Rolling Stone Italia

I ristoranti pazzeschi di Victoria Cabello

Quattro locali milanesi e uno nelle Langhe garantiscono la sopravvivenza della nostra Vicky, capace di passare la notte in una tenda sospesa a strapiombo sulle coste gallesi e tuffarsi in mutande nelle acque a -37 gradi ma assolutamente non in grado di fare delle uova strapazzate

Andare al ristorante significa in genere questo: concedersi una pausa ristoratrice non solo per lo stomaco ma anche per la mente, lasciando fuori dall’ingresso i problemi che affliggono il nostro quotidiano, trascorrere del tempo con persone a cui si vuole bene (non ceniamo o pranziamo mai con gente che non hanno nulla in comune con noi) in un’ambiente confortevole e rilassante e ovviamente assaggiare pietanze organoletticamente appaganti che difficilmente potremmo replicare fra le mura di casa. Per Victoria Cabello, una ragazza capace di passare la notte in una tenda sospesa a strapiombo sulle coste gallesi e tuffarsi in mutande nelle acque a -37 gradi ma assolutamente non in grado di fare delle uova strapazzate, i ristoranti significato soprattutto una cosa: sopravvivenza.

Dopo le indimenticabili (si, anche in senso traumatico) esperienze fatte in giro per l’Europa in Viaggi Pazzeschi (su TV8) insieme al fedele Paride Vitale, Victoria ci ha raccontato i suoi ristoranti del cuore, ovviamente nella sua Milano (con una sortita off-track in una delle sue zone preferite al mondo, le Langhe).

Trattoria De La Trebia

via Trebbia 32, Milano

«Io non mangio spesso carne, ma quando lo faccio voglio che sia buona. E la cotoletta alla milanese della Trebia è indubbiamente la migliore di tutta la città. Bassa, ovviamente di vitello, fritta nel burro chiarificato, ha in genere un’estensione pari a quella di quattro metri quadrati (ci sono monolocali in affitto a Milano più piccoli), è croccante e (importantissimo), una volta mangiata non ti svegli il giorno dopo in rigor mortis: è super-digeribile. Un must per tutti quelli che venendo a Milano a un certo punto fanno La Domanda: dove la mangio la milanese? (la stessa sindrome che affligge i meneghini quando vanno a Roma e reclamano ossessivamente la cacio e pepe appena scoccano le 12:30 anche se magari siamo ad agosto e ci sono 38 gradi). La risposta non può che essere alla Trebia, una solida trattoria a gestione familiare (la matriarca è saldamente an-corata ai fornelli dal 1981) che propone piatti iconici della tradizione lombarda in un bell’ambiente “vecchio continente” in cui mi sento a casa da più di vent’anni. Esistono le stelle Michelin per accertare la qualità di un ristorante, ma io istituirei delle stelle per premiare i singoli piatti e darei a quella cotoletta ovviamente il punteggio massimo».

Trattoria Masuelli San Marco

viale Umbria 80, Milano

«Per me, che se mi metto a cucinare per qualcuno rischio tranquillamente di finire con-dannata per omicidio preterintenzionale indipendentemente dalla difficoltà della ricetta, esistono ristoranti che considero un’estensione del mio appartamento, posti dove mi sento a casa. Questa è una definizione che vale per tutti gli esercizi di questa lista ma in particolare per Masuelli. Locale centenario e colonna portante della tradizione locale, è un luogo accogliente e sufficientemente informale da farti sentire subito a tuo agio ma allo stesso tempo elegantissimo e formalmente ineccepibile (se siete amanti del design amerete incondizionatamente le sedie Thonet originali e il lampadario disegnato da Gio Ponti). Aggettivi che vanno benissimo per descrivere il menu, da sempre a cavallo tra Lombardia e Piemonte, dove la tradizione viene mantenuta viva attraverso cura, dedizione e giusto un filo di personalizzazione: risotto alla zafferano, mondeghili e il mio adorato vitello tonnato, connubio assurdo tra carne e pesce che mi mette già di buon umore dal nome visto che lo associo a Il vitello dai piedi di balsa di Elio e le Storie Tese. I vini non sono da meno. Al patron Pino Masuelli, mancato ad aprile, è succeduto il figlio Max, chef e persona straordinaria. Come ho già detto qui mi sento a casa ma se qualcuno volesse sentirsi ancora più a casa Max può anche venire a cucinare a domicilio».

