Di fronte allo scaffale della pasta, confesso che ho indugiato. Che faccio, le prendo? Mi butto? Forse integrali saranno diverse. Saranno meglio. C’è però questa cosa da spiegare, prima. C’è che, all’alba dei quarant’anni e del duemilaventitré, dopo aver accolto nella mia dispensa le orecchiette di spinaci e le caserecce di farro (rigorosamente comprate sfuse, come fanno i milanesi coi sensi di colpa), ho scoperto la pasta integrale (più banalmente confezionatissima, più biecamente da grandissima distribuzione). Ben svegliato, già. Ma tant’è. Finora, però, m’ero limitato agli spaghetti quadrati, che davano a quel punitivissimo “integrale” scritto sul pacchetto un quid, un twist, un esotismo da Centritalia. E invece, di colpo, loro. Perché no, mi dico. Quasi quasi. Sai che forse. Con la scusa che sono integrali, lo posso fare. Posso rischiare. Posso gettarmi così, senza rete. Fare un gesto situazionista in mezzo alla corsia dell’Esselunga. The customer is present. Posso comprare, nel duemilaventitré, LE PENNE.
Le penne… le penne… le penne… e ti passa tutta la vita davanti, altro che incidenti in autostrada. Le penne col burro unico pasto possibile per molte stagioni di me bambino. Le penne occultate da quella specie di miscela da betoniera che era la pasta pasticciata della mensa delle elementari (alle volte sostituite dai sedanini: ma per quelli non ci sarà redenzione, mi auguro). Le penne-pasta-fredda delle cene estive dei vent’anni, quando purtroppo o per fortuna non eravamo gourmand. Le penne all’arrabbiata di certi bar della pausa pranzo, che mi chiedo sempre ma chi cazzo le prende, eppure se sono così dure a morire un motivo ci sarà. Le mezze penne che… no, qua il gioco si fa duro: perché esistono le mezze penne? Io qui alzo le mani, davvero non ho risposte.
Visualizza questo post su Instagram
Ma anche le penne lisce abbandonate sugli scaffali di tutti i supermarket del Paese in tempo di Covid, che avrei voluto urlare all’Italia intera “ma voi siete pazzi! le penne lisce sono eccezionali!”, altro che cantare Fai rumore dai balconi, il rumore lo faccio io con la mia madeleine – quindi, capisco ora, il mio severissimo rifiuto delle penne era solo nostalgia, era solo un amore finito male, m’ero raccontato per più di vent’anni che ero stato io a lasciare loro e invece loro avevano lasciato me e io non avevo elaborato il trauma (potrei farci un post su Instagram, magari qualcuno sarà stato scaricato dalle penne come me e ci potremo unire nel comune gruppo “Vittime di Carboidrati Ingrati”; Carboingrati, forse).
Sempre in quel tutta-la-vita-davanti, ecco sfilare le penne anni Ottanta: è tornato tutto, ahinoi, degli orrendi anni Ottanta, vorremmo non dare una seconda possibilità anche alle penne (pennette?) alla vodka? E le penne all’arrabbiata d’auteur: La grande abbuffata di Ferreri, Roma di Fellini, dunque esistevano prima di finire sudaticce dietro le vetrinette dei bar e poi malamente ripassate al microonde. (Però, ammettiamolo: le penne di quei film chi se le ricorda? Vuoi mettere i maccheroni incrociati nelle mezze porzioni di C’eravamo tanto amati, e gli spaghetti di Un americano a Roma e Una vita difficile? – io ovviamente preferisco il secondo. Vabbè, faccio finta che questo derby non sia mai esistito e torno alle penne, d’accordo.)
Di nuovo, in epoca ben più recente, Kim Kardashian che viene a Milano per una fashion week (era l’altr’anno? chi se lo ricorda più), va da Giacomo e, invece delle linguine con gli scampi, ordina un piatto di penne al pomodoro. Era la stessa sera in cui scopriva l’esistenza dei tortellini. Quindi Kim i tortellini non li conosceva e le penne sì? Ma allora altro che rivalutazione, bisogna mangiare solo quelle e levare tutti gli altri formati dalla distribuzione, presto, cosa stiamo aspettando!
E poi, un mese fa, guardo lo stupidissimo Cocainorso e qual è il comfort food (scusate) di uno dei balordi protagonisti? Un piatto di “penne pasta” e per di più “just plain” direttamente al bancone del bar (e pronunciato “penné”: ma io voglio mangiare solo penné e dirlo così per sempre!). E ancora, sarà passata giusto qualche settimana, una coppia di amici che m’invita a cena e serve un piatto di penne col pesce spada, che lì per lì mi dico “le penne? ma sono impazziti?”, e invece sai che in fondo, ti dirò, questo ricordo di villeggiatura di una volta, la penna col pesce vista mare… (anche se era vista Chinatown, vabbè).
Tutto l’universo obbediva alle penne, solo io non avevo capito. Solo io restavo fermo a chissà quale pregiudizio, chissà quale boycott presso me stesso. Stavo dentro questa cieca e bieca forma di non inclusivity francamente irricevibile, per l’epoca che viviamo: abbiamo rivalutato tutto, incluso tutto, abbracciato qualsivoglia diversity, persino il cacio sulle cozze, potremmo (potrò) lasciare le penne così, discriminate? Cos’è questa, pennofobia? Non la passerò di certo liscia – chiedo definitivamente scusa e me ne vado, non prima di confessare però che, alla fine, quelle penne integrali lì non le ho mica comprate, mica è così facile far ricominciare le storie d’amore. Ora mi devo fare un po’ desiderare. Ora devono essere loro a tornare da me, con il capo cosparso di vodka.