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Mac ‘n’ cheese: you’re my favourite mistake

Siamo sicuri che ciò che consideriamo assai superficialmente pasta un po’ scotta al formaggio faccia schifo? Una personalissima rivalutazione di questo guilty pleasure d’origine britannica, che ora finalmente non deve più scontare nessuna colpevolezza

Foto: Instagram

La madeleine di mac ‘n’ cheese: ci può essere qualcosa di più snob? La mia risale al 10 settembre 2016, Isola di Wight. Ero al Bestival, edizione davvero di altissimo livello. Il main event del festival era il concerto del sabato sera dei The Cure, con un Robert Smith in forma smagliante. Entusiasmante, nonostante il fango ci arrivasse a metà polpaccio perché aveva piovuto tutto il giorno. Finito il concerto, niente di meglio che dirigersi all’area dance dove stava per iniziare un dj set di un paio d’ore di Fat Boy Slim. Strepitoso.

Alle due di notte la mia compagna e io ci accorgiamo di non avere mangiato niente tutto il giorno, e di avere la fame tipica di chi si è nutrito esclusivamente di alcool nelle precedenti sedici ore. Tra le molte cose che ancora aveva da offrire a tarda notte l’area food, non è il solito hamburger o l’ancor più convenzionale hotdog che attira la nostra attenzione. E nemmeno l’immancabile fish ‘n’ chips. No, c’è qualcosa di meglio all’orizzonte. Una gigantesca padella dove in un mare di formaggio fuso galleggiano dei macaroni di dubbia qualità. Li vediamo e ci avviciniamo come stessimo entrando da Bottura. Una porzione grande, grazie. Ammiriamo la maestria con cui questo profeta del colesterolo aggiunge quasi due pinte di latte e panna per mantecare bene il tutto prima di servircelo con un impiattamento degno della migliore mensa Caritas. E poi lo divoriamo, ringhiandoci anche vicendevolmente un paio di volte quando siamo in dirittura d’arrivo alle ultime cucchiaiate.

Eravamo pronti per il TSO, direte voi. E probabilmente avete ragione, ma da quella sera un dubbio mi era rimasto: siamo sicuri che il mac ‘n’ cheese – ossia ciò che consideriamo assai superficialmente pasta un po’ scotta al formaggio – faccia schifo? Allora ho incominciato a indagare, a provare, a testare su me stesso, addirittura a riprodurlo in laboratorio (vabbe’, insomma, a cucinarlo a casa) per comprenderne la portata sociale, culturale, storica, addirittura politica.

Partiamo dalle origini e sfatiamo subito una credenza: macaroni and cheese è una ricetta inglese, variazione sul tema di una pietanza importata da una qualche regione del nord Italia (c’è chi dice dalla Svizzera, ma non mi sembra essere un orologio). Le prime testimonianze risalgono al XIV secolo, al 1390 per l’esattezza, con la prima ricetta certificata nel testo di cucina noto come The Forme of Cury, una sorta di Artusi medievale da cui non si poteva prescindere. Erano i primordi della leccornia, ma stranamente passeranno quasi quattrocento anni prima di vedere nuovamente pubblicata una formula di preparazione, quella che ancora oggi conosciamo e apprezziamo.

Siamo nel 1769 quando Elizabeth Raffald dà alle stampe il suo The Experienced English Housekeeper, praticamente Il Talismano della Felicità della perfetta casalinga dell’Impero Britannico (se andate su Amazon lo trovate senza problemi, è ancora un bestseller). È proprio lei, questa santa donna, che indica la strada, ovvero «cuocete bene quattro once di maccheroni. Mischiate poi in un paiolo un quarto di pinta di panna robusta, un bel pezzo di burro rotolato nella farina e fate bollire per cinque minuti. Aggiungete i maccheroni, girate bene, mettete in un piatto e spolverate con abbondante Parmigiano». E il gioco è fatto.

Naturalmente ci sono una serie di regole da seguire. I maccheroni devono essere scotti, ma non troppo. Il formaggio dovrebbe essere preferibilmente Parmigiano, ma negli anni si è capito che il piatto poteva essere fatto anche con altre tipologie casearie. Personalmente lo preferisco con il classico cheddar della campagna britannica, media stagionatura. Si scioglie benissimo, ha un sapore deciso, si amalgama perfettamente con la pasta. Attenzione al formato: c’è chi usa i macaroni, ovvero quella specie di rigatoni in miniatura che in Italia i rappresentanti neanche propongono pena la flagellazione; il perfetto mac ‘n’ cheese però si fa con i maccheroncini piegati, che nei Paesi gastronomicamente civilizzati sono ottimi anche per piatti gourmet come la pasta e fagioli o la pasta e lenticchie.

Esiste anche la variazione sul tema, al forno: ovvero, dopo avere preparato pasta e crema di formaggio, prendere una teglia, versarci tutto dentro, girare bene e ricoprire con ulteriore formaggio per formare una bella crosta gratinata. È un po’ lo stesso contrasto culturale che c’è tra chi preferisce la New York Cheesecake a quella al cucchiaio più nostrana. Ed entrambi vengono annichiliti dagli estimatori della Japanese Cotton.

Ecco, a proposito di New York e Stati Uniti, molti sono convinti che i maccheroni con il formaggio siano nati nelle Colonie. Niente di più errato, come abbiamo già scritto. Ma sono stati, e sono tutt’ora a dire il vero, un elemento fondamentale nella società americana. Il mac ‘n’ cheese è un piatto povero nella sua essenza basilare: usando una pasta scadente e del formaggio industriale si poteva sfamare una famiglia di sei persone con venti centesimi negli anni della Grande Depressione. Si può dire che abbiano veramente salvato la classe operaia americana, e quindi l’America stessa. Infatti oggi sono un piatto amatissimo, entrato nel tessuto culturale delle domeniche e delle feste comandate, dal Thanksgiving al Labour Day.

Sugli scaffali della grande distribuzione si trovano le varie versioni in latta da quattrocento grammi; la più pregiata è quella della Heinz, che in Gran Bretagna da Waitrose arriva a costare addirittura due sterline a barattolo. Ma la cosa migliore è prepararli a casa, per scacciare e uccidere i nervosismi della giornata: niente che una bella mestolata di pasta al formaggio non possa curare.

Vivendo a Londra, ho imparato a convivere con il mac ‘n’ cheese, a rispettarlo e apprezzarlo. E anche a conoscere i posti migliori dove mangiarlo. Ce ne sono molti, dal The Cheese Bar al Camden Market al Red Dog Austin Tx Barbecue a Soho. Il mio personale consiglio è il The Blues Kitchen a Shoreditch: croccante sopra, cremoso e filante dentro. Metteteci vicino una pinta di Camden Hells Lager e godetevi il tutto ascoltando un bel concerto. Perché non si vive di sole serate di gourmet: ogni tanto ci vuole anche il sano, vecchio, caro comfort food. E un po’ blues.

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