se i primi due livelli erano forse sufficienti a stupire i vostri zii alla cena di Natale, qui cominciamo a fare sul serio con gli aneddoti nerd: vi ricordate la storia di Masataka Taketsuru? Quello che non vi abbiamo ancora detto è che non tornò da solo in Giappone, ma con una moglie scozzese, Rita Cowan, figura fondamentale nella sua ascesa oltre che nella sua vita.

Sulla loro storia d’amore è stata trasmessa, tra il 2014 e il 2015, una soap opera chiamata Massan che raccontava le difficoltà e i successi di Taketsuru nel portare avanti la sua visione in un Giappone ancora poco familiare con il whisky e la sua storia d’amore con la bionda scozzese. Questo Elisa di Rivombrosa asiatico ha avuto un tale successo da far appassionare le casalinghe giapponesi al whisky locale, e le ha portate a comprare moltissime bottiglie.

Conclusione: quando la domanda internazionale è esplosa, i magazzini erano praticamente vuoti. E visto che il whisky non si fa in un giorno ma in anni, questo ha portato all’impossibilità di soddisfare il mercato, rischiando di uccidere sul nascere il crescente interesse.

Ma come, non sapevi che esiste un disciplinare del whisky giapponese?
Per soddisfare la domanda globale in attesa dei nuovi invecchiamenti, il Giappone (è il caso di dirlo) ha fatto un casino. Per alcuni anni infatti, smentendo la loro fama di popolo integerrimo e disciplinato, hanno preso una deriva alla Wanna Marchi, comprando whisky da altre parti (USA, Irlanda, Canada…), blendandolo e magari facendogli fare un finish nell’arcipelago prima di commercializzarlo come giapponese.

Insomma, ci siamo bevuti per molto tempo whisky giapponesi che giapponesi non erano. Per fortuna a un certo punto i sudditi del Mikado si sono guardati allo specchio, e si sono ricordati il proprio bushido interiore. Il 1° aprile 2021, il Giappone ha ufficialmente introdotto un disciplinare per il whisky giapponese, stabilendo criteri chiari per preservare la sua autenticità e qualità.

Questo disciplinare nasce per garantire trasparenza e per proteggere il vero whisky giapponese, con l’obiettivo di distinguerlo da prodotti che non rispecchiano le sue tradizioni e il suo processo produttivo. Secondo le normative, il whisky giapponese deve rispettare precisi requisiti durante la produzione, che coinvolgono ogni fase del processo, dalla scelta degli ingredienti all’imbottigliamento. Ecco i punti salienti.

Foto: Mike Tamasco

Produzione in Giappone: Tutto il processo di produzione, dalla distillazione all’imbottigliamento, deve avvenire in Giappone. Ciò significa che non è più possibile importare whisky da altre nazioni ed etichettarlo come “giapponese”. Questo garantisce che il prodotto rappresenti realmente le tecniche locali e le tradizioni giapponesi.

Ingredienti: Il whisky giapponese deve essere prodotto a partire da acqua locale e da cereali come orzo, mais, o altri utilizzati per la distillazione. Un aspetto importante è che l’orzo maltato è essenziale, come richiamo alle radici scozzesi che hanno influenzato fortemente la nascita del whisky giapponese.

Fermentazione e distillazione: La fermentazione deve avvenire in Giappone, e il whisky deve essere distillato con alambicchi tradizionali, che sono caratteristici delle distillerie giapponesi. La distillazione stessa rappresenta un passaggio cruciale, in cui le tecniche locali, perfezionate nel corso dei decenni, si riflettono nella qualità finale del prodotto.

Invecchiamento: Come per altre categorie di whisky a livello mondiale, l’invecchiamento minimo deve essere di tre anni. Il disciplinare stabilisce che il whisky giapponese deve essere conservato in botti di legno per questo periodo minimo, con l’obiettivo di sviluppare sapori complessi e raffinati. Molte distillerie giapponesi utilizzano botti di quercia locale (come la Mizunara), che contribuisce a dare un profilo aromatico unico.

Colorazione e aromi naturali: Il disciplinare permette l’uso di coloranti, come il caramello, ma devono essere dichiarati sull’etichetta. Tuttavia, l’aggiunta di aromi o altri agenti artificiali non è consentita, così da mantenere la purezza del prodotto.

Imbottigliamento in Giappone: Un’altra regola fondamentale è che il whisky giapponese deve essere imbottigliato in Giappone. Questo garantisce il controllo totale del processo produttivo.

Il nuovo disciplinare impone quindi maggiore trasparenza in etichetta, il che obbliga a chiarificare se il prodotto rispetta tutte le norme richieste per essere considerato autentico whisky giapponese. In altre parole, solo i whisky che rispettano tali criteri potranno fregiarsi del titolo di “whisky giapponese”.

Ma come, non sapevi che il whisky si invecchia anche nelle ex fermate della metropolitana (e altri aneddoti mirabolanti)?
Qui dovrete farvi andare bene quello che riusciamo a mettere nel pezzo. Tipo che Kamiki, un blended malt whisky giapponese, è invecchiato in botti di cedro Yoshino Sugi, materiale tradizionalmente usato per i templi shintoisti. Mentre Togouchi è maturato in un vecchio tunnel ferroviario. Ancora più incredibile la storia della distilleria Shirakawa: fondata nel 1939 nella prefettura di Fukushima, iniziò a produrre whisky di malto dal 1951, ma solo per blend interni alla Takara Shuzo, azienda che l’aveva acquisita nel 1947.

Negli anni ’60, l’importazione di whisky scozzese portò alla cessazione della produzione di whisky a Shirakawa, e la distilleria fu chiusa e demolita nel 2003. Nel 2019, il managing director di Tomatin, Stephen Bremner, scoprì un vecchio tank con l’ultimo lotto di single malt Shirakawa, distillato nel 1958. Questo whisky è considerato il più raro al mondo, poiché rappresenta un esempio unico di una distilleria che non ha mai commercializzato i propri single malt.

Con sole 1500 bottiglie, lo Shirakawa 1958 è diventato un simbolo di un’epoca perduta del whisky giapponese, elogiato per la sua qualità straordinaria, e disponibile alla modica cifra di 25.000 sterline. Insomma, di aneddoti da raccontare al bancone ce ne sono moltissimi. Basta appassionarsi un po’ e mettersi a studiare.

Foto: Mike Tamasco

Bonus Track: Ma come, non sapevi che esiste il whisky tibetano?
Già. A Taiwan si fanno ormai da anni ottimi whisky, e di quelli indiani abbiamo già parlato approfonditamente in un altro articolo. Ma se vuoi veramente spaccare tutto, ti consigliamo di informarti sui whisky tibetani, come per esempio il Tibet Single Malt Pale Aged 8 Years – Jiu Hai Bu Gan.

Sono già arrivati in Italia, quindi non temere: il tuo studio teorico potrà presto trovare una parte pratica nel tuo bar di fiducia. E se poi anche questo dovesse diventare troppo popolare, non preoccuparti. Il magico mondo dei distillati non ti deluderà mai. “Ma come, non sapevi niente del rum haitiano?”. “Ma come, non hai mai assaggiato i distillati di agave siciliani?”. “Ma come, non conoscevi le Aquavit scandinave?”.

Insomma, ci sarà sempre modo di mostrarsi indignati per non aver potuto ordinare lo spirit desiderato nel foyer di un concerto di jazz etiope che miracolosamente non è andato tutto esaurito.

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