L’aglio profuma, l’aglio in camicia non ha senso e l’aglio nero fa meglio alla salute dell’aglio bianco. Solo una di queste affermazioni è falsa. L’obiettivo di questo pezzo è scoprire quale e nel frattempo imparare più o meno tutto quello che c’è da sapere sull’aglio. L’ambizione è notevole, perciò partiamo dalla testimonianza di un altro che ambiva a sapere tutto della sua disciplina e riportava le sue convinzioni con la sicurezza di chi ha molto a cuore ciò che studia ma soprattutto di chi ha pochissimo timore di essere smentito.
La testimonianza riguarda un aspetto dell’aglio su cui siamo tutti d’accordo, fin dai primordi della civiltà: l’aglio fa bene. Pedanio Dioscoride, botanico della Roma Imperiale di Nerone che servì come medico nell’esercito romano, nella sua Materia medica, enciclopedia delle erbe medicinali che fu letta per millecinquecento anni, scriveva a proposito: «Stimola l’intestino, asciuga lo stomaco, provoca sete e riduce le escrescenze cutanee. Se integrato regolarmente nella dieta, è un efficace diuretico e aiuta a eliminare i parassiti intestinali. Quando macerato nel vino, è eccellente contro i morsi di serpente e i morsi di cani rabbiosi. Consumandolo crudo o bollito, schiarisce la voce e lenisce la tosse. Se bollito insieme all’origano, elimina pidocchi e cimici. Bruciato e mescolato con il miele, è utile per trattare macchie bianche della pelle, herpes, eruzioni cutanee dovute a problemi epatici, lebbra e scorbuto. Bollito con legno di pino e incenso, allevia il mal di denti. Combinato con foglie di fico e semi di cumino, è efficace come cataplasma contro i morsi del topo ragno. Utilizzato insieme alle olive nere, ne amplifica l’effetto diuretico. È anche utile per alleviare i dolori del parto e favorisce l’espulsione della placenta». E se lo assumete regolarmente per almeno trenta giorni, potrete sconfiggere frotte di barbari a mani nude. No, questo forse no. Ma tutto il resto non è così lontano dal vero.
Gli effetti benefici dell’aglio sono elencati nei libri di botanica e farmacopea di tutte le maggiori civiltà antiche. La cosa più curiosa è che tutti, indipendentemente uno dall’altro, sono giunti a conclusioni molto simili. Egizi, greci, romani, cinesi e indiani hanno sempre prescritto l’aglio per usi medici. I quali, vedremo tra poco, sono stati in buona parte confermati dalla medicina moderna, sia come medicamenti sia come strategie di prevenzione.
In Egitto, in epoche remote, pare che con sette chili e mezzo di aglio si potesse comprare uno schiavo maschio sano. Erodoto racconta che Cheope ordinò che sulla piramide di Giza venisse incisa la somma di denaro per comprare l’aglio e le cipolle per gli operai. Nel papiro Codex Ebers, lungo venti metri, si trovano descritte circa settecento formule magiche e prescrizioni mediche, molte delle quali prevedono l’uso dell’aglio. E a definitiva conferma del rapporto privilegiato tra gli Egizi e l’aglio, quando nel 1922 venne riportata alla luce la piramide di Tutankhamen, dentro ne furono ritrovati alcuni spicchi. Non è chiaro perché fossero lì, se per motivi religiosi o perché caduti a uno schiavo durante la pausa pranzo, ma c’erano.
A leggere la Bibbia, la seconda ipotesi sembra plausibile. Agli ebrei schiavi in Egitto venivano dati aglio e altri tipi di piante del genere allium (cipolla, scalogno, porro, ecc.) perché si pensava che rendessero forti e più produttivi. L’abitudine indotta deve essersi trasformata in predilezione: quando lasciarono l’Egitto con Mosè, è scritto che sentivano forte la mancanza «dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio» (Numeri, 11:5).
Sempre perché erano convinti che l’aglio rendesse più forti, Aristofane scriveva: «Ingoiate spicchi d’aglio. Ben rinvigoriti da esso, avrete il più grande ardore per la battaglia». I greci lo davano agli atleti delle Olimpiadi; c’è chi si è chiesto se fosse anche stata costituita una qualche commissione che controllasse i dosaggi di aglio, per evitare che qualcuno corresse, saltasse o lanciasse fortissimo non per talento e allenamento ma per aglio. Che comunque, in un contesto in cui gli stessi atleti, è noto, si cospargevano d’olio d’oliva prima delle gare, l’immaginario mediterraneo diventa sempre più reale, tradizionale, antico e basato sul soffritto.
