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La guida di Claudio Rossi per andar per funghi, per bene

Lo chiamano “uomo dei funghi” di Norbert Niederkofler, ed è vero che il rapporto con lo chef stellato e i suoi allievi ha ormai la forma di un micelio, unica testa e cuore. Abbiamo chiesto a Claudio Rossi come fare per andar a funghi senza provocarci il mal di pancia (o peggio).

Foto: Jesse Bauer via Unsplash

Ci sono storie d’amore che né nascono né finiscono, ma che, semplicemente, sono più grandi del tempo. Pane e burro. Uova e pancetta. Claudio Rossi, professione insegnante, e i funghi, che frequenta da oltre cinquant’anni come micologo ed esperto raccoglitore (anche se pensa che un termine più corretto sarebbe: micofago). Rossi appartiene alla generosa natura altoatesina, fresca e rigogliosa, ospitale per le piccolezze di sottobosco come i frutti del micelio. Ed è proprio in mezzo alle montagne che l’amore è sbocciato, e si è riconosciuto: «Mio padre era un appassionato raccoglitore di funghi, e da bambino passavo le estati nella sua casa natale in alta Val di Non, a Ruffrè». Luogo perfetto per le contaminazioni e scoperte a tema micologico. Occupa un posto speciale il ricordo (e l’emozione) di «trovarsi in un prato di larici nei pressi del monte Penegal circondato da centinaia di Mazze di Tamburo (Macrolepiota procera)». Il giro di vite, però, arriva verso i dodici anni, con un incontro che gli cambierà la vita.

Ci spiega Rossi: «Per varie coincidenze ho incrociato la strada di un famoso e rinomato micologo di Bolzano, il dottor Francesco Bellù, che ci ha lasciato prematuramente un anno fa. Con lui già a 13 anni frequentavo i primi congressi micologici di livello nazionale. Da li in poi l’amore per i funghi non mi ha mai lasciato, anche nei periodi più irrequieti dell’adolescenza, o durante gli studi universitari». Tra i segni particolari, Bellù era solito frequentare il St. Hubertus di Norbert Niederkofler. È durante una di queste cene che avviene un nuovo incontro: quello di Rossi con lo chef e la sua filosofia Cook The Mountain.

«Ci fu un piccolo diverbio sulla presenza nel menù di funghi marzaioli, Norbert intendeva funghi di marzo senza sapere che per i micologi esiste veramente un fungo chiamato Marzaiolo (Hygrophorus marzuolus). Da questo equivoco è scattata una scintilla tra il nostro mondo e la cucina di Norbert. Infatti da lì a poco abbiamo iniziato a frequentarci non solo al ristorante, ma anche nei boschi con i suoi cuochi, Michele Lazzarini, Mauro Siega e molti altri. Io personalmente ero anche appassionato di cucina e quindi mi sono subito immedesimato nel grembiule del cuoco, pensando a che cosa si sarebbe potuto estrapolare a livello di gusto dai diversi funghi. Si parla di specie comuni ma anche no, che molte volte rimangono trascurate dai raccoglitori di funghi meno esperti».

Foto: Wikimedia commons

Galeotto fu il Marzaiolo. Fast forward agli Anni Venti (del secondo millennio), e Claudio Rossi è “l’uomo dei funghi” ufficiale di Niederkofler & allievi. «Non ho mai incontrato nessuno che abbia affrontato i funghi in cucina così seriamente, intendo sempre al di fuori delle buone pratiche che possiamo trovare in tanti ristoranti. C’è la volontà di esplorare, di scoprire usi e varietà di funghi meno comuni, o che appartengono alle tradizioni del passato. Con chef Siega per esempio siamo subito entrati una sintonia, io cerco di trasmettere a lui le mie conoscenze scientifiche e lui mi racconta delle varie tecniche in cucina. Questo stimola entrambi a ricercare nei funghi nuovi sapori e nuovi abbinamenti culinari. Specie se consideriamo che, dal punto di vista dei funghi, viviamo anni drasticamente meno ricchi rispetto al passato».

Eh, sì. Una volta se ne mangiavano più varietà, e non è solo colpa del radicale cambiamento climatico che turba gli equilibri della natura da multipli decenni. Rossi sottolinea: «I piatti di funghi che, negli ultimi anni, si trovano comunemente nei ristoranti si sono impoveriti. Questo perché si stanno standardizzando sul mercato del fungo fresco, e l’offerta è calata molto in termini di varietà. Non solo: anche per i raccoglitori, da vent’anni a questa parte, le cose sono molto cambiate».

Rossi si riferisce a un Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) che, il 14 luglio 1995, modificò il quadro e il regolamento concernente la disciplina in materia di raccolta e commercializzazione dei funghi epigei [di superficie, ndr] freschi e conservati, e che introdusse «una lista limitata di funghi da poter utilizzare ai fini della ristorazione». Non solo: negli ultimi anni, le Regioni e Province Autonome hanno varato diverse leggi per regolamentare la raccolta dei funghi, limitandone per esempio il quantitativo pro capite.

