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‘Drops of God’ è la ‘Succession’ del vino

Dedicato agli orfani della famiglia Roy: la nuova serie franco-nipponica in onda su Apple TV+ regala sia una narrazione ad alto tasso di tossicità, che un bel po’ di consigli su un argomento spesso circondato da un’aura da iniziati di una setta massonica

Foto: Apple TV+

AAA Cercasi fan della famiglia Roy, con tutte le congiure e disfunzionalità che il nome (e l’impero mediatico di cui racconta Succession) si porta dietro: non disperate. È vero: la fortunata, magnifica serie targata HBO sta sfrecciando rapidamente verso i box dopo una corsa esaltante, e questo potrebbe rattristarvi. Ma, su Apple TV+, c’è già un nuovo pretendente al trono delle narrazioni dinastiche ad alto tasso di tossicità (sia per i protagonisti che per gli spettatori). È una coproduzione franco-nipponica in cui ci sono due sfidanti che non risparmieranno colpi pur di aggiudicarsi un’eredità da svariati milioni di dollari: si chiama Drops of God (titolo italiano: Nettare degli dei), e il premio di cui si parla consta di bottiglie di vino rare, ben invecchiate, pregiatissime. Perché Drops of God parla proprio di questo: del vino buono, che stupisce al primo naso, seduce al secondo, e conquista al sorso.

Come nella più classica delle situazioni, Drops of God comincia con una morte: quella di Alexandre Léger (Stanley Weber), rinomato conoscitore e amante del vino e di tutto ciò che ruota attorno al mondo dell’enologia e della viticoltura. Léger ha passato la vita a scrivere una serie di guide annuali sul vino (come se fosse I vini d’Italia del Gambero Rosso, ma di un singolo autore-superstar e sparsa per tutto il mondo) e a collezionare bottiglie. Per la precisione ottantasettemila, e questa è la prima parte della sua eredità. La seconda è una villa a Tokyo, dove si era trasferito dalla natia Francia. Insieme, il suo patrimonio ammonta a più di cento milioni di dollari. E, per assegnarlo in lascito, Léger non ha stilato un classico testamento, ma una Squid Game del gusto: tre prove basate sulla conoscenza della sua unica passione, pensate per due soli sfidanti.

La prima è Camille (Fleur Geffrier), sua figlia. Camille ha un palato eccezionale, una vera e proprio affinità naturale con i sapori e le sfaccettature del gusto che, ci viene subito detto, Alexandre non perde l’occasione di allenare, iniziandola fin da piccolissima alla pratica della degustazione alla cieca. Ma qualcosa, nella Camille ventinovenne che ci accompagna nelle storia del presente, si è rotto. Mangia solo riso, patate e fagiolini per «non sentire niente» e non tocca più vino. Quando il padre muore, non lo vedeva né sentiva da dieci anni per un misterioso evento-ombra, un qualcosa che l’ha fatta scattare, allontanandola dal suo dono. Il secondo sfidante è Tomine Issei (Tomohisa Yamashita), pupillo di Léger nei corsi di enologia che teneva in Giappone, coetaneo di Camille e «uomo che indovina i vini solo annusandoli». E infatti, a Issei basterebbero un paio di sniffate per dirvi nome, tenuta, e anno di produzione del vino in questione. La sfida, per Camille, sembra cominciare con un salita da prima marcia.

