C’è solo una cosa in Italia che divide più della ricetta delle lasagne la domenica, ed è chi ce l’ha più grosso, il Porcino, quando nel paese arriva tempo di raccolta e in ogni bar si sussurrano pettegolezzi su chi abbia fregato chi durante la caccia. Un rito che, da generazioni, saluta l’estate che passa, celebra la fertilità della natura, e crea faide famigliari irrisolvibili. Battute (all’ultimo fungo) a parte, finferli, champignon, mazze di tamburo, chi più ne ha, più ne metta, significano una singola cosa: divertimento, esplorazione, gusto, casa. Felicità.
Lo sa bene Michele Lazzarini, chef di Contrada Bricconi, ex-sous di Norbert Niederkofler al St. Hubertus, che dal 2022 realizza un piccolo sogno: portare il fine dining nella cucina di montagna – riecheggiando naturalmente la filosofia del maestro Niederkofler – con un twist di Val Seriana. Luogo natale e dell’anima, “paesello” dove appunto, ai di’ dei funghi, l’aria vibra ancora elettrica di sfida: tu quanti ce n’hai? Chi ha fatto il cesto più pieno?
«La mia frequentazione con i funghi inizia da che ho memoria, tutto il paese si stringeva attorno a questo momento di passaggio stagionale. Per me è stato importante per legarmi ancora di più alla natura. Si vedevano i funghi tradizionali, certo, il Porcino è sempre il preferito di tutti. Si parla però di un mondo davvero vasto. Quando ero al St. Hubertus ho avuto la fortuna di conoscere un grande micologo, Francesco Bellù, che mi ha introdotto a specie nuove e dimenticate. Anche oggi in Contrada lavoriamo seguiti da un micologo, Pierino Vigoni. È sempre bello mettersi a lavorare su una nuova specie insieme a lui, capire come la si può trattare in cucina».
Se si considera che il consumo di funghi si è fortemente standardizzato negli ultimi decenni, andando a escludere alcune varietà tradizionalmente raccolte e consumate, si capisce come lo spazio di apprendimento sia virtualmente sterminato. Per Lazzarini questo è stimolo e divertimento: «Prendi lo steccherino bruno (Sarcodon imbricatus): è un fungo non bello, la sua texture da cotto non è nemmeno piacevole al palato. Però, se lo si fa essiccare, sprigiona un potenziale nascosto, ed è perfetto per insaporire brodi e salse. Oppure lo maciniamo e lo usiamo per dare sapore. Un altro dei miei preferiti è lo Sparassis crispa, ha la forma di un cavolfiore ed è molto presente nella tradizione piemontese, soprattutto sott’olio. Cucinato ha la consistenza della carne di pollo».
In Contrada, però, non manca l’esperimento, per esempio con la fermentazione. Per estrarre l’umami dal fungo, certo, ma anche per conservare. «Per noi il raccolto inizia in primavera, quando spuntano le prime spugnole. A ottobre ormai i Porcini se ne sono andati e rimangono gli ultimi Chiodini, che sbucano vicino ai tronchi d’albero. Questa stagione naturalmente è un po’ una festa, infatti al momento il nostro speciale fuori menù è dedicato proprio ai funghi: base con ciò che si raccoglie, poi salsa fermentata a base di funghi misti e schiuma con polvere di Sarcodon».
Lazzarini non è l’unico allievo illustre di Niederkofler ad avere un rapporto speciale con i funghi. Anche Mauro Siega, Executive Chef di Atelier Moessmer Norbert Niederkofler, possiede quella connessione speciale con il “selvatico”. Forse sono i natali, che anche per Siega giungono tra le montagne, a Maniago in Friuli. Una sensazione, quella della valle, che «porta alla libertà e alla soddisfazione mentale». E allora sì che la creatività corre a briglia sciolta. Perché «il contatto diretto con la natura ci porta a valorizzare, capire ed apprezzare meglio qualsiasi tipo di prodotto si prenda in considerazione». Ciò vale anche per il foraging, annoverato tra i principi-base dell’Atelier e fondamentale per comprendere appieno i cicli della natura e l’importanza della lavorazione di ogni singolo prodotto che si “ruba” all’ambiente. Compresi, per l’appunto, i funghi.
«I funghi sono una delle meraviglie del bosco. Sono sacri quasi, piccole reliquie attese tutto l’anno, e quando escono per noi è una festa. Nel nostro modo di interpretare Cook the Mountain [filosofia di Niederkofler, ndr], i funghi rappresentano una bella fetta della torta, dato che vengono utilizzati e soprattutto conservati in mille modi diversi. Per fortuna abbiamo il caro Claudio [Rossi, ndr] sempre con noi, un pozzo di saggezza».