Giannasi 1967

piazza Buozzi 2, Milano

«Giannasi per me è l’equivalente di Katz’s Deli a New York o Casa Labra a Madrid: una mecca di autentico comfort food, un tempio di cibo no-nonsense in grado di appagare sempre e comunque la fame lasciando una sensazione di ilarità e leggerezza. Ogni volta. Chiosco fondato nel 1967 da Dorando e sua sorella, oggi è soprattutto la figlia Paola a gestirlo, smazzando l’impressionante cifra di settecento polli arrosto al giorno (ma Dorando, elegantissimo nel suo Borsalino e completo color carta da zucchero, viene comunque ogni mattina). Tante sono le specialità offerte (lasagne, frico, nuggets, riso al salto…), però il pièce de résistance resta indubbiamente il pollo con le patate arrosto, il migliore di Milano. La coda che si forma davanti al chiosco a colpo d’occhio può scoraggiare i meno determinati, ma i dipendenti sono come un gruppo di marines scelti che lavorano insieme da anni “come un sol uomo”, e l’attesa viene evasa in tempi rapidissimi. Per i più letargici: Giannasi consegna i polli a casa, io consiglio però la full experience di andare lì fisicamente, fosse solo per recuperare il fantastico merchandise (cappellini, calze, magliette) che sfoggia abitualmente e senza vergogna Mannucci».

Lon Fon e Mandarin 2

via Lazzaretto 10 e via Garofalo 22/a, Milano

«Potevo finire la mia disamina dei ristoranti milanesi a cui sono legata senza nominare almeno un cinese, anzi due? L’offerta di ristoranti etnici a Milano è indubbiamente la più variegata di tutto il Paese, qui si può mangiare di tutto. La prima cucina straniera ad attecchire ad alti livelli è stata comunque quella cinese, che ha in Lon Fon e nel Mandarin 2 due esponenti di spicco a cui sono legatissima (i proprietari oltre a essere amici intimi sono anche cugini). Entrambi i ristoranti sono a gestione fieramente famigliare e li frequento da moltissimi anni. La cucina è fieramente cinese all round, con materie prime incredibili e il proverbiale tocco italiano: restare delusi è impossibile. Ho un ricordo indelebile della festa per i quarant’anni del Lon Fon: mentre io, Saturnino e Syria mettevamo i dischi, c’erano commensali che facevano il trenino sulle note di Maracaibo mangiando finger food a base di gamberi, anatra caramellata, noodles. Impagabile».

Campamac – Osteria Gourmet

strada Giro della Valle 1, Barbaresco (CN)

«Paolo della Mora, oltre a essere uno dei miei migliori amici, è anche un grande imprenditore che ha una visione precisa. Quando per amore si è trasferito a Barbaresco, nel cuore delle Langhe, e ha unito i propri sforzi con Maurilio Garola, leggendario chef autoctono già titolare di una stella Michelin al suo ristorante la Ciau del Tornavento, il risultato non poteva che essere pazzesco. Campamac è la loro idea di trattoria di livello: ambiente raffinatissimo nella sua semplicità e curato in ogni dettaglio e menù da trattoria saldamente ancorato al territorio. Le carni (tra cui spicca la fassona frollata a vista) sono mitologiche ma per me il piatto forte sono i plin di oca: ravioli di pasta fresca il cui ripieno è costituito ovviamente dall’oca saltata nel suo fondo bruno. Altro piatto imperdibile sono i plin al tovagliolo. Mentre in giro per le Langhe si mangiano con il tradizionale ripieno ai tre arrosti (maiale, vitello, coniglio), cotti nell’acqua salata scolati e serviti direttamente su una tovaglia di lino senza condimento (in riferimento a un’antica tradizione contadina lo-cale secondo la quale si mangiavano convivialmente con le mani), al Campamac li fan-no con il ripieno di Nutella per omaggiare il mitico Michele Ferrero che è nato e ha costruito la sua fortuna proprio nelle Langhe. Visto dove ci troviamo, la carta dei vini è proverbialmente stellare. Pur non essendo a Milano l’ho comunque inserito tra i miei luoghi del cuore perché è relativamente vicino alla città ed è in uno dei posti più belli del mon-do. L’importante però è restare a dormire: solo un pazzo andrebbe lì e tornerebbe in giornata rischiando il ritiro della patente per via dei Baroli e dei Barbareschi locali. L’idea di non assaggiarli (a patto di essere astemi) dopotutto è improbabile quanto quella di andare a Tokyo e non mangiare il sushi o andare in Texas e non sputare tabacco. Campamac è ideale per concludere una giornata di trekking in luoghi magnifici (non distante c’è la magnifica Cappella del Barolo illustrata da Sol Lewitt e David Tremlett) con una magnata leggendaria. Mi stupisce sempre ogni volta che ci vado trovare la tavolata di ciclisti che dopo aver macinato centinaia di chilometri vanificano i loro sforzi mangiandosi questo mondo e quell’altro e trovando non si sa dove il coraggio di montare sul sellino una volta terminato un pasto leggendario».

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