La regola è sempre quella: se è “nuziale”, allora si paga di più. Vale per il vestito degli sposi, per il trucco il giorno in cui qualcuno potrebbe scappare dall’altare, e anche per l’unico oggetto del desiderio condiviso da tutti gli invitati: la torta.
Certo, facile direte, se il guizzo che prende nelle fasi di organizzazione è quello di farsela realizzare da Damien Hirst, come fu per il matrimonio di David e Victoria Beckham nel 1999, quando l’ultima portata si compose di strati alternati di frutta e torte al cioccolato (bella, per carità, ma forse così magretta non la vorremmo). Facile, se a stabilire lo standard moderno di una tradizione che perdura dall’epoca pre-cristiana è stata, nel secolo diciannovesimo, la Regina Vittoria d’Inghilterra (che nel 1840 andò in sposa ad Alberto di Sassonia-Coburgo Gotha), con una torta di frutta – secca e sciroppata, la “fruit cake” o “plum cake” ante-Mulino Bianco, che infatti si chiama pound cake in inglese – a tre strati, alta 36 centimetri e larga poco più di tre metri, ricoperta di glassa di zucchero (un po’ particolare, ci torneremo) e con un peso appena superiore ai 306 chili. Nemmeno il figlio Leopold ci scherzò, e per il suo “giorno del sì”, nel 1882, fece realizzare una torta scultorea, letteralmente a più piani, con la glassa a formare le figure di statue, colonne e capitelli.
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Insomma, thank the rich; anche se, Storia alla mano, non è sempre stato così. Lo ha raccontato la studiosa e food writer Carol Wilson ai microfoni di Gastropod, il podcast di Vox Media Podcast Network conosciuto per unire il racconto dei fatti di cucina a quelli della scienza. Secondo Wilson, le prime torte nuziali si rintraccerebbero nell’Antica Roma. All’epoca sarebbero state fatte di grano od orzo, avrebbero avuto più l’aspetto di biscottoni che di “torte”, e il rituale che le coinvolgeva voleva che si rompessero sulla testa della sposa. Gli ospiti avrebbero poi raccolto le briciole e se le sarebbero portate a casa come portafortuna.
Costume che raccoglie gli elementi fondamentali di quella che sarà, e che è, la ragione della popolarità delle torte nuziali: una preparazione inusuale, l’interazione con la coppia di sposi, e il segno di buona fortuna che dovrebbe allargarsi anche al resto dei presenti. Delle torte romane, nello specifico, non abbiamo molte informazioni. Non sappiamo se fossero dolcificate, né che sapore avessero nei fatti. Quello che sappiamo è che l’usanza, attraverso l’invasione romana delle isole della Gran Bretagna contemporanea (a cui si aggiunse poi quella delle popolazioni dalla Francia del Nord), portò a un primo sviluppo fondamentale per la storia delle torte nuziali: la trasformazione in lievitati dolci, nella fattispecie, piccoli panini impilati uno sopra l’altro. Compito degli sposi sarebbe stato quello di baciarsi oltre la sommità del mucchio: se ci fossero riusciti, si sarebbero guadagnati una buona stella.
Fast forward al 1685 e, continua Wilson, nel libro di Robert May The Accomplished Cook possiamo trovare riferimenti alla bride’s pie: una torta larga e rotonda, provvista di un’elaborata copertura di sfoglia e ripiena di, tra le altre cose, ostriche, pinoli, testicoli di agnelli, animelle e spezie varie. Si tratta, dice Wilson, di «ingredienti costosi. Allora i meno abbienti ne realizzavano una versione più umile, fatta di carni e mincemeat», ovvero il miscuglio di spezie e frutta secca che compone il ripieno dei tradizionali mince pie anglosassoni – i quali prevedono l’aggiunta tra gli ingredienti anche della sugna di manzo.
I mince pie potranno anche essere presentati in porzioni individuali, ma le torte dell’epoca di “singolo” non aveva niente. Basti pensare che, per fare in modo che l’incantesimo della buona sorte funzionasse, ogni ospite doveva prendere almeno un boccone della torta. Altrimenti… be’, meglio non scoprirlo. Inoltre, e con tradizione simile a quello dello spagnolo Roscòn de Reyes, nell’impasto si metteva un anello: la fanciulla che l’avrebbe trovato, invece che prendere al volo un bouquet spesso di fiori puzzolenti e mezzi morti, sarebbe stata la prossima a sposarsi.
Vaglielo a dire te a George Clooney e Amal che la loro futuristica torta di matrimonio avrebbe, qualche epoca fa, contenuto frattaglie e grumetti di frutta secca.