Se è vero che la dieta mediterranea l’ha inventata un americano, Ancel Keys, nel Novecento, il soffritto però è nostro così profondamente e in modi così diversi che ci possiamo costruire un’identità senza tema di smentita. E possiamo anche dire a testa alta che fa bene da sempre, dacché anche Ippocrate, il padre della medicina occidentale, incluse l’aglio nel suo armamentario terapeutico, sostenendone l’uso per disturbi polmonari, come agente purgante e per le escrescenze addominali, in particolare uterine.
A proposito di utero e Ippocrate: nel libro Saporitissimo giglio di Mitì Vigliero Lami (Marsilio, 2002) assieme ad altre decine di storie sull’aglio è riportata la “prova del profumo”. Sembra che Ippocrate, per accertare la fertilità di una donna, facesse bollire una testa d’aglio e, per mezzo di un pessario (struttura anelliforme da inserire nell’apparato riproduttore femminile), la infilasse nella vagina della donna per un giorno intero. Se il giorno dopo il fiato della donna sapeva di aglio, significava che era fertile. Può sembrare un rito pagano più che cosa medica, ma la scientificità di questa prova è meno primitiva di quel che appare. La chimica alla base dell’odore (del profumo, diremo d’ora in poi) dell’aglio spiega, infatti, perché quel profumo è così persistente e pervasivo, e perché quindi almeno in parte quella prova non era assurda.
L’aglio intero profuma poco e ha pochi effetti benefici in sé, la magia avviene quando si taglia o si rompe. Solo a quel punto l’alliina, amminoacido contenuto nell’aglio, si trasforma in allicina, composto solforganico e fonte dei benefici e del profumo. Insieme con l’allicina si sprigionano altre componenti, quasi tutte a base di zolfo, tra cui l’allil metil solfuro, che è tra i più difficili da assimilare per l’organismo: assorbito nell’intestino, passa nel sangue e poi negli altri organi, tra cui reni, polmoni e pelle, e viene infine espulso attraverso l’urina, il sudore e il fiato. Il tutto ci mette circa ventiquattro ore.
In oriente, in Cina — che oggi produce quasi l’80% dell’aglio mondiale e ne è anche il primo consumatore, con 14,3 Kg di aglio pro capite (se suona spropositato è perché lo è: il secondo è la Corea del Sud con 6,2 Kg, noi italiani siamo molto indietro con circa 800 grammi) — si diceva, già nel 2000 a.C., che l’aglio fosse una parte fondamentale della dieta, soprattutto combinato con la carne cruda. In medicina invece era usato per curare il mal di testa, l’insonnia, la tristezza, la depressione e l’impotenza sessuale negli uomini.
Ma per rimarcare ancora, se non fosse ancora chiaro che, davvero, tutti hanno sempre detto più o meno le stesse cose sull’aglio: il Talmud lo raccomanda per mantenere vive le relazioni coniugali e Galeno, medico romano le cui idee hanno dominato la medicina fino al Rinascimento, gli attribuiva la capacità di eccitare Venere. Uno degli argomenti tipici dell’ateismo è che se tutti i testi sacri scomparissero dalla faccia delle terra e dovessimo riscriverli, verrebbero fuori molto diversi dagli originali, perciò non si può sostenere nulla con certezza che riguardi Dio; al contrario, se scomparissero tutti i libri scientifici (o quelli sull’aglio), piano piano, attraverso congetture e confutazioni, torneremmo a riscrivere le stesse cose. Ecco, in questa analogia l’aglio è la scienza, l’inconfutabile certezza.
Infatti la scienza moderna ha confermato quasi tutto, naturalmente con infinite postille e precisazioni, compreso che tiene lontani i vampiri — non quelli delle favole, ovviamente, ma altre bestie vere che succhiano il sangue sì. Poi, a partire da Pasteur che nel 1858 ne dimostrò le proprietà antibatteriche, la scienza ha portato evidenze anche sulle sue proprietà antinfiammatorie, ipolipemizzanti (abbassa il colesterolo) e ne ha accertata una funzione antiossidante che aiuta nella prevenzione dei tumori.
