Gli amanti dei distillati non sono tutti uguali, anzi, forse non esiste mondo più variegato di quello degli appassionati delle alte gradazioni. Se da un lato gli ultimi anni hanno segnato la “democratizzazione” del gin, altri nobili invecchiati continuano a intimorire il bevitore occasionale tanto quanto una carta vini di trenta pagine divisa per tenute e annate. Cognac, Armagnac, Brandy restano spesso baluardi dei geek, bevute esperienziali circondate da un’aura di snobismo e complessità. Tra questi c’è ovviamente lui, il Whisky, parte di un mondo così ampio e variegato che, a elencarne le sezioni, e le varietà, e i metodi produttivi, si perderebbe la giornata.
Esiste però un mondo di mezzo, tanto apprezzato dai consumatori quanto dagli esperti, che negli ultimi decenni si sta ritagliando un ruolo da protagonista assoluto nei bicchieri: il rum. Tanto versatile in miscelazione quanto estremamente complesso bevuto nel bicchiere (intendiamoci, c’è rum e rum, come c’è whisky e whisky), sempre più appassionati del figlio della canna da zucchero si interessano alla storia e alla rivoluzione in atto in questo mondo. Infatti, dopo anni di standardizzazione e correzioni a base di zucchero e caramello, finalmente abbiamo riconosciuto gli elementi che rendono tale un grande rum: è irreplicabile, è figlio di fermentazioni spontanee con lieviti autoctoni, e compie il suo invecchiamento in un clima tropicale. Insomma, paradossalmente il vantaggio è che sia fatto come lo si faceva una volta.
Per fortuna ci sono distillerie che, come Hampden ai Caraibi – in Jamaica per la precisione – non hanno mai cambiato metodo di lavoro, e si nota: il prodotto, da secoli, non ha mai cambiato qualità. La domanda, allora, può sorgere spontanea: se questo prodotto esiste da secoli, com’è possibile che voi non lo abbiate mai assaggiato? Il motivo è semplice: fino a pochi anni fa, questo distillato non era mai stato imbottigliato, e tutta la produzione veniva acquistata per realizzare dei blended rum. Per saperne di più sulla storia di questo prodotto leggendario, e perché oggi è forse il prodotto più interessante da degustare al bicchiere, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Angelo Canessa, Mixology Manager di Velier, tra i maggiori esperti italiani e internazionali dell’argomento.
Angelo, perché la storia di Hampden è così unica rispetto a quelle di tante distillerie?
Il motivo è semplice: si tratta di una storia unica in quanto stiamo parlando di un’azienda familiare con alle spalle 265 anni di storia, resa disponibile all’assaggio per gli appassionati solo nel 2018. L’unica storia di questa importanza, in qualche modo assimilabile, di una “distilleria fantasma”, ovvero operante sul mercato per anni senza avere imbottigliamenti propri, è Ardbeg. In questo caso si parla di un whisky che, fino agli Anni ’60, aveva fatto solo da conferitore per i blend, e oggi invece produce tra i single malt più amati al mondo. Lo stesso, naturalmente nel mondo del rum e con una distilleria fondata nel 1753, è avvenuto per Hampden.
È dunque a questo che dobbiamo la complessità gustativa? Alla materia prima che viene utilizzata?
