Rolling Stone Italia

Menu acustico di 15 portate a base delle migliori canzoni italiane sul cibo

Selezionate con un criterio ben definito: non si limitano a menzionare genericamente piatti, e ingredienti, ma fanno proprio venire voglia di mangiarle. Anche quando raccontano di maccheroni elettronici, lasagne punk e galletti rockabilly

Una ricerca di mercato di qualche anno fa ha rilevato che l’88% degli italiani parla di cibo mentre è a tavola. Di questi, il 67% parla di ciò che sta mangiando e il 20% è già proiettato a cosa mangerà nei pasti successivi. Era il 2018 ma non c’è motivo di credere che il dato sia cambiato in maniera significativa: noi italiani parliamo sempre di cibo, per commentare quello che stiamo mangiando, quello che abbiamo mangiato, quello che vorremmo tanto assaggiare. A tal proposito mi viene sempre in mente mia nonna. Ogni volta che chiamava a casa, puntualmente verso l’ora di cena, esordiva con «allora cos’avete mangiato per cena?», e non era per rassicurarsi che ci fossimo nutriti, era proprio per assicurarsi una quota di godimento del nostro pasto. Una sorta di FOMO alimentare, molto italiana e geneticamente trasmissibile: inutile a dirsi, sono identico a lei. C’è argomento più salva conversazioni del cibo? È universale, coinvolge tutti, è una necessità fondamentale per la sopravvivenza e al contempo una forma di espressione culturale, piacere sensoriale e socializzazione. Lo sanno bene quei cantanti italiani che hanno dedicato a maccheroni, pizza e champagne alcuni loro brani, che sono stati messi insieme — dal meno al più recente — in un “menu degustazione” acustico tutto da divorare, magari mentre mangiate la parmigiana in spiaggia.

Viva la pappa col pomodoro

Rita Pavone

1965

L’amuse bouche è stata parte della colonna sonora dello sceneggiato televisivo Il giornalino di Gian Burrasca diretto da Lina Wertmüller, in cui Rita Pavone interpretava il protagonista Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca. Viva la pappa col pomodoro si rivelò un grande successo e divenne la sigla del programma: la canzone, introdotta dalla melodia della cetra del maestro viennese Anton Karas, narrava di una rivolta dei ragazzi contro le autorità scolastiche del collegio frequentato da Gian Burrasca. Il ritornello è piuttosto didascalico e conosciuto da tutti, ciò che tanti ignorano è che il testo racconta il fervore giovanile degli anni a cavallo del ’68, esaltando le delizie della pappa con il pomodoro in contrasto alla minestra di magro (insipida e disgustosa) servita regolarmente ai ragazzi del collegio.

‘A Pizza

Aurelio Fierro

1966

Canzone scritta in napoletano che celebra il simbolo della cucina napoletana, ma che in realtà ha origini non napoletane. Il testo fu scritto da Alberto Testa, paroliere originario di Bergamo (già autore di Quando quando quando di Tony Renis, Grande grande grande di Mina e Discobambina di Heather Parisi), con un arrangiamento di Bruno Martelli, genovese. La canzone fu lanciata dal cantante campano Aurelio Fierro insieme a Giorgio Gaber al Festival di Napoli nel 1966. Quest’inno alla pizza napoletana si basa sui garbati doppi sensi di un innamorato disposto a fare follie per la sua amata, offrendole gioielli, cene eleganti a base di pesce e un lussuoso matrimonio con torte a cinque piani. A lei però interessa solo una cosa: mangiare una buona pizza. Chiamala scema. Fun fact: dopo aver portato questa canzone in tutto il mondo, perfino in Giappone, Fierro aprì una pizzeria chiamata Ma tu vulive a pizza a Santa Maria La Nova, ispirata al refrain della sua hit.

Il baccalà

Nino Ferrer

1969

Nino Ferrer, nome d’arte di Agostino Arturo Maria Ferrari, è stato un artista italo-francese che ha ottenuto maggiore notorietà in Francia rispetto che nel nostro Paese. Il baccalà rappresenta il suo personale tributo al (ma toh) baccalà, descrivendo ed elencando tutte quelle prelibatezze che in genere si preparano in vista di una gita fuori porta. Il testo è molto semplice: c’è un cestino carico di delizie varie che viene preparato tre giorni in anticipo per una gita fuori porta con “mammà” e che, tra i tanti prodotti casalinghi, contiene anche una bella porzione di baccalà. Sfortunatamente, proprio sul più bello, inizia a piovere e alla fine il cestino e il baccalà se lo mangiano in città. Alcuni anni dopo, anche Orietta Berti dedicherà una sua canzone al merluzzo sotto sale, incidendo Polenta e Baccalà (1972), brano che spopola tra i veneti.