E si sa, quando il micologo è straordinario, non si potranno che trovare funghi straordinari: «Sono molto affezionato al Marasmius oreadas, detto anche Gambasecca o Fungo delle Streghe perché cresce nei prati in piccoli cerchi, anche se noi lo chiamiamo “fungo aglio”. Infatti se messo sott’olio rivela un aroma di aglio meraviglioso, perfetto per insaporire. Un altro fungo inusuale che utilizziamo è il Russula cyanoxantha, detto anche Colombina Maggiore. Per ora il piatto “micologico” che mi ha reso più orgoglioso è stato il nostro ditalino con crema di funghi fermentati, olio al fungo aglio e polvere di porcini. Cremoso, acido, aromatico, succulento».
Alla domanda se, oltre a un gran gusto, ci fosse altro che lega i funghi alla vita, Siega non ha dubbi: «I funghi insegnano che non bisogna mai smettere di essere curiosi. Si deve invece esercitare pazienza, e costanza nella ricerca».
Non la pensa diversamente Alberto Quadrio, né il suo curriculum, che parla tutto la lingua della scoperta, dell’incontro, e della sfida. Piemontese di Gattinara, Quadrio è stato in Giappone, Francia, al Geranium di Copenaghen, per un pelo non a New York, quando Alain Ducasse, proprio sotto pandemia, gli avrebbe voluto affidare le redini del suo nuovo progetto americano (che proprio la pandemia ostacolò). E poi è tornato a Milano, all’hotel Portrait, che ha lasciato a luglio per divergenze di visione. Lì è entrato nel discorso pop-olarissimo, facendo prendere il torcibudella ai gastrofighetti con un piccolo capolavoro, pasta in bianco bi-ingrediente (fusilloni e croste di Parmigiano Reggiano 36 mesi) messa in carta a 26 euro. Il dibattito è stato tutto attorno al prezzo, alla tecnica, a cosa vuol dire qualità. Ed è stato un peccato. Perché quella pasta parlava, in primis, della scelta di campo di Quadrio: stare con la parte dell’ingrediente, fresco, da purista. Lavorato intelligentemente per sprigionare una goccia di sapore indimenticabile.
Non stupisce che anche lui vanti legami con piccoli mondi antichi, dove la golosità si trova nel bosco, durante il tempo dei funghi. «Nonna faceva i pioppini sotto agro, i porcini si impanavano e friggevano. La stagione dei funghi era un momento molto sentito per il paese, e lo è ancora, non è raro che sbuchino foto di cesti pieno di bottino. Dei funghi nostrani i miei preferiti sono gli Ovuli (Amanita caesarea), eccezionali mangiati a crudo con solo un po’ d’olio sopra e qualche scaglia di Parmigiano. Meno si toccano, meglio è».
Esplorazione nel locale, dunque, ma anche nel brado e sconosciuto. Perché l’estero ha regalato a chef Quadrio nuove conoscenze anche in materia di funghi, sia nelle varietà che nelle preparazioni. «In Oriente il fungo viene trattato in modo diverso. Noi di solito lavoriamo per estrarne tutti i succhi, loro invece lo usano come spugna, pensiamo alle zuppe. O è messo direttamente a crudo, oppure lo disidratano e poi ne fanno diffondere il sapore nei liquidi, così estraggono il famoso umami». Forse possiamo dire che anche l’idea per la pasta in bianco della discordia provenga da questo modo inconsueto, almeno dalle nostre parti, di combinare i sapori. L’importante però, alla fine, è che i sapori siano valorizzati, mai coperti o mischiati. «Vale anche per i pranzi in famiglia quando arrivano i funghi: nessun piatto sarà più buono di un risotto. Umile, se vogliamo, però fatto a regola d’arte: riso, fungo, brodo».
Fungo principe e protagonista, dunque. Non potrebbe che concordare Nicola Bonora, Executive Chef del milanese Motelombroso, che per il mese di ottobre dedica un intero menù al fungo, anzi, ai funghi. Si chiama Habitat 1, ed è la new entry nella proposta del ristorante, un modo per sfidarsi e giocare con la clientela a fianco del menù alla carta e degustazione. Ogni mese, il focus su un ingrediente diverso porterà a uno studio verticale della materia, per cinque portate, seguendo la stagionalità dei prodotti. Non secchioni, ma argonauti.
«L’idea dietro gli Habitat è quella di darsi l’occasione di esplorare un ingrediente a 360°. Quindi diciamo funghi ma significa anche fermentazioni, muffe, stagionature, … La nostra partita è applicare le tecniche moderne alla tradizione. Poi, a questo giro siamo stati anche buoni: ci siamo concentrati su funghi abbastanza comuni per vedere come avrebbero reagito i clienti. Per ora la risposta è stata di positivo e genuino interesse». Le star del menù Habitat 1? Trombette, Champignon, Enoki, Porcini, Cardoncelli, Pioppini, Fungo ostrica, dal consommé d’entrata (con faraona) alla Frolla e frangipane ai funghi di chiusura.
«Il fungo è un principe dei vegetali, che è un mondo che stuzzica parecchio la mia curiosità. Ci confrontiamo con una tradizione già ricca di funghi, quella italiana, e il nostro compito è portarla un po’ in giro, aiutarla a incontrare altre visioni. Partendo sempre da casa però, infatti per le forniture ci appoggiamo a tanti piccoli forager del territorio, così da rimanere sempre vicino alla nostra base».
