Io me lo ricordo il primo scudetto. E mi ricordo anche il secondo. E mi ricordo anche il fallimento. E ogni partita dalla serie C a oggi. Trentatrè anni ho aspettato. E per un puro caso, io che vivo ormai da anni a Londra, mi sono ritrovato a Napoli per lavoro, per il Comicon, guardando lo Stadio Diego Armando Maradona accerchiato da cosplayer di Naruto e Pikachu, consapevole che non potrò essere al tempio alle 15 di domenica perché la professionalità mi impone serietà.
Per rendere tutto questo meno amaro, il venerdì sera prima della partita sono andato a mangiare un quarto di chilo di mozzarella di bufala, una pizza e una fetta di babà da Ciro a Mergellina, e passeggiando dopo per favorire la comunque facile digestione, sono arrivato a Posillipo, dove ho visto la bellissima coreografia con i tre scudetti sulla spiaggia.
Al San Paolo sono andato a rendere omaggio la sera dopo, facendo un giro intorno all’impianto, immaginando la folla, il rumore, le file ai tornelli, la scalinata che porta alla Curva B, il colpo d’occhio del rettangolo verde e l’azzurro sugli spalti e oltre. E poi i sapori e i profumi di tutto quello che c’è attorno, quel pasto reso (quasi) sempre ancora più gustoso dal risultato della partita.
Il tifoso napoletano è scaramantico, ci sono rituali da seguire. Il primo è quello di fare una lunga fila per prendere un caffè prima della partita al Caffè Monnalisa. Il perché è semplice: il proprietario, Antonio Arenoso, è il papà di Daniela, moglie di Fabio Cannavaro, campione del mondo e Pallone d’oro nato e cresciuto, anche calcisticamente, all’ombra del San Paolo. Il caffè è buono, ma trovare un caffè cattivo in questa città è praticamente impossibile.
Si entra allo stadio, e oltre allo spettacolo del campo c’è anche quello del nutrirsi in attesa del calcio d’inizio. Contenitori di plastica e d’alluminio vengo passati di mano in mano, i profumi si propagano, dalla pasta al forno alla parmigiana, dalle polpette al sugo ai panini dalle farciture più classiche, come salsiccia e friarelli, a quelle più moderne, anche esecrabili come hamburger e patatine per la gioia dei più giovani. E poi naturalmente pizzelle, crocchè di patate, pall’e ris’ e chi più ne ha più ne metta.
Io non riesco a mangiare prima della partita, bisogna essere in forma perfetta, l’unica forma di nutrimento è la nicotina. E poi dopo tutto è più buono. Il mio primo pensiero lucido dopo il triplice fischio finale è raggiungere il prima possibile Bernadette, che non è la cavalla guidata da Jean-Louis Rossini nel Gran Premio degli Assi in Febbre da Cavallo, bensì una pizzeria e friggitoria che sta proprio di fronte alla Curva B. La loro frittatina di maccheroni, in bella vista nella vetrinetta al fianco di pizzette margherita (per essere chiari: vere pizze in versione ridotta), calzoncini e fritti vari, è un tripudio di sapori. Il rituale recita d’accompagnarla con una Peroni da 66 ghiacciata, da bere rigorosamente dalla bottiglia e da condividere con i compagni di viaggio.
Se invece la vostre indole gourmet prende il sopravvento, girate l’angolo a destra e dirigetevi (sono poche decine di metri) alla Pizzeria Leopardi, che prende il nome dalla strada che prende il nome dal poeta. Hanno quattro tavoli, anche se devo ammettere che una volta sono riuscito persino a sedermi (dopo un infelice Napoli-Fiorentina, a dire il vero, quindi preferirei dimenticare lo straordinario evento). Ma il più delle volte ho optato per una pizza a portar via, da mangiare poi a portafogli nel primo posto vagamente comodo che riuscivo a trovare. Non cercate orpelli, Margherita o Marinara (come diceva mia nonno, “la pizza”. Tutto il resto erano aberrazioni per lui). Nel mio giro di perlustrazione serale l’ho trovata aperta e vuota. E ho dovuto approfittare, non avevo ancora cenato. Se poi volete chiudere con un dolce, fate ancora qualche decina di metri e sulla sinistra troverete una delle sedi dell’Antica Pasticceria Bellavia, tra le migliori sfogliatelle della città.
Ma non le migliori. In queste ore di attesa ho cercato di capire quale potesse essere il sapore dello Scudetto. E alla fine ci sono arrivato. Sono cresciuto a Sant’Anna di Palazzo, uno dei primi avamposti dei Quartieri Spagnoli immediatamente alle spalle di Piazza Plebiscito, nella casa dei miei nonni. Sotto il nostro balcone sentivamo il profumo delle pizze di Brandi. Il nostro delivery era sottoforma di panierino che tiravamo giù con una corda. Le pizze, avvolte in carta una per una, venivano adagiate lì e recuperate con attenzione. Brandi è noto come l’inventore della pizza Margherita, e quando ero bambino non aveva perso il tocco. Ma c’è qualcosa che è ancora più vicino a un’emozione non da poco: le sfogliatelle che mia nonna portava a me e mio fratello la mattina per colazione. Prese calde calde da Pintauro a Via Toledo (all’epoca Via Roma), un laboratorio che sta nello stesso posto dal 1916 (anche nostra madre le prendeva lì per la merenda della ricreazione subito dopo la guerra).
Ecco, lo Scudetto 2022/23 è una sfogliatella calda di Pintauro portata da nonna. Grazie Aurelio. Grazie Luciano. Grazie Ragazzi. Grazie Napoli.