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Le torte-non-torte di nozze perdurarono fino al 1700 circa. Intanto, nei due secoli antecedenti le acque della pasticceria si erano smosse. In primis, i pasticceri italiani e francesi avevano scoperto che non serviva per forza il lievito da pane – gnucco, pesante – per far crescere i lievitati dolci: si poteva sopperire alla stessa funzione con chiari d’uovo montati a neve, ma anche, più avanti, con il lievito denominato infatti “per dolci”. A cambiare le cose fu anche il prezzo dello zucchero, che, complice lo sviluppo della produzione europea dello zucchero a partire dalla barbabietola (il processo industriale fu perfezionato nel 1800 dal tedesco Karl Franz Achard), crollò drasticamente, rendendolo bene di consumo (e ingredienti di cucina) largamente più accessibile.
Da lì la tendenza, prima delle classi più agiate, ad abbandonare progressivamente i pie salati in favore di torte dolci. Lasciate perdere creme e pan di Spagna, però: probabilmente, e se non siete amanti di castagnacci & co., le torte nuziali a cavallo tra Settecento e Ottocento vi avrebbe lasciati stuccati, forse disgustati. A questa altezza storica si parla infatti di fruit cake, ovvero mappazzoni in cui farina, burro e zucchero fungono da leganti per una massa cospicua di frutta secca o candita, spezie varie e melassa (praticamente l’evoluzione dei mince pie). Questa base sarebbe poi stata ricoperta di una glassa di zucchero del tutto simile nell’aspetto alla moderna ghiaccia reale (bianco d’uovo sbattuto con zucchero a velo), solo che sarebbe anche stata aromatizzata con acqua di fiori d’arancio, muschio e ambra grigia, ovvero una sostanza prodotta nel sistema digerente dei capodogli. Due ore sotto le fruste, et voilà. La glassa così ottenuta veniva poi stesa sulla torta e il tutto era riposto in forno ad asciugare.
È a questo punto che arriva la bianchissima – perché la glassa così ottenuta era davvero, davvero bianca – torta nuziale che cambierà per sempre tutte le torte nuziali: non quella un po’ storta, ispirata alla Torre di Pisa, realizzata da Aimee France per Chloë Sevigny e Siniša Mačković; ma appunto, come da spoiler, quella della Regina Vittoria. Che non solo riuscì a cambiare la società e la cultura del suo Regno, vedendosi intitolata un’era (quella appunto vittoriana); non solo flashò la torta nuziale più incredibile di sempre in faccia a ogni sposa a venire; ma diede pure inizio al mito dell’abito bianco. Fu infatti trend setter anche in questo senso: i vestiti delle spose, prima della cerimonia del 1840, tendevano a essere variopinti. Con lei, che si abbigliò di bianco e bianco solamente, le cose cambiarono. Eh, i reali. C’è da dire che nemmeno le torte di Elisabetta II e del figlio William con Kate Middleton furono da meno.
L’ultima tappa? Con il progredire delle tecniche di pasticceria (e dei gusti dei golosi), la fruit cake fu sostituita anche in Gran Bretagna dall’oggi più tradizionale pan di Spagna farcito di frutta e creme. Negli anni Cinquanta, si nota nella puntata di Gastropod (pubblicata questo 9 luglio), sembra che anche in America la fruit cake non andasse più di moda, e che le torte soffici avessero preso il sopravvento. Dalle nostre parti, dove la fruit cake non è mai “stata una cosa”, già nel 1930, al matrimonio tra Maria José, principessa del Belgio, e il futuro (e ultimo) re d’Italia Umberto II, spuntò un buffet di dolci composto da torta margherita vanigliata al maraschino, cassata gelato alla siciliana, e un dolce a strati che alternava pasta frolla a creme fredde alle mandorle ma anche al limoncello, proseguendo poi con ingredienti tratti dalle varie regioni d’Italia. A completare uno strato di immancabili savoiardi.
E ora, prima di lasciarvi al prossimo matrimonio della stagione, qualche consiglio per evitare di beccarvi il malocchio durante i festeggiamenti: sempre secondo Wilson, la sposa non dovrebbe mai cucinarsi la propria torta nuziale; non dovrebbe mai assaggiare la torta prima del matrimonio, altrimenti il marito le sarebbe stato infedele; e se invece avesse conservato parte della torta dopo la cerimonia, allora il consorte sarebbe stato fedele. Una curiosità: legata in questo modo alla buona sorte c’era, tradizionalmente, anche una “torta dello sposo”: senza glassa, veniva consegnata agli ospiti come bomboniera, e questi, arrivati a casa, avrebbero dovuto posizionarla sotto il cuscino del proprio letto per completare il rituale di buone sorte. Come a dire che se, alla fine, non riusciamo a smettere di pensare ai dolci, forse non è del tutto colpa nostra.