Anche per noi, parlando di viaggi, è tempo di partire. E andare a trovare altri che, in giro per l’Europa, con i funghi ci sanno davvero fare. Il Nome, fuori dalle Alpi, è quello di Régis Marcon, “le roi du champignon”, vincitore 1995 del Bocuse d’Or, chef di montagna dei francesi e tre stelle Michelin al Restaurant Marcon di Saint-Bonnet-le-Froid, dove già i figli Jacques e Paul fanno capolino sulle spalle del padre gigante che è toccato loro. Le ragioni della loro affinità elettiva con i funghi si ritrovano, almeno parzialmente, nei boschi dell’Alvernia, regione del Sud della Francia (che poi vuol dire altezza Torino) in cui si trova la roccaforte dei Marcon.
L’ossessione per i funghi de Le Roi è descritta bene sul Financial Times: «Dentro al ristorante, [i funghi] sono ovunque: se ne vendono vasetti alla reception, un poster con diversi tipi di funghi selvatici edibili è appeso fuori dalla cucina; al buffet della colazione, il burro arriva in forma di fungo. Lo staff indossa spille a forma di fungo e il menù di sette portate dedicato ai funghi è accompagnato da un calendario di funghi» (menù che sembra, peraltro, condividere l’amore di Lazzarini e Siega per lo Sparassis crispa). Date queste basi, non stupisce che anche Marcon sia un raccoglitore entusiasta, e attento a portare in tavola cibi in linea con lo svolgimento delle stagioni.
Ma rimaniamo in Francia, anzi appena più su, nella stessa regione: a Lione c’è Substrat, che non si definisce ristorante ma “nato da idee germogliate su una base fertile composta da amicizie e sapori comuni”. Se questo non urla “fungo”, diteci voi che cosa. Lo stesso nome del ristorante, in realtà, è una strizzatina d’occhio nemmeno velata ai funghi e al loro ambiente. Si legge sul sito che l’obiettivo è proprio creare un ambiente fertile per ritrovare sapori perduti, impararne di nuovi, riconnettersi… e quale mezzo migliore per farlo dei frutti della rete-micelio?
«A volte guardano a noi come a dei rivoluzionari perché abbiamo abbracciato uno stile bistrot senza mettere la carne al centro, che in Francia e nella regione di Lione è un pilastro fondamentale. È vero che abbiamo un’attenzione decisamente maggiore al vegetale, e quando la stagione permette al fungo in particolare. Però credo che la situazione sia da leggere nel verso contrario, cioè: noi vogliamo aggiornare il vocabolario della tradizione. Senza scadere nei dettami (o stereotipi) del vegano/vegetariano, perché siamo a favore sia dell’agricoltura che dell’allevamento intelligente». Chi parla è Hubert Vergoin, chef di Substrat e di altri due locali (Food Traboule, So6 La Saucissonerie) dallo spirito punk.
«Nella nostra cucina, i funghi svolgono un ruolo fondamentale, dall’antipasto al dessert. Gli unici limiti, anzi, diciamo ostacoli veri e propri, sono costo e disponibilità della materia prima. Disponibilità perché il cambiamento climatico ha portato a stagioni sempre più schizofreniche. Il costo perché, almeno in Francia, i funghi locali stanno raggiungendo costi esorbitanti, e non li si può proporre a una clientela orientata sul taglio bistrot». Quelli che preferisce? «Il Cremino, l’Orecchione, gli shiitake. Tutti allo stesso livello. Il primo lo cuciniamo alla brace, il secondo con il burro, il terzo in brodo».
Altro Paese, stessa canzone. Con un gioco di mano atterriamo a Madrid, direzione El Cisne Azul. Che vuol dire “cigno azzurro”, ma che alcuni chiamano “mushroom bar” perché ci si cucinano funghi, anzi quasi solo funghi, e per tutto l’anno.
Miguel Ángel Pulido è il figlio del fondatore del Cisne, Julián Pulido, la cui carriera è iniziata 50 anni fa in un piccolo bar in cui serviva piatti tipici spagnoli. «I funghi però sono sempre stati la sua passione, e infatti pian piano anche al bar vennero aggiunti piatti a base di funghi. Oggi il 75% del nostro menù è composto da funghi, in diverse varietà e preparazioni». Il fungo tira così tanto che, dieci anni fa, El Cisne Azul si è sdoppiato: ora hanno un bar e un nuovo ristorante più grande e strutturato sulla stessa via.
«Non ci sono tanti ristoranti a base di funghi, né in Spagna né in generale, quindi la nostra clientela si affeziona e torna volentieri, anche perché da noi si sta bene. Ogni giorno riceviamo prenotazioni da persone provenienti da tutto il mondo, tra cui USA, Australia, Regno Unito, Francia e ovviamente Italia. I porcini naturalmente la fanno da padrone, sono il fungo più richiesto. Anche gli Ovuli però non se la passano male. Il piatto più richiesto invece è di sicuro Porcini e foie gras».
La mushroom connection è reale. Ora sta a noi esplorarla.