La vita da Rambo dei boschi improvvisato, pronto a fiutare qualsiasi opportunità di raccolta, non appare dunque consigliabile. Anche perché, altro che sport per le masse: andar per funghi è cosa serissima, e questi piccoletti sanno sia deliziare che – come ci ha ricordato Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson – nuocere gravemente alla nostra salute. Per passeggiate sicure e battute di caccia straight edge, abbiamo chiesto a Claudio Rossi di stilarci un piccolo vademecum del cercatore. Si comincia, come consueto, dalle basi.

La prima volta

Non si scorda mai. Specie se ci si imbatte in un fungo “matto” capace di darci il torcibudella per giorni. Per iniziare in sicurezza e prevenire ricordi spiacevoli, seguire queste semplici istruzioni.

«Per prima cosa bisogna andare a fare una passeggiata nel bosco con un micologo per osservare, raccogliere, e rendersi conto che quello dei funghi è un mondo molto complicato. Proseguendo nella pratica è bene cominciare a studiare la micologia, almeno con un corso base ben mirato. Ne vengono istituiti annualmente da diversi gruppi micologici, spesso a titolo gratuito, oppure si possono frequentare i corsi istituzionali messi a bando da Province e Regioni. Questi ultimi sono finalizzati a formare nuovi micologi».

Fattisi ben tetragoni ai colpi di ventura, è ora di indossare gli stivali di gomma e aguzzare le narici. Aprendo bene gli occhi per i funghi che potremo saltare in padella la sera, e quelli invece con cui sarebbe meglio non interagire, neanche di lontano.

Funghi-Sì

Sono gialli, allegri, e cantano una canzone gioiosa al meriggio d’oro. Sono i Galletti, o Finferli, all’anagrafe Cantharellus cibarius. «Facili da avvistare per il loro colore acceso. Si riconoscono dalle pieghe, o false lamelle, che portano sotto il cappello. È una caratteristica fondamentale, perché aiuta a separare il finferlo da altri funghi non commestibili».

Quando si avvistano, scattano urla di vittoria. Sono i Porcini, avvistabili nelle versioni Boletus edulis, aestivalis, pinicola e aereus. Solidi e di bella presenza, attenzione a non confonderli con il Boleto del Fiele (Tylopilus felleus), riconoscibile in quanto «la spugna sotto il cappello è di colore rosa».

Mazze di tamburo. Potreste non conoscerle, ma questa varietà di funghi più “umili” si adatta al bacio per fritture, gratin, sughi e ricette di corpo. Si presenta con un caratteristico cappello a tesa larga, e perciò ben riconoscibile. Anche qui, però, occhio alle imitazioni: «meglio non confonderli con il Chlorophyllum rachodes, che non presenta le classiche zigrinature sul cappello. Inoltre, allo sfregamento la sua carne diventa rossa. Starne alla larga, in quanto può causare intossicazioni gastrointestinali».

Steccherino bruno, per intenditori. «Specie molto aromatica ma un po’ dura per il consumo, quindi spesso si fa un passaggio in essiccatura per poi macinarlo. Di colore marrone, si distingue da funghi simili perché la parte sotto il cappello è completamente ricoperta da aculei, e non lamelle, né tuboli».

Coprinus comatus, aka Fungo dell’inchiostro. «Cresce vicino ai sentieri e, arrivato a maturazione, si scioglie in un liquido nero, appunto chiamato “inchiostro”. Ovviamente ne viene consumato esclusivamente il cappello, peraltro di caratteristica forma allungata, solo da giovane».

Funghi-No

La mitologia greco-latina prevedeva l’esistenza di un trio di allegre signore pronte a determinare il destino degli uomini e la durata della loro vita. Si chiamavano Parche, o Moire, e in un certo senso la loro eredità culturale continua a vivere nella “Triade della Morte” fungina. «Si tratta di tre Amanita, velenose e mortali. La prima è molto bella, elegante, di colore verde. È l’Amanita phalloides. La seconda e la terza, entrambe bianche, sono l’Amanita verna e la virosa».

Cambia il nome ma non l’effetto: il Cortinarius orellanus e il Cortinarius orellanoides – in inglese il loro nome, Fool’s Webcap, si può tradurre all’incirca con “fungo dello stolto” – sono funghi mortali che colpiscono duramente i reni, e il cui effetto può manifestarsi dopo un’incubazione di tre come anche di quattordici giorni. «Per fortuna sono funghi poco attraenti. Sono di taglia medio-piccola, marroncini, banali insomma». Eppure sono questi, i natural born killer. Perciò guardatevi le spalle (e la punta delle scarpe).

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