Le ricerche più recenti, poi, hanno preso in considerazione anche l’aglio nero, che non è un tipo di aglio scoperto solo di recente, ma un prodotto umano. L’aglio nero è aglio stagionato in condizioni controllate di temperatura (60-90 °C) e umidità (60-90%) per un periodo che va dai 10 agli 80 giorni. In questo processo, diventa nero grazie a una reazione di Maillard e perde il sapore pungente diventando più dolce. Secondo questi studi, l’aglio nero aumenta gli effetti benefici rispetto all’aglio fresco, ha meno effetti collaterali ed è più facile da consumare. Il che, in un’ottica prettamente farmacologica, è sicuramente un vantaggio, perché il dolce è un gusto più semplice da gestire. Dal punto di vista culinario invece è un dato poco utile, perché anche l’aglio bianco può diventare dolce o almeno perdere buona parte delle sue “punte”, se cucinato a dovere.
Inoltre, verrebbe da dire che il confronto è malposto fin dall’inizio, perché l’aglio nero è aglio lavorato, quindi confrontarli assomiglia molto a confrontare, per esempio, l’aglio fresco con l’aglio bruciato: l’aglio bruciato sarà meno benefico e più difficile da consumare, ma di nuovo, è una conseguenza della manipolazione. Allora diremo che è vero che l’aglio nero fa meglio alla salute dell’aglio fresco, come lo è che l’aglio fresco può essere buono, senza “punte” e addirittura dolce senza che diventi per forza nero. Vediamo come.
Sull’aglio crudo si può fare poco: per quanto lo si combini con altri ingredienti, resta sempre un po’ pungente. Non che sia un problema, anzi, ma in questo paragrafo cerchiamo la dolcezza. Se invece lo cuociamo, possiamo fare grandi cose. Nella nostra parte del mondo, l’aglio si mette anche nelle zuppe e nei brodi, ma il più delle volte si cucina nell’olio, quasi sempre in un soffritto, saltuariamente per farlo confit. La ricetta dell’aglio confit è talmente automatica che non val la pena analizzarla; basta mettere gli spicchi interi in una teglia, un pentolino o una cocotte, sommergerli d’olio e lasciarli in forno un’oretta finché non si ammorbidiscono; a quel punto otterrete spicchi d’aglio spalmabili. Per il soffritto la faccenda è più spinosa, perché non ci sono ricette impeccabili e perché entriamo nell’autobiografia, e a falsare l’esperimento subentra la nostalgia; che ci porta a pensare che il modo migliore sia come l’abbiamo sempre fatto noi.
Vabbè, ma allora: come si fa il soffritto (forse una delle tre domande più importanti della vita)? Stando sul generale, però, è un tema troppo vasto. Circoscriviamo la domanda. Come si soffrigge l’aglio per un piatto specifico, gli spaghetti aglio olio e peperoncino, che tanto ci rappresentano e che, alla fine, anche se non si può dire, non sanno quasi mai di niente?
Dunque: mettasi l’aglio in una padella d’alluminio o, se vi sentite fancy, di rame; in ogni caso non di altri materiali, se no il nostro amico bianco viene bollito più che soffritto. Nell’olio, a freddo, si aggiunga l’aglio tritato non troppo fine. Sulla finezza vi lasciamo margine di personalizzazione, ma è obbligatorio, imprescindibile e incontrovertibile che venga messo a freddo, nell’olio freddo (qui ci si schiera, assumendosene i rischi). Questo perché l’aglio si brucia molto facilmente, è molto più delicato della cipolla, e noi non vogliamo l’aglio bruciato perché è più amaro, fa male e soprattutto non dà sapore all’olio. Ora si aggiungano i rametti di prezzemolo, che da un po’ vanno di moda e su cui non c’è molto da dire, perché alla peggio sono inutili, quindi se vi piacciono metteteli. A questo punto accendete il fuoco basso e restate lì, concentrati a guardare l’aglio che si trasforma lentamente.
Ora, cose da tenere in mente mentre fissate l’aglio che comincia a scaldarsi. Primo: l’aglio dorato è aglio bruciato, perché, ripetete con me, l’aglio non è la cipolla! Secondo: l’aglio deve dar sapore all’olio, quindi se lo mettete intero non sprigiona le sue componenti più buone, per questo l’avete tritato… continuate a fissarlo, finora va tutto bene. Terzo: la fiamma deve restare bassa perché vogliamo che l’aglio dia sì sapore, ma che rimanga bianco. Quarto: quando l’olio comincia a sfrigolare, state ancora più concentrati, spegnete la musica, il telefono, la televisione, la cappa se serve… concentratevi sullo sfrigolio.
