Lunga vita alla maionese, la salsa più incompresa e bistrattata di tutte | Rolling Stone Italia
mi fai impazzire

Lunga vita alla maionese, la salsa più incompresa e bistrattata di tutte

Ci siamo fatti salutisti (o anche solo Millennial) e siamo diventati sospettosi verso la regina delle salse. Che non parla solo di storia della cucina o di un gusto diverso dato ai piatti, ma anche della nostra capacità di godere

maionese

Foto: Kelsey Todd su Unslash

Uova, olio, succo di limone: tre ingredienti semplicissimi che, uniti, creano la regina delle salse, unica nel suo genere. Sì, stiamo parlando della maionese, non solo famosa ma anche viatico di ossessioni, dibattiti (storici e non) e mode alimentari. Una semplice emulsione di uova e olio che però, già dalla nascita, ha saputo rendersi affascinante e divisiva, creando schieramenti, spezzando matrimoni (immaginiamo) e lasciandoci spesso con l’acquolina in bocca. La domanda allora è: com’è successo?

Cominciamo dalle origini, perché proprio da quelle partono le scaramucce attorno alla maionese. Secondo alcune teorie, la salsa sarebbe nata in Spagna nel XVIII secolo. Una delle storie più diffuse è legata infatti alla città di Mahón sull’isola di Minorca, in Spagna. Secondo questa leggenda, la maionese fu creata durante un assedio, quando il duca di Richelieu, nel 1756, conquistò l’abitato. Durante l’attacco, il cuoco del duca si trovò senza panna per preparare una salsa e decise di utilizzare uova e olio come base, creando così la prima maionese.

Un’altra versione attribuisce l’invenzione della maionese ai cuochi francesi del XVIII secolo, che la svilupparono come variante della salsa olandese. A complicare ulteriormente la questione arriva una terza teoria, sollevata recentemente dallo storico della cucina Luca Cesari, secondo cui la maionese potrebbe essere italiana. In un articolo recente, Cesari cita il cuoco italiano Francesco Leonardi, che nel 1790 documentò una ricetta di salsa simile alla maionese, con radici che affondano addirittura nell’antica Roma e nel Medioevo.

 

 
 
 
 
 
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Questa teoria apre un nuovo capitolo nel dibattito sulla paternità della salsa, e sposta l’origine della maionese dall’asse franco-spagnolo a quello italiano. Chi avrebbe mai pensato che la maionese potesse essere al centro di una tale soap opera culinaria? Non possiamo essere certi di quale sia la vera origine, ma l’ipotesi di Cesari è affascinante e fa ribaltare tutte le certezze, come in un colpo di scena da manuale.

A prescindere dalla notte dei tempi, c’è una cosa che non cambia: come vogliamo la nostra maionese. Secondo un focus group di 59 casalinghe argentine, la maionese ideale è: di colore giallo pallido, lucida, con un sapore leggero di limone e uovo, cremosa e facile da spalmare. Ma se si è mai provato a fare la maionese in casa, seguendo a menadito le ricette, si sa che non è proprio facile ottenere quel risultato. Forse è stata colpa della luna: alcuni dicono che, montandola durante il ciclo sbagliato del nostro satellite, la salsa “impazzirà” (e noi con lei).

 

 
 
 
 
 
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Indipendentemente dalle origini e dalle varie descrizioni, una cosa è certa: la maionese ha travalicato i confini, e si è affermata come una delle salse più dibattute al mondo. Oggi è una star internazionale, e conquista anche il web. I meme e le rappresentazioni nella cultura pop contemporanea hanno contribuito a creare un’immagine particolare di questa salsa, spesso associandola a stereotipi sulla bianchezza. Con il termine ironico di Mayo people, infatti, ci si riferisce in maniera non propriamente simpatica alle persone bianche, percepite come persone con un palato meno avventuroso o preferenze alimentari considerate blande, anche perché molto meno abituati a sapori forti rispetto ad altre culture. Non a caso spesso si scherza sui tedeschi, noti per l’uso abbondante di questa salsa, dicendo che per loro la maionese è il massimo della piccantezza tollerabile. In uno sketch, il comico Stephen A. Smith racconta di un uomo che ha messo la maionese nel caffè, poi si gira verso il pubblico e commenta: sapevamo già tutti che quest’uomo fosse bianco.

Tuttavia, come la sottoscritta, chi ama la maionese la difende a spada sguainata. Perché nell’identikit di chi mangia questa salsa c’è anche questo tratto: non temere di essere giudicati per le proprie scelte. A questo punto forse lo state pensando anche voi: la maionese è brat? O meglio, può un panino alla maionese fare il brat-tempo, nel nome dell’anticonformismo? Rispondo con un esempio: oltre il solito panino, il consiglio è provare la torta al cioccolato con la maionese, proveniente direttamente dagli anni Cinquanta. Audace, soprattutto se si decide di accendere il forno con queste temperature.