L’identificazione tra il punto di vista di Camille e quello dello spettatore è naturale e  immediato. Sommelier a parte, la furbizia – e la ragione del successo – di Drops of God sta infatti nel rendere partecipe chi guarda del viaggio dell’eroina-Camille fin dal primo minuto. Mentre la protagonista si muove di mentore in mentore, cercando di recuperare il distacco con il rivale, ben più abile di lei (come fosse un videogioco), anche chi si gode lo spettacolo si porta a casa due nozioni (anzi, ben di più), ottime frecce all’arco per il prossimo appuntamento galante o bevuta tra amici. Dunque, come si diceva, primo naso: il vino è versato nel bicchiere. Immobile, ne controlliamo il colore contro un superficie bianca. Poi annusiamo e descriviamo gli aromi che distinguiamo. A questo punto, è il tempo del secondo naso: ossigeniamo il vino, annusiamo di nuovo. In questo passaggio, Camille è soggetta a visioni e schizzi di colori in polvere tipo Holi Festival, ma si possono avere reazioni anche più composte, quindi non vi preoccupate se a voi capita tipo in bianco e nero. Infine, finalmente, l’assaggio. Ma attenzione, ché non si deve mandar giù. E, se a una degustazione vi fosse porta una pratica scatolina di carta tipo takeaway cinese – sì, è lì che dovete sputare.

Fleur Geffrier (Camille Léger) in una scena di ‘Drops of God’. Foto: Apple TV+

Come for the entertainment, stay for the lesson, insomma. Sia per vedere chi riuscirà a portarsi a casa l’eredità, ma anche per prendersi un po’ di appunti su un argomento spesso circondato da un’aura da iniziati di una setta massonica. Operazione che era, per la verità, già cominciata nel 2004. Perché Drops of God non è una sceneggiatura completamente originale, ma un adattamento da una serie manga molto popolare in Giappone: The Drops of God, creato dal duo fratello-sorella Yuko e Shin Kibayashi (in arte Tadashi Agi) e illustrata da Shu Okimoto. Manga che, nelle sue 44 uscite, ha compiuto una piccola rivoluzione nel modo in cui i giapponesi si approcciavano al “nettare degli dèi”.

La storia del manga vede due connazionali maschi, giapponesi, sfidarsi per l’eredità di un celebrato sommelier. Anche qui un duello, ma basato sull’identificazione e descrizione di dodici “vini celesti”, da cui il titolo della pubblicazione. The Drops of God fece davvero sensazione nel mercato nipponico, influenzando le vendite di alcune bottiglie in Asia orientale e rendendo il suo protagonista di finzione Shizuku Kanzaki un vero e proprio influencer del vino, capace di muovere grosse somme di denaro a ogni nuova uscita del manga. Se in un numero Kanzaki avesse bevuto, per esempio, uno Château Mont Perat 2001, il valore di quella particolare bottiglia sarebbe immediatamente aumentato, con tanto di lettori e nuovi appassionati, scatenati, pronti ad andare alla caccia di quel tesoro. Tanto che, nel 2010, il produttore di vino Jean-Pierre Amoreau si vide costretto a ritirare una particolare bottiglia dal mercato dopo che fu menzionata in The Drops of God, per paura che il prezzo cadesse vittima di speculazioni.

Fleur Geffrier (Camille Léger) mentre assaggia alla cieca un Chateauneuf du Papein in ‘Drops of God’. Foto: Apple TV+

Chissà se, in un prossimo futuro, ci troveremo ad affidarci ai consigli di Drops of God, la serie Apple, anziché fare ricorso ai vari aggregatori di vino della rete per scegliere la bottiglia da portare alla prossima cena con gli amici e cercare di staccare, come sempre, una reale figura. Al tempo e al finale di stagione l’ardua sentenza.

Il consiglio, nel frattempo, è di annotarsi per bene tutti i nomi che compaiono nella serie, si sa mai che (un esempio fra tanti: Château Cheval Blanc 2000, un millino a bottiglia). E poi, perché no, lasciarsi andare al piacere della degustazione di una storia dai ritmi serrati e dal palato paradossalmente facile, dopo la quale, probabilmente, vi verrà voglia di tornare a correre nei campi come i bambini, annusando fiori, muschi, e ogni cosa che vi capita a tiro pur di affinare quelle papille gustative (a un certo punto Camille si piega di soppiatto sulla terra di un vigneto e ne assaggia giusto una punta, e può essere un’ispirazione). Magari ve la vedrete con un buon bicchiere di vino. E state tranquilli che, dal divano, nessuno se ne accorgerà se mandate giù il sorso invece che sputarlo.

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