Champagne

Peppino di Capri

1973

«Champagne per brindare a un incontro»: intro iconica di un pezzo ancora più iconico, composto da Mimmo Di Francia con testo di Depsa e Sergio Iodice. È una delle canzoni più famose del cantante campano Peppino di Capri, pubblicata per la prima volta nel 1973 come singolo durante la sua presentazione a Canzonissima. Diversi artisti hanno desiderato incidere la propria versione di Champagne, il che testimonia la forza e il successo del brano: in Italia, oltre a di Capri, è stata interpretata anche da Mino Reitano, Nico Fidenco e Andrea Bocelli. Il brano parla di un amore clandestino all’ombra di un calice di champagne, utilizzato per celebrare la relazione e i ricordi lasciati alle spalle. Si brinda con un bicchiere di champagne alla fine di questo amore, con un sapore malinconico di un passato che non c’è più.

Ma che bontà

Mina

1977

Scritta dal talentuoso compositore Enrico Riccardi, fu pubblicata nel 1977 all’interno del progetto Mina con bignè, in cui la cantante collabora con una variegata schiera di autori e arrangiatori, come Cocciante, Malgioglio e Shapiro. In particolare, la geniale e sincopata Ma che bontà racconta la storia di una sofisticata e saccente signora milanese alle prese con la sua incompetenza culinaria, che diventa oggetto di scherzi e situazioni esilaranti: «Ma che cosa sarà mai questa robina qua / Cacca?!» il brano pare essere una filastrocca prodotta nell’era delle DOP: «Vitello delle Ande? Bovino della Gallura? Barolo delle Langhe? Aleatico dell’Elba?», e invece venne composto nella stagione dell’aspic e delle tartine. Nel 2021 c’è stato un breve ritorno di popolarità, con la challenge #machebontà su TikTok che ha visto ristoranti e creator pubblicare video di cibo e preparazione di ricette di ogni tipo.

Maccheroni Elettronici

Alberto Camerini

1982

Lato B del 45 giri di Alberto Camerini Tanz bambolina, tormentone estivo dell’estate 1982, la canzone contiene già a partire dal titolo tutti i topos dell’artista italiano nato a São Paulo: come il «risotto arcobaleno» e la «torta di Arlecchino», chiaro riferimento al suo autodefinirsi un “Arlecchino elettronico”. Il pezzo parla di maccheroni elettronici, spaghetti nucleari, zuppa del robot, ricetta del computer, lasagne punk, galletto rockabilly e pollo di metallo elettronico, ma il sottotesto rimane una critica alla politica e alla cultura italiana. Vedi per esempio l’allusione al Presidente che cucina un “pasticcio all’italiana”, ma pure i richiami a mafia, terrorismo e camorra. Un primo piatto parecchio engagé, insomma.

Un gelato al limon

Paolo Conte

1984

Nel 1975, Paolo Conte incontra la donna che sarebbe diventata il suo amore eterno, Egle. Ancora oggi il modo in cui si sono conosciuti e innamorati rimane un mistero. Ciò che è certo è che Egle è stata una musa, un sostegno e una presenza costante nella vita di Conte, sia dal punto di vista personale che artistico. La loro storia d’amore è solida e duratura, e nel corso degli anni ha spesso ispirato il cantautore nella creazione di nuove e originali canzoni d’amore tra cui appunto Un gelato al limon, brano dedicato alla moglie e facente parte dell’omonimo album. La scena è ambientata durante un’estate rovente in città, e quale miglior emblema di un gelato al limone destinato a sciogliersi?

