Vi siete divertiti con la Brat summer? Bene, preparatevi a un autunno demure: tranquillo, serio(so) e che si comporta da bravo signorino, altro che le “monelle” con cui i telegiornali nazionali traducevano il termine popolarizzato dall’ultimo album di Charli XCX. Demure (si pronuncia demiùr) è una predisposizione, è allenamento, è la qualità principale delle donne per bene nelle epoche in cui scoprire le gambe ai tavoli sublimava in pensieri sessuali. E sono, naturalmente, vestiti che coprono per bene ogni parte del corpo. Via il clubbing, enter tè delle cinque.
Non portiamo l’esempio di un momento legato al nutrimento a caso. Se infatti “il brat” si è stabilito nei tempi del giorno che scavalcano i pasti, entrano nella notte (dove al massimo si schimica, però alle luci dell’alba), e che probabilmente inseriscono nel non-detto la scarsa attrattiva del cibo, il demure è all about food. Va bene, non al 100%, però quasi. Perché nutrirsi è tra le attività umane che sanno essere più caotiche, sporche, sensuali. E il demure tutto questo non lo manda giù.
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Il demure, nonostante la precisione lessicale, non è stato pescato a caso dal Longman Dictionary of Contemporary English. Le sue origini si rintracciano invece nel profilo TikTok della content creator trans Jools Lebron, la quale, tra parodia e realtà, pubblica tutorial su come essere «cutesy, mindful, respectful» navigando il mondo. Questa è infatti la trinità del demure: cute, consapevole, rispettoso.
@freeform mulan is the OG demure girl #Mulan #Demure ♬ original sound – Freeform
Il demure è ovunque: dalle cure dentali ai drag show, dall’abbigliamento in ufficio a come e cosa chiedere in albergo al servizio in camera. Ed è, anche, una guida per come stare a tavola (o vivere, apparentemente) in maniera compassata e gradevole. «I don’t do too much, I do just enough. I don’t go overboard, I don’t go underboard. I’m not the basement, I’m not the attic, I’m where you live»: non strafaccio, faccio il giusto. Non faccio cose extra, non mi tiro indietro. Non sono né la cantina né la soffitta, sono dove abiti tu.
@joolieannie #fyp #demure ♬ original sound – Jools Lebron
Il che, a pranzo cena o colazione, significa, sempre nel Vangelo secondo Lebron: non ingozzarsi di ali di pollo fritte dopo il lavoro, mangiare piatti ordinati e composti, ma non necessariamente essere a dieta. Se ti serve una certa quantità di calorie, allora go get it girl. Ma non introiettarne di più, né di meno. Salta all’occhio, e penso non sia un caso, che l’alcol non sia mai compreso nelle lezione di demure. Ah, e naturalmente si può e deve essere demure anche quando si ordina il proprio pasto.
@joolieannie Love @Longhorn Steakhouse #fyp #demure ♬ original sound – Jools Lebron
I meme sul demure – ma anche le riflessioni serie sulla sua portata culturale – già si sprecano. Per esempio: i video della content creator casalinga Nara Smith sono demure? E che cosa sono, allora, quelli delle fidanzate senza lavoro la cui occupazione è tenersi in forma e viziare il compagno, così in voga l’anno scorso?
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Tra sussurri, cura del proprio aspetto per non essere sovrabbondante, e ruolo di perfetto “angelo del focolare”, verrebbe da dire di sì. E se lo sono, perché ciclicamente torniamo ad affezionarci alla rappresentazione della donna (perché soprattutto di donne si parla) aggraziata, mai sovrabbondante nei modi tanto quanto nell’aspetto, ma soprattutto nel suo rapporto con il cibo, sia quello che prepara per sé che quello che cucina per gli altri? Forse la società vittoriana che ci meritiamo non è accaduta, in fondo, nell’Ottocento. E a rimetterci è sempre la nostra immagine.
