In una scena di Mediterraneo, il film premio Oscar di Gabriele Salvatores, a un certo punto il personaggio di Claudio Bisio cerca di bere un caffè greco, lamentandosi del gusto. Al che il Sergente Maggiore Nicola Lorusso (Diego Abatantuono) lo rimprovera un po’ scocciato: «Si sente il profumo e si aspetta, il piacere sta tutto lì».
Più di trent’anni dopo, il monito di Nicola Lorusso risuona forte e chiaro nell’ultimo, ambiziosissimo, progetto di Lavazza: e se la smettessimo di considerare il caffè alla stregua di uno shot da concederci quando siamo di fretta, in un bar qualsiasi, trangugiando una bevanda della quale capiamo poco o nulla? Saremmo disposti a cambiare leggermente le nostre abitudini e la nostra percezione di quella tazzina espressa, lunga, ristretta, macchiata o vattelappesca, se solo conoscessimo un po’ più a fondo – no pun intended – il suo contenuto?
The Blender, il nuovo digital magazine firmato da Lavazza, nasce esattamente per questo motivo: raccontare la cultura del caffè a trecentosessanta gradi, il che significa la sua storia, il suo consumo – dalla colazione passando per il brunch, il dopo pranzo, la merenda, fino ad arrivare all’aperitivo e al post cena –, i suoi valori, le sue infinite declinazioni e sfaccettature.
«Lavazza ha da sempre l’obiettivo di creare una cultura del caffè basata sulla qualità dei prodotti, sulla loro distintività e riconoscibilità in termini di gusto e profilo aromatico proponendo anche differenti modalità di preparazione nelle diverse occasioni di consumo. Oggi continuiamo questo percorso di divulgazione con una modalità innovativa, offriamo il primo webzine dedicato a questo importante settore», commenta Michela Belotti, Marketing Director Lavazza Italia. «Ci piacerebbe che The Blender diventasse un punto di riferimento per tutti gli amanti del caffè, soprattutto per il pubblico più giovane, curioso, sempre in movimento e alla ricerca delle migliori esperienze nella loro città o in quelle che andranno a visitare durante le loro esplorazioni».
La presentazione di The Blender ha avuto luogo a Napoli, una piazza apparentemente difficile per un’azienda e un prodotto che trasudano torinesità, al Gran Caffe La Caffettiera di Piazza dei Martiri. Il patron del locale Guglielmo Campajola è il primo a voler sdoganare lo stereotipo del consumo veloce “da bar” del caffè: «È necessario stimolare un processo di apprendimento cosicché il cliente sappia che tipologia desidera degustare. Si tratta di una bevanda che ha bisogno di attenzione, una bevanda quasi da meditazione: per tale motivo stiamo incentivando il suo consumo al tavolo, proprio per uscire dal circolo vizioso della banalizzazione e dell’ordinarietà».
Un processo di apprendimento passa da parole chiave come miscelazione, estrazione, Paesi d’origine, blend, specialty coffee, abbinamenti con diversi piatti e ricette: concetti agli occhi – ma pure alle papille – di molti sconosciuti, confusi o astrusi, che in The Blender troveranno lo spazio più adatto per essere veicolati e compresi. Lavazza ne ha voluto dare un esempio concreto con un pranzo sfidante anche per i più appassionati: al 177 Toledo, ristorante fine dining all’interno di Gallerie d’Italia che vede alla regia lo chef Giuseppe Iannotti, 2 stelle Michelin al Krèsios di Telese (Benevento), è stato messo in scena un pasto dove, al posto del vino, i calici venivano riempiti a caffè.
La coffelier Stefania Zecchi ha accompagnato gli ospiti in un percorso di degustazione degli specialty coffee che compongono la Collezione 1895 – ciascuno di essi abbinato a un diverso piatto dello chef – volto a spiegare e approfondire le caratteristiche peculiari a livello olfattivo nonché gustativo che connotano le singole creazioni. Ed è lo stesso Giuseppe Iannotti a rispedire al mittente eventuali stereotipi che puzzano di eccessivo campanilismo: «Ai piedi del Vesuvio non ci sono piante di caffè», ha ribadito, mentre ai commensali veniva svelato il segreto per riconoscere un buon espresso, ossia il tempo.
Tempo per osservare lo strato di crema che deve ricoprire interamente la tazzina senza “buchi”, tempo per annusarlo e cogliere le sfumature presenti nell’aroma, tempo per smuovere lo strato di crema con un cucchiaino e constatare la sua riformazione come se nulla fosse stato toccato. Si aspetta insomma, esattamente come diceva il Sergente Maggiore Nicola Lorusso, e al netto dell’attesa e della qualità di partenza vale tutto: zucchero, latte caldo, latte freddo, cubetto di ghiaccio, acqua calda. Si potrebbe raccontare l’umanità intera attraverso i modi in cui ognuno è abituato a bere il caffè, si potrebbe scrivere un ipotetico saggio breve che ruberebbe il titolo alla dichiarazione fortissima di Matteo Paolillo, ospite di Lavazza per l’occasione: «Io lo prendo amaro». E mica c’è tanto da stupirsi, o forse pensavate che Edoardo lo zuccherasse?