Menù

Patty Pravo

1985

La canzone che ha segnato la fine della permanenza della Ragazza del Piper all’interno della casa discografica CGD. Menù è stata scritta da Franco Migliacci e Bruno Zambrini, ed è il brano con il quale Patty Pravo partecipò al Festivalbar 1985, mai incluso in nessun album – d’altronde, pare non le sia mai piaciuta davvero. La canzone non fa venire l’acquolina in bocca come le altre di questa lista, ma si svolge durante l’ultimo appuntamento a cena di una coppia al capolinea («Non brindo mai ad un addio con chi non è più mio»), e lo utilizza a mo’ pretesto per appropriarsi di alcune immagini mutuate dal mondo gastronomico. Nonché per sottolineare l’importanza di godere appieno delle delizie della vita, in questo caso, del cibo: «Il menù fallo tu / Offrimi le tue specialità».

Il babà è una cosa seria

Marisa Laurito

1989

Il brano appartiene a quella league di canzoni di Sanremo così impresentabili da entrare nella storia della musica – a tal proposito andate ad ascoltarvi Che brutto affare di Jo Chiarello. Ma torniamo a noi: di certo Marisa Laurito non è ricordata per il talento musicale, eppure la canzone ha conquistato un posto — il 12° — a Sanremo 1989, cioè quell’edizione ricordata per avere avuto i peggiori conduttori della storia. Cosa c’è di meglio che sedersi a tavola e concedersi un’abbondante cena con i migliori piatti della cucina partenopea? È quello che deve aver pensato il paroliere e poeta napoletano Salvatore Colomba, un gigante della musica leggera italiana che aveva già scritto per artisti come Mina, Peppino di Capri, Claudio Villa e Fred Bongusto. Con l’aiuto del maestro Eduardo Alfieri, un altro pilastro della musica napoletana, fu creata questa canzoncina su misura per Laurito, che pare più uno sketch di Quelli della notte. Il testo elenca una serie di cavalli di battaglia – la pummarola, gli ziti al ragù, il maccherone, lo gnocco con la mozzarella – per elevare come principio fondamentale del mondo lui, il dolce inzuppato nel rum.

'Â çímma

Fabrizio de André

1990

La cima (‘Â çímma) alla genovese è un piatto tipico della città ligure, composto da una tasca di vitello ripiena di verdura, carne e formaggio e cucita con ago e filo; un piatto del riciclo perché la farcitura era costituita dagli avanzi della macellazione come cervella, animelle e poppa. Il brano in lingua genovese di un tardo De André è stato composto insieme a Ivano Fossati e fa parte di un progetto comune chiamato Le nuvole. Il testo dipinge poeticamente la realizzazione della ricetta, enfatizzando il suo aspetto rituale: durante la preparazione della cima, il cuoco mette una scopa di saggina in un angolo per proteggersi da eventuali maledizioni della strega; nel frattempo, la cima viene condita con erbe aromatiche, punzecchiata e cucita per “battezzarla”. Quando i camerieri prendono il piatto, si percepisce un senso di crudeltà verso il cuoco, che viene privato del risultato del suo lavoro. Lo scapolo taglia la prima fetta e il cuoco maledice coloro che superficialmente gustano il suo capolavoro culinario: «Mangiate, mangiate, non sapete chi vi mangerà». Non vi ricorda un po’ il film The Menu?

Fatte ‘na pizza

Pino Daniele

1993

«Fatte ‘na pizza c’a pummarola ‘ncoppa / Vedrai che il mondo poi ti sorriderà». Era il 1993, e Pino Daniele cantava il rito propiziatorio della pizza, una canzone blues un po’ ingiustamente trascurata. Un brano vivace e incalzante, ma anche critico: da una parte troviamo l’impegno politico e sociale («Mio caro Presidente, lei ha un’anima nobile, ma non limitiamoci sempre al perdono»), mentre dall’altra un atteggiamento di svago e spensieratezza («Prepariamo una pizza gustosa e godiamoci la vita»). Non è una presa in giro: Pino Daniele è sincero, desidera davvero un mondo migliore, vuole che la nazione ci aiuti a trovare una soluzione e ci consiglia onestamente di non autodistruggerci, fornendoci una guida pratica su come ottenere tutto ciò. Anzi, quando qualcuno di noi inizia a credere che sia possibile cambiare le brutture del mondo («La mafia è una brutta bestia e non vogliamo questa tradizione»), è lo stesso autore a suggerirci: «Prepariamo una pizza con deliziosa salsa di pomodoro». Ok che dobbiamo prendere tutto con un po’ di leggerezza, però non è sempre mica così semplice.