@2poor4prada #demure #mindful @Jools Lebron ♬ original sound – 2poor4prada ☆゚.*・。゚
Inoltre, come nota Lesley Suter su Eater, stiamo entrando nello stesso periodo dell’anno in cui, nel 2023, ci trovammo servito un altro trend di mangiate & bevute, decisamente poco demure: l’eccesso, lo sfarzo, il caviale ammucchiato su piatti in cui proprio non dovrebbe stare, il ritorno agli accostamenti di una cucina vintage che di grassi, salse e condimenti se ne fregava di più – steak au poivre con patatine fritte? Mais oui!
Se da un lato si trattava di un recupero legittimo (e spesso svolto con concetto) di piatti divertenti che non vogliono necessariamente portarci alla filosofia, ma al godimento di sicuro, dall’altro la voglia di sbracare nel primo anno davvero libero dal Covid-19 ha portato anche qualche stortura, che fosse nel prezzo del piatto (se è sontuoso lo paghi di più, e se lo fanno tanti il mercato tira dietro), nello spreco alimentare, nella scarsa vitalità immessa in un settore, quello della ristorazione, in cui spesso si ha l’impressione di avere a che fare con degli zombie: morti che camminano e non si sa bene perché. È la legge del trend, bellezza (o degli stessi consulenti che dispensano consigli uguali a clienti diversi, chissà).
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Quale che sia l’ordine degli addendi, il risultato non cambia: siamo finiti tutti dentro una brutta copia di Balthazar o Da Silvano. E brutta non tanto nella qualità di ciò che viene servito, ma nello Zeitgeist che vorrebbero replicare. Sono operazioni, in altre parole, che non creano nostalgia ma vogliono sapere di nostalgia, seguendo la lore dell’Old Money – ve lo ricordate il trend dei giovani che si vestono da miliardari? Insomma, si stava meglio quando si stava peggio. E letteralmente, sembra, visto che si viene catapultati in un mondo in cui basta essere retrò e ammonticchiare elementi su un piatto per sentirsi benestanti.
Se, come spesso accade, gli esempi principali si riscontrano negli Stati Uniti, il balthazarismo très cool si trova piuttosto in forma anche da noi. Per nulla demure, sovrabbondante. Potrebbe proporre “un nuovo modo di fare un piatto vecchio”, affibbiandogli un nome ruffiano. Potrebbe caricare sul bere con cocktail dai nomi che inneggiano a una “vecchia maniera del fare le cose”. Oppure giocare alla seduzione con porzioni pop-porno perché “questa serata bisogna anche godersela”. Potrebbe vestirsi da luogo di carattere, scimmiottando il carattere (spesso individuale, e lì sì mica tanto demure, vero Keith McNally?) di chi ai posti che si imitano invece l’ha donato. Tra gli arrivati più recenti figura anche una sorta di evoluzione del concetto, con incluso show erotico. Altro che Crazy Pizza. Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente casuale.
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Demure ed eccesso, sfarzo e mediocrità, godere o accontentarsi. Nella lotta eterna tra una misura con insita una certa dose di ortoressia e il vulgar display of power (per dirla con i Pantera), la via di mezzo ancora non sappiamo trovarla. Quello che sappiamo con certezza, invece, è che tra diete a base d’acqua, mukbang, girl dinner, balthazarismo e ora, sì, anche il demure, a vincere sono sempre i trend, e mai quello che mettiamo sulla tavola.
Allora come sempre lo ripetiamo, e continueremo a ripeterlo. Forse è una posizione, questa, davvero-davvero vintage, per non dire retrograda: finché il cibo rimarrà un’idea, e non sarà un’evidenza; finché non riusciremo a venire a patti con l’idea che potremmo, per una volta, ogni tanto, semplicemente badare a mangiare; allora, a questa cosa che ci piace (sembra) così tanto, non porteremo davvero rispetto. Finché ci perderemo dietro ai meme, forse impareremo a essere cute e mindful e respectful. Che poi sono tutte qualità meravigliose. Però forse possiamo lasciarle lontano dal cibo, per una buona volta.