 

 
 
 
 
 
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Ma gli hater della maionese sono moltissimi, e in questa lotta spietata scendono in campo anche saggi e articoli. Per esempio lo studio In difesa della maionese, definita la “salsa dei cattivi”, che analizza l’origine di questo odio viscerale. Come ha spiegato il professore di psicologia Paul Rozin dell’Università della Pennsylvania a Popular Science, il disgusto per la maionese è legato a una reazione evolutiva che ci spinge a evitare cibi che possono sembrare dall’aspetto sgradevole. La sua consistenza densa e vischiosa può ricordare fluidi corporei, evocando una repulsione che deriva dall’evoluzione della nostra specie.

maionese

Foto: Pinterest

Ma la storia non si ferma qui. Perché, come se non bastasse, la reputazione della maionese è stata ulteriormente compromessa, in gran parte per colpa nostra. Who killed the mayonnaise? Siamo noi i veri assassini, i killer più spietati: noi Millennial. Sì, perché i numeri non mentono: i nostri dati di consumo di maionese sono molto inferiori rispetto alla generazione precedente. Sarà perché siamo meno legati al prodotto animale, sarà perché abbiamo paura dei grassi saturi o perché non ci piacciono i prodotti industriali ma non riusciamo a dirci che la maionese migliore è sempre quella compera (Heinz, Kraft o Hellmann’s, questo è il problema). Per tutte queste ragioni, la mayo è diventata vittima dei nostri cambiamenti culturali. Uno dei tanti veicoli di piacere che abbiamo sacrificato sull’altare delle nuove tendenze. 

Tranquilli, non è tutto perduto. Per chi, come me, alla maionese non vuole rinunciarci, e allo stesso tempo non può fare a meno di essere Millennial, la soluzione sta nell’innovazione. In ogni panino ne aggiungo un cucchiaio – no, non con lo Sleek, il cucchiaio di Achille e Pier Giacomo Castiglioni progettato nel 1962 per Kraft – per esempio nella sua variante vegana, fatta in casa. Usando materie prime vegetali, poco grasse e saporite (come l’aquafaba, acqua di scolo dei ceci), si possono ricreare risultati che non fanno rimpiangere l’originale. Ecco, sì, questo vuol dire essere Millennial.

Poi c’è un altro punto: nella cultura del dining contemporaneo (dico dining apposta, mica “mangiare”; traducete, se volete, con “gastrofighettismo”), la maionese, nuda e sexy, è considerata troppo del popolo, low brow, peggio: nazionalpopolare. Allora, intanto: dobbiamo ricordarci che Donald Trump, tra i massimi esponenti del populismo contemporaneo, è famoso per inondare le cose di ketchup, e mica di maionese? E poi: come modesta proposta, ci accodiamo a quanto scrive Kate Ng sull’Independent: da quando abbiamo iniziato a credere che offendere la maionese ci renda intellettuali? Forse, per una volta, (e tante a venire), dovremmo fare come Anthony Bourdain: il cui panino preferito conteneva, apparentemente, pochi ma precisi ingredienti: mortadella, provolone, senape e maionese. Se non è hybris una doppia salsa…

 

 
 
 
 
 
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Insomma, è arrivato il tempo che la maionese si prenda la sua rivincita. Ce lo dice internet, ce lo dicono le campagne pubblicitarie che promettono il lancio di un parfum de mayo, ma soprattutto ce lo dice la nostra pancia (e una certa voga per il cibo retrò): don’t touch my mayo, che sia vegana, classica, o al gravy.

 

 
 
 
 
 
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L’unica consolazione è che la maionese non è l’unica salsa a raccontare storie di adattamento e innovazione. È il caso del ketchup di banana, un condimento filippino a base di banana, zucchero, aceto e spezie: agrodolce e gustoso, soprattutto se abbinato in contrasto a sapori salati. Se l’accostamento vi pare strano, aspettate di sentirne la storia, perché l’inventrice del ketchup di banana è una donna filippina che ha rivoluzionato non solo la cultura gastronomica, ma tutto il paese. Si tratta della chimica Maria Orosa y Ylagan, la quale, durante la Seconda Guerra Mondiale, si inventò, oltre questa salsa, altre 700 ricette ricche di nutrienti per aiutare la popolazione a sostentarsi. Inoltre sviluppò un suo processo per la conservazione dei cibi. Buttalo via, in tempi così.

Altra salsa “d’impatto” è ed è stata quella di soia: tra gli insaporitori più antichi del mondo, la salsa di soia ha una storia lunga millenni. Sulla sua origine ci sono molte leggende, quello che sappiamo è che è apparsa in Cina oltre 3000 anni fa e che è ottenuta dalla fermentazione della soia con grano tostato, acqua e sale. Introdotta poi in Giappone dai buddisti, tradizionalmente vegetariani, per insaporire i loro piatti di verdure, è diventata una salsa fondamentale per tutta la cucina asiatica.

 

 
 
 
 
 
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Oltre a inzupparci il sushi o usarla sugli udon, la salsa di soia è fondamentale anche al di fuori della Terra, e cioè nello spazio. Gli astronauti infatti la usano per insaporire il loro cibo, che perde sapore a causa dell’umidità o dei cambiamenti nel senso dell’olfatto. Per questo, la vecchia salsa di soia diventa l’alleata principale delle papille gustative spaziali. Ma è amata anche sulla Terra: è il terzo condimento più venduto negli Stati Uniti, dopo il ketchup e (vai a indovinare) la maionese. Dobbiamo ringraziare Luigi XIV, proprio il Re Sole, che aveva la fissazione per questa salsa fermentata, se l’abbiamo in Europa da centinaia di anni.

Arrivati a questo punto, con l’acquolina per un barattolo di maionese proibito, l’avrete capito: anche le salse sono veicoli di memoria, simboli di identità e strumenti di innovazione, e non si limitano mai “solo” a condire. Che si tratti della resilienza della regina maionese, dell’innovazione del ketchup di banana o dell’eredità storica della salsa di soia, ogni salsa racconta una parte della nostra storia gastronomica e culturale. Così, la prossima volta che preparate un panino, pensate a che cosa una semplice salsa potrebbe aggiungere non solo al gusto, ma anche alla vostra esperienza. E lasciate in pace, ve ne preghiamo, la maionese.

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