Rossetto e cioccolato

Ornella Vanoni

1995

La canzone fa parte di un bellissimo album del 1995, Sheherazade, prodotto da Mario Lavezzi: Rossetto e cioccolato è parecchio maliziosa, nel senso che non esiste soluzione di continuità tra eros e cibo, in un dolcissimo gioco di seduzione che parla di sciroppo di lampone, zucchero a velo e latte bianco, ma anche di calze nere, peccato e amore travolgente. Cibo e sesso, due elementi che si uniscono in un connubio dalle innumerevoli sfumature: la cucina e l’attrazione tra due persone camminano a braccetto, allo stesso modo in cui una buona torta può soddisfare desideri diversi. Vanoni, con il suo timbro inconfondibile, ci racconta di una tavola imbandita e di calze nere accavallate come segno di benvenuto in una stanza immensa, un gioco che sembra durare un attimo infinito, un’intensa esperienza di vita e un dolce peccato in cui «Ci si mastica poco a poco».

Pasta al burro

Bugo

2002

In una recente intervista, Bugo ha parlato dei suoi provocatori live di inizio millennio, dove poteva accadere che si servisse della pasta: «Pasta al burro, il titolo di una mia canzone. Una sera, mentre suonavamo, una ragazza ha preparato gli spaghetti e li ha serviti. Ricordo che all’ultimo concerto, a Milano, invitai gli amici che avevano suonato con me durante il tour, ognuno doveva rompere uno strumento. A fine serata il palco sembrava un rottamaio, erano stati lanciati pezzi fra il pubblico, un paio di persone si erano fatte male. Nessun ferito però e la gente non si lamentò, era una festa». Durante un periodo che precede di poco la composizione di questo brano, la pasta al burro diventa il simbolo culinario di un momento di difficoltà. Bugo, per mettere da parte qualche soldo, si trova costretto a lavorare in fabbrica, e le sue scelte alimentari ricadono puntualmente sul semplice ma economico comfort food: «Hai capito cosa io voglio / Non è certo pasta al pomodoro / Con coerenza e con l’orgoglio / Pasta al burro è il mio oro».

La soggettività del pollo arrosto

Samuele Bersani

2006

In questo brano di Samuele Bersani svela il suo universo lirico, posando il proprio sguardo visionario su un pollo arrosto all’interno di una rosticceria. Nonostante la sua condizione, l’animale conserva una coscienza viva e riflessiva: «(È) la soggettiva del pollo arrosto / Che guarda il mondo mentre si gira / Tra le ditate degli affamati / Che ormai si leccano la vetrina». L’universo si restringe alla strada di fronte al negozio, affollata da clienti e arricchita da insegne luminose: il pollo, che ruota incessantemente sul girarrosto, è riuscito a sopravvivere «Ai meteoriti / Ai pesticidi, alle polmoniti / Agli uragani, agli attentati», e ora osserva ciò che accade attorno a lui illudendosi di esserne il regista. Ebbene sì, se lo state pensando è esattamente così: spesso siamo tutti un po’ dei polli arrosto.

A mè me piac a Nutella

Lucio Vario

2014

È arrivato il momento del dessert, e che mondo sarebbe senza Nutella. Un capolavoro neomelodico diventato viralissimo su YouTube nel 2014, dove il (non più) piccolo Lucio interpreta una canzone d’amore dedicata ai trigliceridi e alla crema alla nocciola più famosa del mondo: «E cu chiss panzerott me putiss impica / A mè me piac a nutella u panin e a porchett / Co u prosciutt e co a pancett». Il piccolo Lucio si fa portatore delle istanze dei ragazzini sovrappeso della sua età, costretti dai genitori a seguire diete a base di fese di tacchino e brodini, quando invece desidererebbero gustarsi «du mozzarell nu sfilatin co a mortadell» o una bella pizza con la coca cola. Se vi state chiedendo che fine abbia fatto Lucio: è maggiorenne e non ha abbandonato la musica, anzi. Proprio l’anno scorso ha lanciato due nuovi singoli, Tann Vist a NapuleSi te Miett a Fa Ammore Insieme a Me: chissà se nel frattempo ha perdonato i genitori per gli stenti alimentari d’infanzia.

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