Non solo. Come nel whisky, anche qui la materia prima è sicuramente importante, ma se in quel mondo tutti siamo capaci di intuire quanto incidano elementi esterni come la torba o i legni d’invecchiamento, anche nel rum si dovrebbe iniziare a fare ragionamenti analoghi. In Jamaica, per esempio, ci sono tantissimi elementi che influiscono sul prodotto finale: la qualità dell’acqua, proveniente da una sorgente che sgorga a pochi chilometri dalla distilleria nel cuore della Cockpit Country; la fermentazione spontanea con tecniche ancestrali e lieviti indigeni che lavorano per periodi molto lunghi, generando quegli esteri responsabili dell’incredibile carica aromatica finale; la distillazione, che dura circa 7 ore, in alambicchi discontinui double retort di rame, di cui uno risalente al 1960; e infine l’invecchiamento, che avviene rigorosamente in clima tropicale, dove 7 anni equivalgono a circa 25 di maturazione in un clima continentale, solitamente in Europa. Inoltre non scordiamoci che nella creazione dei rum giamaicani ci sono due ingredienti segreti, di cui fuori dall’isola si sa molto poco: il muck e il dunder [qui per chi voglia approfondire, ndr], che incidono in materia determinante sul prodotto, dandogli quell’anima funky che non si trova in nessun altro distillato fuori dall’isola.
Nel 2018, quando Hampden decise, in collaborazione con Velier, di imbottigliare per la prima volta, gli appassionati di tutto il mondo stentavano a crederci. E la sorpresa è stata ancora maggiore quando si è compreso quante variazioni sul tema sarebbe stata in grado di sfoggiare questa distilleria.
Essendo stato venduto per oltre due secoli esclusivamente sfuso per essere utilizzato in piccole dosi nei blended rum, prima del 2018 Hampden non aveva mai, incredibilmente, imbottigliato il proprio rum. È stato grazie alla caparbietà di Luca Gargano, Presidente di Velier, che si è arrivati alla collaborazione per distribuirli autonomamente. Quando Hampden ha cominciato a mettere in bottiglia single rum, lo ha fatto dal 2015 con dei co-bottling all’interno della Habitation Velier, una serie che riunisce grandi distillerie andando a esaltare l’unicità di single rum creati con le migliori tecniche produttive. Per la prima volta i marks di Hampden, che semplificando potremmo definire “versioni” a seconda delle materie prime e alle diverse tecniche di fermentazione usate, sono stati isolati e si è potuto degustarli uno a uno in imbottigliamenti dedicati. Oggi, oltre a questi co-bottling, siamo arrivati ad avere alcuni imbottigliamenti ufficiale di Hampden, che ha portato anche a nuovi progetti ambiziosi come Pagos, il primo vero invecchiamento in sherry cask nel mondo del rum. Si tratta di botti nuove preparate con Sherry Oloroso Pata De Gallina di Lustau. Sempre, naturalmente, con un occhio attento sulla qualità.
Se tu dovessi guidare all’assaggio un appassionato di whisky, di vino o perfino un neofita, cosa gli diresti di cercare all’assaggio?
Be’, intanto senza andare troppo nei tecnicismi consiglierei di coglierne l’anima, quello che appunto a noi piace chiamare il “funky jamaicano”. Bere un distillato deve essere prima di tutto un piacere, e qui stiamo parlando di un prodotto straordinario, adatto per essere sorseggiato in purezza. Anzi, la ricchezza aromatica lo rende soddisfacente anche in piccole qualità, per bere meno e bere meglio. Nell’Hampden troviamo note di ananas e banana molto maturi, quasi fermentati, e poi leggere note di acetone, quasi di idrocarburo. Tutto questo ovviamente prescindendo dall’apporto dato dal legno di invecchiamento, che arricchisce ma non copre l’anima nobile e antica di questo rum.
È incredibile pensare che tanta persistenza aromatica si ricavi naturalmente, e che la morbidezza di questo rum sia raggiunta senza l’aggiunta di additivi come zucchero o similari, purtroppo sempre più usati per correggere e modificare (e anche appianare) moltissimi prodotti oggi presenti sul mercato. La legge naturalmente lo permette, ma quando i distillati vengono così tanto “truccati” il motivo è che spesso la base è povera di aromi naturali. Qui siamo all’opposto: Hampden è un segreto rivelato. Per anni è stato l’ingrediente segreto utilizzato dagli altri per migliorare i propri blend. E oggi, finalmente, è libero di rivelarsi al mondo.