In Italia, non è un mistero per nessuno, ci sono poche cose sacre quanto il cibo: quando si tocca l’argomento della tradizione enogastronomica nostrana, tutti sono pronti a scagliarsi contro l’eretico di turno. La tradizione, la ricetta della nonna, il fatto come una volta: tutto deve rimanere immutabile, pena una pubblica gogna per chi si macchia del crimine di profanare la sacralità del ricettario patrio. E in questo il web è senza dubbio diventato un amplificatore di questi sentimenti comuni, alle volte troppo rigidi, che vogliono fare del “si è sempre fatto così” una bandiera. Eppure la cucina è una cosa viva e in continua evoluzione nei secoli: basti pensare che il pomodoro, protagonista dei nostri piatti nazionali (dalla pasta alla pizza) proviene dalle Americhe, ed è quindi stato qualche secolo fa un elemento di rottura con la tradizione (le pizze bianche sono dal tempo dei romani un patrimonio comune a tutta l’area mediterranea), così come le melanzane, i peperoni e finanche un altro grande vanto della nostra cultura , ovvero il caffè, che ancor oggi sarebbe impossibile gustare senza i chicchi provenienti dalle piantagioni sparse lungo la fascia equatoriale. Insomma, la cucina è fatta di contaminazioni, evoluzione e cambiamento. E ostacolarla equivale ad arginare un fiume di creatività con le sole mani.
Ma se gli “angry italian” sono ormai onnipresenti sul web, pronti a infervorarsi sotto ogni post di pizza con l’ananas, spaghetto col ketchup, cottura troppo lunga o finanche spezzatura dello spaghetto a metà, dall’altro lato della barricata sono sempre di più gli chef del nostro paese che cercano ispirazione nelle interpretazioni altrui della nostra cucina, e quello che ne viene fuori le volte è qualcosa di straordinario. Non sarebbe certo il primo caso di un’idea culinaria che arriva dall’estero e che sulla carta pare sbagliata, per poi rivelarsi nell’arco di qualche decennio un nuovo piatto imprescindibile della nostra cucina. Un esempio su tutti? La carbonara, piatto nato soltanto alla fine della Seconda guerra mondiale e figlio della contaminazione con gli ingredienti portati dai soldati americani (eggs and bacon) che liberavano il paese. Oggi è difficile immaginare una trattoria romana che non serva questo piatto e nessuno si azzarderebbe a contestarlo come non appartenente alla nostra tradizione, anzi, addirittura qualche anno fa c’è stato un grande movimento di protesta sul web ribattezzato “Carbonara Gate” finalizzato a spiegare al mondo che per la ricetta non serviva la panna. Abbiamo dunque pensato di andare a sbirciare nelle cucine di alcuni grandi chef eretici, per scoprire come hanno voluto reinterpretare piatti apocrifi per servirli in Italia. E chissà che, in questo viaggio, qualcuno di questi non possa diventare un nuovo classico che i vostri figli saranno fieri di difendere a spada tratta su TikTok tra un qualche decennio.
La “pasta con ketchup” di Chef Stelios Sakalis
Di origine greca ma ormai impiantato in Italia da più di 15 anni (lo mandò qui giovanissimo per seguire la sua apertura un certo Gordon Ramsay) Stelios Sakalis è l’executive chef del ristorante stellato Il Pievano all’interno del Castello di Spaltenna, a Gaiole in Chianti (Siena). Il suo menù è uno dei più divertenti ed irriverenti tra quelli che si possono trovare nella cucina stellata italiana, e ospita al suo interno la famigerata pasta con ketchup. «Mio padre lavorava tantissimo e io, che stavo da solo a casa, dovevo cucinare», ci racconta lo chef. «Avendo 9-10 anni non è che sapessi fare tante cose. Così cuocevo la pasta e sopra mettevo il Ketchup che papà aveva sempre in frigo avendo vissuto per anni in Inghilterra. Quando poi sono cresciuto e arrivato in Italia ho studiato e vissuto sulla mia pelle la tradizione e la passione che avete per la pasta, e ogni volta che raccontavo che da piccolo mangiavo la pasta col ketchup mi insultavano. Così ho pensato di creare un piatto che creasse disagio a prima vista a un ospite italiano. Ho visto che in Italia la pasta fredda d’estate è molto diffusa, quindi abbiamo preparato delle eliche cotte e freddate in acqua di pomodoro, e accanto abbiamo servito le bottigliette personalizzate di ketchup come condimento di pasta fredda». Per chi fosse curioso di sapere gli ingredienti del Ketchup stellato di Stelios, sono grosso modo i seguenti: Pomodori a grappoli, pomodorini datterini confit, capperi dissalati , olive kalamata, olio evo Iliada, aceto di pomodoro, sale, basilico fresco, origano. Scordatevi i prodotti del supermercato, qui si fa sul serio.