Quinto: quando comincia a cambiare colore, da bianco duro a bianco morbido (fidatevi) aspettate ancora qualche secondo. Sesto: se siete alle prime armi, a questo punto potete aggiungere un cucchiaio di acqua di cottura della pasta per fermare la frittura e procedere ancora un paio di minuti con la cottura dolce dell’aglio. Sesto bis: se siete più esperti, aggiungete solo il prezzemolo tritato, ché ferma la cottura, e spegnete. Settimo: a questo punto, aggiungete il peperoncino come preferite, tanto quello funziona comunque, ma è meglio non soffriggerlo. Ottavo: quando è pronta la pasta, riaccendete sotto l’olio, aggiungete la pasta quando ha ricominciato a sfrigolare, mescolate bene e poi minestrate. Otto bis, concessione: se siete alle prime armi, vi è concesso risottare la pasta per qualche minuto con la sua acqua di cottura, è una scorciatoia ma può servire per imparare.
All’assaggio, se l’aglio profuma ed è ancora bianco ma la pasta sa effettivamente di aglio, siete stati bravi. Se l’aglio è addirittura dolce e vi mangiate con gusto anche quello che è rimasto in fondo al piatto quando è finita la pasta, siete stati bravissimi. Se invece è tutto amaro o non sa di aglio, ma solo di peperoncino, riprovate e concentratevi di più. Soffriggere l’aglio è forse la tecnica fondamentale della cucina mediterranea e la più difficile, proprio perché non ci sono ricette, quantità e tempi definiti. Ci siete solo voi, e l’aglio.
Insomma, il problema dell’aglio è che o sa troppo di aglio o non sa per niente di aglio o, vabbè, sa di bruciato. Se ci pensate, la cipolla è praticamente impossibile da sbagliare, sa sempre di cipolla. E questo ci porta al problema dell’aglio in camicia che, come dicevamo in apertura, non ha alcun senso. Ragioniamo ancora sui nostri spaghetti: se già è difficile che sappia di aglio con l’aglio scamiciato e tagliato, che sapore potrà mai dare uno spicchio d’aglio in camicia, anche se schiacciato leggermente? Si dice che serva per i piatti più delicati, come il pesce; ma di nuovo, se mettete l’aglio tritato a freddo nell’olio e rimanete concentrati, sarà tutt’altro che invasivo, anche se nella padella c’è un filetto pregiatissimo.
Vien da pensare che l’aglio in camicia si usi più per estetica. In effetti, se è rosso la camicia è molto bella. Ma anche per evitare che si bruci, perché la corazza protegge. Ma allora è davvero inutile per il gusto, è solo un sotterfugio per non dover affrontare la parte difficile della preparazione, quella in cui siete solo voi contro di lui, senza aiuti, senza difese, senza scuse: il primo che si distrae si brucia.
E invece, dopo aver provato diverse ricette per scrivere questo pezzo, tocca ricredersi, perché rimane vero che nel soffritto l’aglio in camicia è piuttosto inutile, ma negli arrosti o in altre cotture lunghe da forno diventa molto interessante. Per esempio, nel pollo arrosto con quaranta spicchi di aglio in camicia, in cui tutti e quaranta si mettono a cuocere nei sughi del pollo per un’ora e mezza e alla fine diventano dei piccoli e carinissimi contenitori di dolce pasta d’aglio, da estrarre spremendoli per condirci il boccone di carne. Così, l’aglio in camicia ha molto senso.
Direi che è tutto. Abbiamo gli esiti delle analisi delle tre affermazioni da cui abbiamo cominciato e ora sappiamo qual è quella falsa. Sì, l’aglio nero fa meglio di quello bianco, qualora ci interessasse aprire una farmacia. No, l’aglio in camicia non è completamente inutile. Sì, l’aglio profuma, se non lo rovinate profuma. Profuma, è conturbante e seduttivo. E se non vi fossero bastate la Venere di Galeno, le raccomandazioni del Talmud e le prescrizioni dell’antica medicina cinese, sappiate che Jennifer Lawrence qualche tempo fa, ospite di un late show americano, ha detto che il suo profumo preferito era quello del soffritto.
«Da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: ‘a fess’. Io rispondevo l’odore del soffritto con l’aglio. La domanda era: che cosa ti piace di più, veramente, nella vita? Ero destinato alla sensibilità. Ero destinato a diventare uno scrittore. Ero destinato a diventare Jennifer Lawrence». Semicit.