La “pizza con l’ananas” di Paolo Lavezzini e Giovanni Santarpia
Cosa succede se si mettono insieme uno dei più grandi pizzaioli d’Italia e uno chef stellato dalla lunga carriera internazionale? Possibilmente di tutto, compreso il proporre in un Hotel cinque stelle una pizza con l’ananas capace di far impazzire pubblico e critica. Per l’apertura della pizzeria estiva del celeberrimo Giovanni Santarpia presso Four Seasons Firenze infatti, lo chef Paolo Lavezzini ha voluto rispolverare il proprio talento nell’utilizzo della frutta in cucina, maturato durante i tanti anni passati in Brasile alla guida di ristoranti importanti. E se il suo Palagio (il ristorante del Four Seasons di Firenze) già al primo anno ha conseguito la stella con una cucina squisitamente toscana, ogni tanto la “saudade” si impadronisce dei suoi piatti, ed è proprio da questo intraducibile sentimento che nasce l’idea della pizza a doppia firma “Brasile Andata e Ritorno”, creata partendo da una base bianca con mozzarella e bufala affumicata, prosciutto crudo toscano selezione Fracassi e carpaccio di ananas marinato in bloody mary di cachaça e lime. Assolutamente imperdibile, sia per gli stranieri sia per i tanti local che durante l’estate appena trascorsa sono andati a gustarla nel meraviglioso Giardino della Gherardesca.
Gli spaghetti “mit boll” di Giuseppe Ianotti
Dalla Toscana ci spostiamo a in Campania, dove l’apertura più interessante dell’anno è senza dubbio quella del bistellato Giuseppe Ianotti, che da Telese Terme è sbarcato alle pendici del Vesuvio con il suo nuovo ristorante 177Toledo. Se già nei suoi due menù degustazione, ispirati alla smorfia napoletana, si dissacrano molti miti della cucina partenopea, dalla pizza fino alla mozzarella in carrozza passando dal capitone, il piatto che vogliamo segnalare è senza dubbio lo sgrammaticato italo-americano “spaghetti mit boll”, che lo chef ci racconta così: «L’idea è riproporre il piatto italiano più iconico Oltreoceano. Lo realizziamo con un ragù di scorfano con polpette di scorfano. Tecnicamente parla la stessa lingua dello spaghetto allo scoglio del Krèsios, con un rosso meno intenso, visto che non ci sono crostacei, tipo salsa di pomodoro slavata, o addirittura ketchup». Insomma, un americano che parla in italiano, ma anche un tentativo dell’Italia di reinterpretare l’iconico piatto Made in USA.
Lo “spaghetto al pomodoro” de L'Acciuga
L’unico stellato di Perugia, pare voler provocare fin dal nome. Cosa ci fa il celebre pesce nel capoluogo di questa regione non bagnata dal mare? In realtà il motivo c’è, ed è da ricercare in un altro esempio di globalizzazione del cibo, anche se ante litteram. Per secoli infatti questo pesce povero, è stato usato nelle campagne umbre come sostitutivo del più caro sale. Lo chef Marco Lagrimino, viterbese di nascita, ha viaggiato molto prima di arrivare qui, dalla Germania a Londra, e forse proprio per questo il suo piatto provocatorio è al contrario degli altri citati estremamente italiano. Nonostante questo appare di una semplicità nominale tale da far indignare senza dubbio il pubblico delle “porzioncine” e del “lo so fare anch’io”. Si tratta infatti dei suoi spaghetti al pomodoro, che vengono serviti tiepidi, dopo esser stati mantecati a freddo con un fondo di pomodori (lavorati come un vero e proprio fondo di carne) ed estratto di noce moscata per esser poi terminati con polvere di rosa canina e shiso in foglia. Non bisogna fidarsi delle apparenze, la complessità dei vegetali le volte può essere la più grande delle provocazioni.
L’insolita carbonara di Lorenzo Romano
Vogliamo chiudere questa carrellata con una reinterpretazione da brividi proprio del piatto che abbiamo preso come esempio di innovazione che diventa tradizione, ovvero la carbonara. Nell’interpretazione del giovane chef Lorenzo Romano dell’Insolita Trattoria Tre Soldi infatti non c’è la panna, c’è direttamente la crema pasticcera. La volontà creativa è quella di invertire gli ingredienti, rendendo liquida la parte solitamente solida e solida la parte liquida, ovvero il tuorlo d’uovo che qui viene grattato come fosse bottarga. «Tutto ciò che c’è di dolce nella crema pasticciera viene sostituito da ingredienti sapidi», spiega Romano. «Si parte dall’infusione del latte per una notte, con bucce di Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, erbe e pepe. Vi si aggiunge pochissimo tuorlo d’uovo per dare la colorazione. Invece per il tuorlo grattugiato lo si tiene per 4 giorni sotto sale e zucchero, per poi affumicarlo e asciugarlo».